Graziano Graziani, Taccuino delle piccole occupazioni

Graziano Graziani, Taccuino delle piccole occupazioni

Un romanzo sulle occasioni mancate

Graziano Graziani, Taccuino delle piccole occupazioni
In Taccuino delle piccole occupazioni (Tunuè), Graziano Graziani esamina il mondo attraverso gli occhi di Girolamo, un uomo che è di volta in volta, adulto, anziano, bambino, ma sempre un passo distante dagli altri e forse anche da sé. Si parte da “Girolamo e il sonno”, dalla narcolessia di cui è affetto il protagonista, fenomeno che si realizza ogni qualvolta deve prendere una decisione. Con chi esco? Con la ex fidanzata o con la ragazza carina che ho incontrato? Casco a dormire per una settimana e così mi assicuro di aver interrotto entrambe le relazioni. Di particolarità Girolamo ne ha diverse: è nato il 29 febbraio, giorno che esiste solo ogni quattro anni; da piccolo andava pazzo per i numeri pari e aveva deciso che Dio era il macellaio della macelleria equina; ha una passione per la fotografia e una fobia per i turisti; gli piace rileggere le vecchie agende del telefono per ripensare alle persone che non vede più; lo infastidiscono i bambini… Al racconto in terza persona si alterna un racconto in prima persona, in cui Girolamo si confessa con un orologiaio che lo ascolta in silenzio, con un dottore che poi scompare, e in cui lo stesso Girolamo si aggira per la città in cerca del suo doppio: un uomo nato il suo stesso giorno, nel suo stesso ospedale, con il suo stesso nome… Una riflessione sull’identità individuale e sulle relazioni amorose (nel libro si aggira il fantasma di Viola, la ragazza amata da giovane da Girolamo, rincontrata in vari momenti della sua vita) in tempi in cui non si crede più a nulla e si fatica a credere anche nella propria persona.

Alle volte penso che la vita sia un tempismo imperfetto, e mancarsi non è meno nobile di prendersi. E non ti saprei spiegare il senso di tutto questo, se non a causa di una vocazione all'imperfezione, di una fascinazione per l'oggetto rotto, che pur inservibile resta sempre più luminoso dell'oggetto sano, immerso nella sua ottusità.



Graziano Graziani (Roma, 1978) è scrittore e critico teatrale. Collabora con Radio 3 Rai (Fahrenheit, Tre Soldi) e Rai 5 (Memo) ed è caporedattore dei “Quaderni del Teatro di Roma”. Ha scritto Atlante delle micronazioni e Catalogo delle religioni nuovissime per Quodlibet. Taccuino delle piccole occupazioni è il suo primo romanzo.


© Fotografia di Kate Stanworth


Di seguito l’intervista di Rai Letteratura:

Chi è Girolamo e quante delle sue riflessioni sul mondo e delle sue idiosincrasie gli ha prestato Graziano Graziani?
Girolamo è una persona poco sociale e non molto socievole. L’unica persona a cui confessa i suoi pensieri è un orologiaio che non parla mai. È scettico nei confronti del mondo, in generale prova diffidenza per molti degli stimoli che gli arrivano dall’esterno. Sarebbe tentato di restare chiuso in casa, a guardare la vita scorrere dalla finestra, e per gran parte del tempo questa è la sua attività. Quello che vediamo di Girolamo, nel romanzo, sono i suoi pensieri. Questo romanzo è sì una biografia, ma una biografia “cogitabonda”. Non vediamo Girolamo al ristorante, o mentre parla con un amico, ma vediamo – se così si può dire – lui che ricorda e riflette su quanto avvenuto, che si impunta su quello che avrebbe potuto fare meglio e non ha fatto, dire meglio e non ha detto. Fa cioè quello che quotidianamente facciamo tutti: prova a reinventarsi un ricordo “migliorato”, nei quali finalmente le cose sono andate come sarebbero dovute andare. In questo senso, il Taccuino è un romanzo sulle occasioni mancate. Che è quello che ossessiona Girolamo. Da un lato schivo, arcigno, diffidente, dall’altro tentato come tutti dall’essere migliore, desideroso di essere amato, compreso, applaudito. In mezzo a tutto questo Girolamo riflette sul mondo, o meglio, sulla realtà come ce la raccontano. La storia, l’astrofisica, la poesia, ma anche la politica: sono cose che gli piovono addosso e lui tenta di costruircisi un’idea di mondo che possa fare al caso suo. Ma di fatto Girolamo non è un esperto di queste discipline, né ha mai messo davvero il naso nella realtà di cui tanto sparla: è una persona che, come molti di noi, vive in una realtà mediata da qualcun altro, un racconto che dall’esterno viene verso di noi. Ha un forte “deficit di esperienza” e per questo dedica la maggior parte del tempo alle riflessioni, ai ricordi, e al cercare di trasformarli in qualcosa che somigli di più all’immagine mentale che ha di sé.
Girolamo poi ha molte idiosincrasie. Quante di queste gli sono state prestate dall’autore? Beh, è l’eterna questione della letteratura contemporanea, di quanto oggi il rapporto tra chi scrive e chi legge sia in un certo senso sorretta da voyeurismo e narcisismo. Posso dirti che Girolamo è certamente un personaggio di finzione, anzi, che a un certo punto della stesura del romanzo, quando il suo carattere era piuttosto definito, in un certo senso ha preso l’iniziativa e si è quasi scritto da sé. Ma è pur vero che i luoghi di Roma che frequenta sono i miei, alcune sue ansie sono anche le mie. Altre però sono frutto di osservazione e Girolamo è diventato un po’ la summa di quelle idiosincrasie che vedevo negli altri e che avrebbero anche potuto essere le mie. Esiste però una differenza sostanziale: lui, rispetto a me, è come se non avesse freno. Mi sono cioè divertito a spingere certe questioni oltre il punto in cui io sono solito fermarmi. Per usare una definizione di Pessoa, che definì Bernardo Soares un semi-eteronimo perché di fatto coincideva con lui ma senza il raziocinio, posso dire che Girolamo, qualche volta, coincide con me ma senza freni inibitori.

