Canto 13 - Finis

Purgatorio

Valdirose o Borgo Rosenthal (in sloveno Rožna Dolina) è un paese della Slovenia, frazione di Nova Gorica. Nell’Ottocento il cimitero ebraico, proveniente dal ghetto, ha trovato qui nuova collocazione ed è rimasto in uso fino al 1947.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
E’ il primo pomeriggio del lunedì 11 aprile. Siamo nella seconda cornice, di cui è custode l’Angelo della Misericordia che cancella un’altra “P” sulla fronte del Poeta. Vi sono puniti gli invidiosi. Questa la loro espiazione purificante: stanno seduti con le spalle alla parete rocciosa, stretti fra loro, coperti da una specie di tunica rasposa, del color della petraia, ciechi perché hanno gli occhi cuciti da filo di ferro. Recitano le litanie dei santi ed ascoltano esempi di carità cantati da voci di esseri invisibili nell’aria, ma anche esempi di invidia punita emessi da voci che fanno paura. Il contrappasso è questo: loro guardarono con occhi cattivi la gioia e i beni degli altri; adesso sono accecati. Lì tutto è livido, come livido è il volto e lo sguardo dell’invidioso.
Man mano che i Poeti salgono, le cornici diventano più strette: Dante lo spiega nei primi versi del canto, aggiungendo che qui non si trovano sculture a terra. Virgilio intuisce che non incontreranno anime in movimento, per cui si affida al Sole per guida in un luogo mai visitato prima nemmeno da lui che è spirito.
Avevano già percorso un miglio terrestre, quando sentirono voci invitanti all’amore: ma non era visibile chi pronunciava quelle belle parole. Sono esempi di carità: “Non hanno vino” (da cui il primo miracolo di Gesù alle nozze di Cana); “Io sono Oreste” (l’amicizia fra lui e Pilade dette luogo a una straordinaria gara di generosità, quando Pilade si dichiarò di essere Oreste per salvarlo dalla morte a cui era stato condannato, e questi, arrivato nell’attimo supremo, contraddisse l’amico per scampare lui dalla morte); “Amate i vostri nemici” disse la terza voce. Virgilio spiega a Dante il motivo di quegli esempi orali, invitandolo a guadare avanti i penitenti addossati alla parete rocciosa. Più oltre, si udì gridare: “Maria, prega per noi” e “Michele, Pietro e tutti i santi”.
Il pellegrino dichiara la sua commozione e il suo dolore nel vedere il modo della pena: “Di vil cilicio mi parean coperti, / e l’un sofferia l’altro con la spalla, / e tutti dalla ripa eran sofferti”, come i ciechi fuori delle chiese, accalcati uno all’altro per muovere a compassione la gente affinché dia loro l’elemosina. Le anime hanno – come detto prima - le palpebre cucite col filo di ferro.
“A me pareva, andando, fare oltraggio, / veggendo altrui, non essendo veduto”: Dante prova una sorta di colpa nella differenza fra lui che vede e i penitenti che non possono vedere. Così si rivolse a Virgilio, il quale interpretò subito il suo silenzio e disse: “Parla, ma sii preciso e chiaro”.
L’orribile cucitura provoca dolore e lacrime ai penitenti. Il Poeta, con una frase augurale (il “se” dell’88° verso è ottativo), chiede se ci sia qualche anima italiana, e dice pure che sarà utile a lei (per il motivo che abbiamo già spiegato della preghiera e della comunione dei santi). Risponde un’ombra che sembrava visibilmente aspettare qualcuno. Lei specificò che in Purgatorio si è tutti cittadini della città celeste. Ma Dante non ha chiaro a chi appartenga la voce, per cui prega che chi ha parlato si rende riconoscibile. E si tratta di una donna, senese: Sapia, zia di Provenzano Salvani, incontrato fra i superbi nell’undicesimo canto, sorella di Ildebrando Salvani padre del detto Provenzano. Ella si definisce non saggia, contraddicendo il proprio nome (Sapia viene dal latino sapere, quindi dovrebbe significare savia): gioì per la disfatta dei ghibellini senesi da parte dei guelfi fiorentini, perché (come risulta da un verbale del consiglio della repubblica di Siena di gennaio 1267), quando fu deciso di nominare il podestà di Siena, Provenzano fece in modo di far eleggere il fratello Guinibaldo al posto del marito di Sapia Saracini da Strone. Ciò rese invidiosa la donna, la quale si placò soltanto dopo la disfatta dei propri concittadini e parenti! “Gridai a Dio: non ti temo più, tanta è la contentezza di questo momento, qualunque male tu mi mandi, e feci come il merlo che, notando un po’ di tempo mite a fine gennaio, ritenne che fosse terminato l’inverno e pronunciò la stessa frase a Dio” (si veda Franco Sacchetti, Trecento novelle). “Al termine della vita mi pentii, tanto che dovrei ora scontare un tempo di attesa fra i negligenti nell’Antipurgatorio, ma il buon Pier Pettinaio mi ricordò nelle sue sante orazioni, grazie alle quali ho accorciato l’attesa”. Pietro da Campi fu terziario francescano, vissuto 109 anni (morì nel 1289). Il soprannome di Pettinaio gli derivò dalla sua intransigente onestà nel lavoro. Si recava a Pisa per acquistare i pettini, in gran quantità, ma sul ponte della stessa città operava una rigida selezione di essi, gettando nel fiume quelli scadenti. Gli venne osservato che pure quelli scadenti qualche cosa velavano; al che il buon mercante rispondeva: “Io non voglio che niuna persona abbia da me mala mercanzia”.
Ed ecco il punto centrale del canto, e uno dei più significativi della Divina Commedia.
Sapia chiede al pellegrino: “Ma tu chi sei, che – come credo – hai gli occhi liberi di guardare e respiri mentre parli?”. L’udito raffinato dei ciechi coglie questo particolare che ad una persona vedente sfuggirebbe. E Dante, prevedendo onestamente il suo futuro dopo la morte, risponde che a lui le palpebre non saranno cucite se non per poco tempo, siccome non ha sofferto d’invidia, ma teme l’altra punizione: quella dei superbi. Infatti, che Dante sia destinato al Purgatorio ce lo dicono le parole di Caronte: “Più lieve legno convien che ti porti”, cioè, tu dovrai essere traghettato dall’angelo nocchiero sul leggero vascello che trasporta le anime dalla foce del Tevere alla spiaggia del monte della purgazione. Ma il riconoscere i propri difetti (Dante era superbioso, lo dicono tutte le fonti a disposizione degli studiosi) è garanzia di magnanimità, equilibrio e – strano a dirsi – pure di umiltà.
Il dialogo si chiude con la solita raccomandazione dell’anima affinché il vivo, tornato sulla Terra, ricordi ai parenti e agli amici di pregare per lei.