Canto 18 - Visioni di un ritratto

Paradiso

Sinossi a cura di Aldo Onorati

Cacciaguida gioiva in sé stesso per aver confortato con le ultime parole il pronipote, ed anche Beatrice lo invita ad abbandonare i turbamenti ricordandogli che lei è vicina a Dio il \quale è giustizia e non lascia i torti impuniti.
Dante si perde nello sguardo indescrivibile di lei, che lo invita a mirare ed ascoltare il trisavolo, poiché il Paradiso non sta solo nei suoi occhi. Cacciaguida, infatti, aveva ancora voglia di parlare. Elenca alcuni spiriti che in Terra ebbero gran fama (perché Dante li noti, appena il suo trisavolo li nomina, essi lampeggiano di fulgore per distinguersi dagli altri): Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, il paladino Orlando, Guglielmo d’Orange (morto in odore di santità nell’812), Rinoardo (saraceno convertito al cristianesimo grazie a Guglielmo; però egli appartiene alla leggenda), Goffredo di Buglione (primo re di Gerusalemme, condottiero della prima crociata), Roberto il Guiscardo (duca di Puglia e di Calabria, scacciò i saraceni dall’Italia meridionale). Quindi, mossosi per tornare fra i suoi compagni di beatitudine, cantò con voce bellissima.

Dante si volse, ancora questa volta, a Beatrice per conoscere quello che doveva fare, e fu vinto dalla luce del suo sguardo, il quale superava ogni altro splendore. “La constatazione dell’aumentata circonferenza dell’arco celeste, mi indicò che ero salito ancora”: infatti, i due sono nel cielo di Giove. Il quale non è vermiglio come Marte, ma bianco, e il Poeta porta la similitudine di una donna che improvvisamente scolorisce liberandosi dal peso della vergogna che l’aveva fatta arrossire.

Ora avviene un fatto prodigioso: “Io vidi nella sfera di Giove le anime comporre le lettere del nostro alfabeto (della nostra favella) a guisa degli uccelli di palude che, levatisi dall’acqua, creano figure in cielo. Le anime beate fecero da principio la D, poi la I, quindi la L, cantando e muovendosi, ma sostando appena rappresentavano una di queste lettere. Tra vocali e consonanti, formarono 35 segni. Da principio lessi DILIGITE IUSTITIAM, poi QUI IUDICATIS TERRAM (amate la giustizia voi che giudicate la Terra). E qui avviene una straordinaria metamorfosi da parte delle anime che avevano “scritto” quella frase: esse si fermarono tutte sulla emme (M) di TERRAM, la quale bisogna intendere fatta a forma epigrafica gotica. Poi, scesero altri spiriti dall’alto posandosi al colmo della lettera, lodando Dio. Quindi, come accade alla fiamma del ciocco ardente, da cui si staccano scintille verso l’alto se si percuotono i tizzoni (spettacolo naturale da cui gli stolti traggono pronostici), così le anime si mossero per formare un’aquila (aguglia). E’ chiaro l’intendimento del Poeta: la M è la prima consonante di Monarchia.

Quale modello ha ispirato quel disegno vivo? Non ce n’è, se non Dio stesso. “O dolce stella, quali e quante gemme/ mi dimostraro che nostra giustizia/ effetto sia del ciel che tu imgemme!” (v. 115-117): la nostra giustizia proviene dall’influsso di questo cielo, afferma Dante, aggiungendo una riflessione: “Io prego Dio perché rivolga la sua attenzione di nuovo sulla Terra, da cui vapora il fumo che annebbia i raggi del pianeta ove mi trovo, affinché Egli castighi per la seconda volta, dopo il fatto dei mercanti nel tempio fustigati da Gesù, chi fa della santa Chiesa, fondata dai martiri, una spelonca di ladroni. E questo cattivo esempio disvia i popoli (il riferimento è forse al papa Bonifacio VIII e al pontefice Giovanni XXII). Prima si combattevano le guerre con le armi cruente; ora si fanno negando a questo e a quello il sacramento che il Padre Celeste non rifiuta a nessun essere vivente”. E’ da specificare che Dante si riferisce alle scomuniche che i papi mettono e tolgono a loro piacimento e a fini temporali (Giovanni XXII condannò Cangrande della Scala: questo pontefice, ultimo nella vita del Poeta –regnò dal 1316 al 1334 – scriveva la scomuniche solo per poterle cancellare in base a interessi mondani, essendo molto avido. Dante gli ricorda che san Pietro e san Paolo, i quali morirono per tenere fruttifera la vigna che il pontefice suddetto guasta (“il vignaio è reo”), sono ancora vivi. “Ma tu sei solito dire che non conosci san Paolo, bensì solo Giovanni il Battista, la cui immagine è marcata su una delle facce del giglio fiorentino”.

La critica alla Chiesa mercanteggiante è continua e irrefrenabile: per quanto bisogna sempre tenere l’occhio al Veltro, che non “ciberà terra né peltro”, e san Francesco il quale sposò Madonna povertà vedova dello stesso Gesù Cristo.