Alessandra Iannotta, Gli occhi di Asha

Alessandra Iannotta, Gli occhi di Asha

L'incipit del libro

Alessandra Iannotta, Gli occhi di Asha

Per gentile concessione dell'editore Kanaga vi presentiamo di seguito il primo capitolo del romanzo Gli occhi di Asha di Alessandra Iannotta.
 
TRAMA – Il libro racconta la storia di un’anima che, prima di reincarnarsi compie una danza rituale con alcuni animali: un’aquila, un lupo, una tigre, una libellula e una tartaruga, animali che poi incontrerà sotto sembianze umane in diverse vite successive. Nella prima vita l'anima avrà un nome indiano, Asha, e si incarnerà in tutto in sette donne diverse, che riusciranno a superare le prove difficili che si troveranno a dovere affrontare solo quando si arrenderanno con leggerezza e gioia a ciò che non hanno scelto.

Alessandra Iannotta nasce a Roma nel 1965. Dopo gli studi classici si laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e da oltre vent'anni è avvocato civilista. Ha scritto il libro di poesie Sangria al Grippiale, Dante Alighieri 2015. È stata selezionata con le sue poesie “Il Segreto” e “Oltre” al quarto Festival Letterario Internazionale “Pero Živodrag Živković”. Pubblica sulla piattaforma Meetale raccolte di poesie e racconti brevi.