Nel libro non si procede per ordine cronologico: Girolamo a volte è un bambino, altre volte un trentenne, altre volte un vecchio. Questa scelta è legata alla preponderanza della memoria, al fatto che più che vivere Girolamo ricorda di aver vissuto?
Girolamo ha un problema con la memoria. Non riesce più a collocare i ricordi in una corretta sequenza. Questo è uno dei problemi che lo spingono a contattare prima un medico e poi a fare un viaggio infernale nella burocrazia, perché i suoi dati anagrafici sembrano non appartenere davvero a lui. Questo disordine cronologico del romanzo è certamente l’esito di questo suo problema, la rappresentazione di ciò che avviene nella sua testa. Ma anche l’effetto di quella che prima ho chiamato “biografia cogitabonda”. Si salta, come accade nella memoria di tutti, di palo in frasca. Il fatto che poi Girolamo non riesca a gestire tutto questo, che sia anche un po’ succube della sua tendenza a manipolare i ricordi in proprio favore, a cercare di tirare le somme in modo autoconsolatorio, è in fondo la manifestazione di un problema che lui ha con la propria identità. In fondo, quando manipoliamo i ricordi, quando facciamo i conti con le nostre occasioni mancate, lo facciamo con il segreto desiderio di rimettere a posto le cose, almeno nella nostra mente. Questo crea una discrasia tra ciò che viviamo davvero e ciò che crediamo di avere vissuto. Nella vita di Girolamo, e nel romanzo, questa discrasia salta fuori, non è limitata allo spazio mentale (oppure, avendo sotto gli occhi soltanto i suoi ricordi, è il lettore che ha il suo spazio mentale come unico orizzonte del racconto). Per altro questo problema con l’identità, a un certo punto del romanzo, diventa reale, proprio a causa dei problemi burocratici che lo assillano, e che lasciano pensare che anche dal punto di vista amministrativo la sua sia, di fatto, un’esistenza fittizia.

