Giorgio Fontana, Prima di noi

Giorgio Fontana, Prima di noi

Premio Bagutta e Premio Alvaro-Bigiaretti 2021

Giorgio Fontana, Prima di noi
È Giorgio Fontana con il romanzo Prima di Noi (Sellerio) il vincitore della VII edizione del Premio Alvaro-Bigiaretti 2021. Il romanzo ha ottenuto la maggioranza dei voti sia della giuria scientifica sia della giuria popolare. Il Comitato Direttivo del Premio presieduto da Giorgio Nisini, riunito nella casa di campagna dei due scrittori, ha decretato vincitore il romanzo di Fontana, finalista della Cinquina di questa edizione insieme a Desideri deviati di Edoardo Albinati (Rizzoli), Il ritratto di Ilaria Bernardini (Mondadori), Kolja. Una storia familiare di Giulia Corsalini (Nottetempo) e Cuore di Furia di Romana Petri (Marsilio). Il romanzo ha vinto anche l'edizione 2021 del Premio Bagutta. Lo ha deciso la giuria presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti, segretario Andrea Kerbaker e composta da Rosellina Archinto, Silvia Ballestra, Eva Cantarella, Elio Franzini, Umberto Galimberti, Ranieri Polese, Elena Pontiggia, Enzo Restagno, Mario Santagostini, Alessandra Tedesco, Valeria Vantaggi, Orio Vergani, Davide Mosca.

Nel 1917 Maurizio Sartori è un fante in fuga dalla guerra. Il romanzo di Giorgio Fontana, Prima di noi, si apre con un giovane uomo, dalla psiche devastata dagli orrori a cui ha assistito, che trova rifugio in una fattoria friulana dove conosce Nadia di cui s’innamora appassionatamente ricambiato. Quando Nadia gli annuncia di essere incinta però Maurizio scappa; sarà il padre della ragazza a costringerlo a tornare indietro e a sposarla. La saga dei Sartori, in cui sotto traccia resta il segreto della vigliaccata dell’avo – i tre figli della coppia, Gabriel, Renzo e Domenico e i figli dei primi due e i loro nipoti – arriva fino al 2007, intrecciando le vicende della famiglia con quelle d’Italia. Ambientato tra il Friuli e la Lombardia, il romanzo racconta passioni individuali e collettive; personaggi determinati e pieni di vitalità, personaggi fragili e animati da spirito umanitario, personaggi con ambizioni artistiche risolte o irrisolte; descrive gli effetti sulla gente comune del fascismo, della lotta operaia, del terrorismo. Un grande affresco in cui figure e paesaggi risaltano con grande evidenza e in cui si sente il pulsare delle emozioni.

Udine veniva inghiottita dal buio. Il cosmo si spegneva in un crepuscolo vastissimo e consunto, le nubi rotte da un’ultima pulsazione di luce. La guerra è finita, si diceva il fante Maurizio Sartori, lo sbandato, il fuggitivo, l’uomo senza onore. È finita davvero per tutti, per i vivi e per i morti. Ma la mia no: la mia comincia ora.

 Giorgio Fontana è nato a Saronno nel 1981 e vive a Milano. Ha pubblicato Per legge superiore (2011), Morte di un uomo felice (Premio Campiello 2014), e Un solo paradiso (2016). È sceneggiatore per Topolino, collabora con diverse testate e insegna scrittura.


Di seguito il testo dell’intervista a Giorgio Fontana su Prima di noi.


Prima di noi è la storia di una famiglia che s’intreccia con la Storia d’Italia. Ci sono dei tratti dei Sartori che li riconducono all’italianità, c’è qualcosa sul carattere degli italiani che hai scoperto scrivendo questo libro?

No, nient'affatto. Io credo che un romanzo si occupi di esistenze immaginarie e non di concetti così stratificati e controversi come quello di "italianità". Certo Prima di noi è anche un romanzo sull'Italia, e in quasi un secolo della nostra storia alcuni tratti comuni possono emergere in filigrana: ma non era il mio scopo indagarli. Il mio scopo era raccontare come se la cavano i Sartori su questa terra.


L’inizio colpisce per la sua potenza narrativa. C’è un amore tradito, c’è un giovane uomo  troppo provato da quello che ha vissuto che vorrebbe sfuggire ai legami e diventa suo malgrado il capostipite della famiglia. Sin dall’inizio sapevi che questo segreto sarebbe riemerso alla fine del libro?

All'incirca: diciamo che quando ho iniziato a pensare il romanzo (ormai una decina di anni fa) avevo ben chiaro l'inizio e un'idea nebulosa della fine, in cui tuttavia già c'era la volontà di chiudere il cerchio dei Sartori. Il punto è che non sapevo come fare. Ci ho messo un bel po' a trovare il modo per "riportare a casa" la storia e sciogliere il non-detto che attraversa tutte le pagine: quando è arrivata l'illuminazione è stato quasi liberatorio.
Il problema essenziale era garantire al romanzo una sorta di doppio corso temporale: quello cronologico della storia, dal passato al futuro, in cui le quattro generazioni dei Sartori si alternano; e uno inverso, dal futuro al passato, dove alla fine scopriamo — per usare letterariamente un'idea di Benjamin — che abbiamo una responsabilità non solo verso il futuro ma anche verso chi ha vissuto "prima di noi".


Nei Sartori circola una vena artistica, fanno i mestieri più disparati ma molti di loro hanno un particolare talento: hai voluto donargliene un po’ del tuo, farlo emergere in varie forme?

È vero, molti Sartori hanno un dono con il quale cercano anche di venire a capo della stortura iniziale, il doppio tradimento del loro capostipite Maurizio. In Gabriele — che è un personaggio, come annoto alla fine, largamente ispirato a mio nonno — ho profuso una devozione per le parole che ovviamente condivido; ma per lo più ho donato ai Sartori talenti che non possiedo affatto: l'abilità fotografica, la bravura nel disegno e soprattutto il canto (sono stonatissimo).


Quanto è importante in questo tipo di romanzi rendere la realtà dei luoghi nei diversi momenti storici, dalla campagna friulana alla periferia milanese?

La ricerca è un aspetto fondamentale per questo tipo di romanzo. Affrontare quasi cento anni di storia e diversi luoghi senza uno studio accurato sarebbe stato del tutto irresponsabile: per uno scrittore realista è necessario ricostruire un dato scenario con la massima cura — anche solo per una questione di onestà intellettuale. Ma c'è di più: indagando a fondo, scoprendo com'erano certi posti o certe abitudini, cosa si mangiava e come si parlava, anche le possibilità narrative si moltiplicano: i personaggi si arricchiscono. Credo che lo studio non spenga affatto la creatività, e anzi la vivifichi.


Il romanzo è per te anche uno strumento per riflettere sulla morale collettiva e sua quella individuale, per ragionare sulle scelte che abbiamo davanti?

Come scrive Javier Cercas ne Il punto cieco, il romanzo è "un genere che si prefigge di proteggere le domande dalle risposte", e resta essenzialmente fine a se stesso. Ciò detto, non penso che il romanzo sia solo intrattenimento; quantomeno, mi sforzo di scrivere romanzi che non si limitino a questo e che sfidino in qualche modo il lettore alla riflessione, gli donino quella forma di conoscenza peculiare che solo la narrativa possiede. C'è qualcosa di paradossale, ma è lo splendido paradosso delle storie: da un lato non sono strumenti di nulla; dall'altro attraverso le scelte dei personaggi finzionali ragioniamo con più cura sulle nostre.