La prima vita: Asha

Faceva caldo, l'odore di spezie stordiva e riempiva l'aria già carica di calore, una sensazione di umidità oleosa, unta. Sua madre l'aveva data alla luce all'alba quando ancora era tutto sospeso, quando i rumori erano assopiti dal lento diradarsi delle tenebre e il sole accingeva al proprio risveglio. Era nata in un piccolo villaggio indiano. Aveva sette fratelli maschi. Era cresciuta tra fango e colore, odori intensi e musiche antiche. Niente le faceva paura. Aveva visto vita e morte inseguirsi nel ritmo più naturale, la morte e la vita per lei amiche eterne. Camminava a piedi nudi e aveva sempre voglia di danzare, anche quando la pioggia copriva tutto, anche quando il vento correva veloce sulla terra rossa che lei amava. I suoi occhi allungati, orientali, erano carboni accesi, risplendevano di Luce, sempre. I suoi capelli, la sua forza, erano rossi, gialli, curcuma e curry. L'incarnato olivastro lo aveva rubato al sole e lui aveva acconsentito. Asha si faceva amare.
Era il sorriso la sua arma segreta, quando sorrideva il mondo brillava e onde magnetiche catturavano lo sguardo di chiunque. Era sempre fe- lice e, seppur bambina, viveva un’esistenza piena perché in perfetta sintonia con i ritmi della natura, una vita fatta di musica, di colore, di amore. Fino a quel momento. Quel giorno la terra aveva tremato rabbiosa e non aveva risparmiato nulla, nessuno. Solo Asha, i suoi occhi, il suo sorriso, i suoi capelli... Quando si svegliò era circondata da tubi, da fili cattivi, luci fredde, finte, metalliche che lei, piccola e innocente, non aveva mai visto. Sopra il suo capo, al posto del cielo che normalmente le faceva da cappello, un soffitto di cemento chiuso, asfittico che sembrava volerle imprigionare il corpo in una scatola. Si trovò ferma come un punto sperduto in uno spazio che non conosceva. Per la prima volta nella sua breve vita ebbe paura. Non capiva una parola. Era stata salvata e soccorsa da persone a lei sconosciute e questo la disorientava. Vedeva corpi rincorrersi frenetici e mani sempre alla ricerca di qualcosa. Asha non parlava. Aveva provato, ma nessun suono, nessuna parola era salita dalla sua anima.
Allora aveva chiuso gli occhi. Solo un colore tingeva tutto: era il sangue della sua storia. Il sussulto della terra, quel brivido assassino che la Madre di tutti i viventi aveva voluto infliggere ai propri abitanti, le aveva portato via tutto. Sette fratelli, il profumo delle spezie, i suoni della sua gente. Strinse le mani con rabbia, dolore, impotenza e poi pianse. Pianse, pianse e pianse ancora. Quei rivoli salati furono però generosi, sciolsero un po’ il peso che il suo piccolo cuore non riusciva più a sostenere.
«AsHA»  una  voce  lontana  la  scosse «voglio  fArti  un  reGALo,  prendi  questA piumA e voLA, voLA in Alto, sfioRA le cime delle montAgne INCAntAte, LASCIAti cullAre DAl  Vento,  dimentICA  e  AbbANDONAti, SARANno  le  tue  Ali  A guiDArti  seNZA  mETA,  A fArti leggerA e potente, cAPACE di ricomINCIAre.»
Le parve di vedere un'aquila, poi si riaddormentò. Al suo risveglio, trovò accanto a sé una piccola piuma lucida, nera, perfetta. Era lì vicino alla sua mano, sul letto di quell'ospedale straniero. Fu l'inizio di una nuova vita. Brave persone si presero cura di lei, la nutrirono, le insegnarono la lingua di quel paese lontano, le regole di una società diversa da quella in cui stata cullata da bambina. Le diedero amore.
Gli anni passarono e divenne una donna. Asha era sempre più bella.
I suoi occhi allungati e profondi ricordavano quelli del felino più nobile, quelli di una tigre; anche i suoi capelli rossi, ora striati di marrone, avevano il colore del manto tigrato e la vestivano da regina. Quella sera non aveva alcuna voglia di uscire, ma la sua amica Jane aveva insistito e lei, infine, aveva ceduto. Stretta nei suoi jeans, illuminata in volto da una semplice maglietta bianca come il suo sorriso, non aveva bisogno di altro, attendeva a casa l’arrivo della sua compagna di risate. La luna brillava alta nel cielo estivo, coccolava le stelle, le voleva tutte vicine e loro ricambiavano con una magica luce argentata. Asha le guardava dalla finestra e cercava di pensare alla sua infanzia. Nella terra lontana dove era nata e che ora ricordava con vaghezza, era sufficiente spin- gere una porta, lì no, era tutto più complicato. Esistevano chiavi, serrature, antifurti e porte blindate. Quel pensiero affollava la sua testa, quando il citofono risuonò ovunque nell’appartamento e quindi Asha si affrettò a uscire. Salirono in macchina e allegre si lasciarono la città alle spalle. Raggiunsero un gruppo di giovani: nell’aria riecheggiavano risate, voci alte, sussurri e ancora risate. Asha, d’un tratto, incontrò due occhi profondi e inquieti come il mare in tempesta in una notte come quella. Non lo aveva notato prima di quel momento.