Uno dei temi che assillano Girolamo è la perdita: dei negozi che c’erano una volta, della visione integra del mondo, di relazioni sentimentali stabili fino ad arrivare alla perdita di sé…
Girolamo è un po’ reazionario, pur credendo di non esserlo. È un po’ misoneista, pur credendosi un progressista. Questa è una delle tante aporie della sua esistenza. Poiché è ossessionato dalle occasioni mancate, da quello che poteva aver fatto meglio di come lo ha fatto, è ovviamente anche ossessionato dalla perdita. La mutazione dell’ambiente attorno a sé lo atterrisce, lo lascia in un senso di prostrazione. Un po’ come i bambini, verso cui prova una sorta di senso di repulsione, Girolamo ha bisogno di un mondo che sia quello, stabile e intellegibile, di un senso e di un sistema di pensiero che non cambi in continuazione. Anela la ripetizione. Forse il suo rapporto acido e musone nei confronti dell’infanzia deriva dal fatto che, su certe questioni, anche lui non è altro che un bambino, un adulto che fatica a crescere. Che è, poi, una condizione abbastanza diffusa. L’amore, da questo punto di vista, diventa il rifugio possibile ai mali del mondo. Ma è un’isola non trovata, che si sposta all’orizzonte tanto più cerchiamo di raggiungerla, come avviene in certe leggende marinaresche medievali. Forse perché è esso stesso un mito. Viola, la sua relazione mancata che torna più volte nel corso della storia, è sicuramente la summa delle occasioni mancate ma anche, forse, una proiezione mentale. A un certo punto non è più possibile capire davvero dove sta la realtà e dove la proiezione. Ancora una volta, Girolamo, finisce per essere vittima di ciò che avrebbe voluto, del non compiuto, del non realizzato, che occupa nella sua vita uno spazio più importante della realtà. La perdita del sé è solo l’effetto di tutto questo riconcorrere ciò che non c’è e scappare costantemente da ciò che c’è.

Cosa rappresenta l’orologiaio, che è l’interlocutore pressoché silente, di Girolamo?
L’orologiaio ha a che fare con il tempo. L’associazione è molto scoperta, quasi banale. Ma come un Saturno accigliato, l’orologiaio non parla, ma ascolta soltanto, senza mai esprimersi davvero. Saturno nell’oroscopo è il signore del tempo, l’astro più temuto perché anche quando è benefico è severo, perché costringe a fare i conti con sé stessi. Ma è davvero l’influsso di un pianeta a spingerci a farlo? O non siamo piuttosto noi che interpretiamo in questo modo i segnali muti che ci giungono in questo senso, per una necessità innata di fare, a un certo punto, i conti con noi stessi? L’orologiaio non risponde mai, al massimo sbuffa o alza un sopracciglio, ma Girolamo dà dei significati a queste cosa, le decifra a modo suo e in forma del tutto arbitraria. Utilizza quel mutismo per portare avanti un dialogo con sé stesso, per portare il proprio pensiero dove da solo non sarebbe in grado di andare. Anche l’orologiaio è, in un certo senso, un doppio che consente a Girolamo di approfondire alcune questioni che, se fosse solo, per indole semplicemente aggirerebbe. Girolamo osserva l’orologiaio come chi crede agli oroscopi osserva Saturno, cercando di dare senso alla sequenza del tempo della propria vita. Insomma, cercando di posizionare i ricordi.

E la ricerca del proprio doppio che si affaccia all’interno della narrazione in terza persona?
Il doppio è il grande tema sottostante questa storia. Le occasioni mancate sono un possibile doppio di noi stessi, una versione della storia in cui siamo più bravi, più belli, abbiamo più successo. La burocrazia, che è una mappa che rappresenta la realtà, è a sua volta un doppio: e in questa storia il doppio burocratico di Girolamo ha delle incongruenze con la realtà, sembra muoversi secondo logiche tutte sue, lanciando l’inquietante sospetto che possa persino prendere il sopravvento sulla sua vita reale. E Viola, l’amore mancato, è ovviamente sulla cima di quello che Girolamo avrebbe potuto fare e ottenere se fosse stato meglio di quello che è. Il doppio è un confronto costante con noi stessi, è una dimensione che viviamo in continuazione, perché ad esempio il nostro “io” che mostriamo al mondo è per molti aspetti diverso dall’identità che viviamo interiormente. L’identità stessa è in fondo una chimera, e in una società di massa, globalizzata, viviamo questa contraddizione costantemente: ogni valore possibile è stato spostato sull’individuo (su ciò che possiamo godere, realizzare, comprare, distruggere), ma poi ci rendiamo conto che ogni individuo è uguale all’altro, sostituibile, dimenticabile, e ci rendiamo conto che molte delle passioni che viviamo sono standardizzate, raccontate sempre nella stessa identica maniera, omologate per essere più facilmente trasformate in target merceologici. Insomma, che cos’è davvero l’identità? L’idolatria della nostra epoca o il fantasma di quello che abbiamo perso? Se poi aggiungiamo che Girolamo è convinto che il suo doppio esista in carne e ossa e se ne vada a spasso da qualche parte della città, vivendo una vita migliore della sua, capisci quanto il tema del doppio e dell’identità che ci scivola via tra le mani come sabbia tra le dita siano al centro di questo scompigliato romanzo.