Fu un attimo e tutto cambiò per sempre. Vibrò da dentro, quello sguardo magnetico le aveva tolto il respiro e le onde del mare avevano riempito ogni suo spazio. Sentiva il suo corpo, il suo cuore, era di nuovo viva e senza paure, proprio come tanto tempo prima, quando viveva nel paese di terra rossa che purtroppo ricordava vagamente.
Si avvicinò agli occhi che avevano sciolto le sue catene, che l'avevano finalmente liberata. Ringraziò in silenzio quello sguardo di lupo. Non ci fu bisogno di dire nulla, si amarono senza riserve, facendosi anche del male, sciogliendosi sugli scogli. Erano abbracciati e ancora vogliosi, quando Asha ebbe la sensazione di essersi riappropriata del suo corpo. La luna brillava alta nel cielo e il suo Lupo ululava inchinandole il capo fiero, ma non avrebbe potuto durare.
Asha lo sapeva. Il lupo vuole il suo spazio, ha bisogno del suo silenzio. Lo amava e per questo lo lasciò andare. Sapeva anche che sarebbe tor- nato, ma lei non avrebbe aspettato il suo ritorno, la sua tigre interiore si era risvegliata e aveva fame, aveva bisogno di ritrovare il suo territorio. Bisognava prendersi cura anche di lei. Con il cuore pesante tornò a casa, prenotò un biglietto di sola andata e fece le valigie, distrattamente. Aveva già avuto tutto. Ringraziò per l’amore, l’affetto e le cure che aveva ricevuto. Partì.
L'aereo di linea atterrò bruscamente sulla terra rossa che aveva dovuto dimenticare. Tutto era diverso, ma i suoi ricordi, i suoi sogni erano ovunque e la fecero ritrovare. Gli odori di spezie, di fango e di rose, quelli che aveva respirato nella sua infanzia, rievocarono sentimenti assopiti. Il suo villaggio era stato inghiottito da una cittadina frenetica dove ora tutti portavano le scarpe. Quel giorno faceva molto caldo, decise di andare in città, il suo spirito le diceva che quel giorno sarebbe successo qualcosa di speciale. Era seduta al tavolino di un bar in stile occidentale, davanti a una limonata gelata ornata da foglie di menta, quando una bambina, forse un’orfanella, catturò la sua attenzione. Non aveva nulla, se non bisogno di cure, eppure sembrava felice, sazia, libera.
Era la Libellula dei suoi sogni, leggera, trasparente, si librava tra le cose sottraendole alla forza di gravità. Quella bambina danzava ancora a piedi nudi con grazia innata, proprio come lei da piccola. Fecero amicizia e divennero inseparabili. Asha le diede amore infinito, le insegnò tutto ciò che sapeva e piano, giorno dopo giorno, ricominciò a eseguire anche lei quella danza così antica, quella danza che amava tanto. Era stanca. Il sole, tramontando, aveva dipinto di rosso ogni cosa, il caldo aveva lasciato spazio a un'aria cristallina, pulita. Quella sera, seduta nella veranda di casa, Asha ripensò al suo Lupo, non lo aveva più rivisto. Sapeva che l'aveva cercata. Era tornato affamato e voglioso, ma lei era ormai lontana. Era giusto così, i lupi amano il branco, scelgono e rapiscono, ma al richiamo della luna piena cercano vette solitarie. “Anche lei”, pensò, “quando si sentiva stringere troppo graffiava e dai suoi occhi uscivano lampi di fuoco”. Sì, era giusto così.
Quella sera, la raggiunse una goffa TARTAruGA, così almeno sembrò ad Asha in quel mese di fine estate. Quasi non si muoveva. Era una donna vecchia e rugosa. Quando fu sufficientemente vicina, la nebbia nella sua mente scomparve e capì. Kamala era il suo nome, quella donna era stata la migliore amica di sua madre. Non la riconobbe subito, la ricordava giovane, bella, guerriera. Pensava fosse morta anche lei, invece no. Era lì, senza fretta, diversa nel corpo, uguale nello spirito. Si abbracciarono in silenzio. Fu come ritrovare finalmente le sue radici.
Bevvero insieme Linfa Vitale dalla stessa coppa. Kamala sapeva che un giorno quella bambina sorridente sarebbe tornata. Asha le raccontò, nella lingua ritrovata grazie alla LibELLULA, di quel paese lontano dove non si danzava e da sempre i bambini erano cresciuti indossando le scarpe. Le raccontò dell'amore struggente e sensuale che aveva vissuto e che in eterno l'aveva legata al suo Lupo, dell'AquILA che con una sola piuma  l'aveva  aiutata  a  ritrovare  la  voce  quando,  a  un  passo  dalla morte, giaceva in quel letto d’ospedale. Le presentò la sua nuova piccola amica, figlia e sorella della sua stessa terra,  che leggera e quasi trasparente le aveva ricordato i passi della Danza che tanto amava.
La TARTAruGA Kamala con i suoi occhi antichi taceva, sapeva ascoltare. Asha era stanca, da lontano le parve di sentire un suono, una musica. Il Vento tornò a soffiare facendo danzare le foglie. Un Sacro Fuoco illuminava l’oscurità con Polvere di Stelle…