Canto 1 - Argilla

Inferno

QUASI UN DIARIO DI VIAGGIO di Lamberto Lambertini
Il Caso, fratello maggiore della fortuna e del coraggio, mette sulla nostra strada, già a metà del percorso, il giovane scultore, Ciro Vignes. Voleva mostrarmi un busto di Gioacchino Murat, l'eroe del mio ultimo film a Napoli, bellissimo, allora gli chiedo di modellarmene uno di Dante, non arcigno, ma assorto, trasognato poeta. Da quel giorno questo nostro viaggio prende il volo. Quale incipit più significativo, più beneaugurale, per la nostra opera? Tra i vicoli di Napoli, metafora di tutte le metropoli in bilico tra degrado e cultura, il ritratto del "nostro" Dante?

Bottega artigianale di Ciro Vignes
Scheletri, scatole cinesi, alambicchi e gusci di tartaruga. Oggetti bizzarri che sembrano provenire da una tipica camera delle meraviglie. Vicino alla cappella Sansevero (detta anche chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella) tra i più importanti edifici di culto di Napoli e nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore, sorge il piccolo negozio/atelier di Ciro Vignes, scultore appassionato.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
Nella notte fra il giovedì santo, 7 aprile 1300, e l’alba del venerdì santo, 8 aprile, Dante si perde in una selva oscura. Egli ha 35 anni, è a metà della vita, se si considera la durata di essa (per la Bibbia: 70 anni i forti). È a questo punto cruciale dell’esistenza che si smarrisce in una valle tenebrosa, quella del peccato, pieno di sonno (l’indifferenza morale), a causa del quale Dante non riesce a spiegare come entrò in quella selva, dalla quale solo la Grazia Divina può salvarlo (purché l’uomo si apra all’opera della Provvidenza). Ed ecco il colle “dilettoso” apparire ai suoi occhi proprio nel momento della disperazione, ma tre fiere si frappongono tra lui e la salvezza: una lonza, un leone e una lupa, rispettivamente allegorie della sensualità, della superbia e dell’avidità. La terza belva, causa d tutti i mali del mondo, quindi peggiore e più pericolosa della stessa superbia e dei sensi, gli fa perdere la speranza dell’altezza. Ma ecco la bontà Divina accorrere in suo aiuto, perché il pentimento di Dante è sincero. Appare, sulla cima del colle, Virgilio (che Dante sceglie a emblema della ragione, ma anche perché nel Medioevo il poeta latino era ritenuto un profeta della venuta di Cristo: e si leggano i versi 64-73 del XXII canto del Purgatorio). Questi indica nella cupidigia un pericolo mortale per l’essere umano, perché dalla brama di possesso nascono altri mali (“molti son li animali a cui s’ammoglia”, v. 100). Ma giungerà infine il Veltro, che la scaccerà lontano, fino a rimetterla nell’Inferno da cui Lucifero (l’invidia prima) la fece uscire. Su questo enigmatico Veltro si sono versati fiumi di inchiostro onde individuare il grande protagonista della restaurazione morale. Fuori di metafora e di riferimenti indimostrabili, bisogna pensare a una forza di rinnovamento evangelica, spirituale, che è -secondo Dante- prossima a venire.

“Io ritengo, per il tuo meglio”, spiega Virgilio, “che tu debba seguirmi in un viaggio in cui ti sarò guida sicura, dove tu vedrai le genti dolorose ch’hanno perduto il ben dell’intelletto (in Inferno) e quelle che sono contente di purgarsi nel fuoco perché le attende, dopo l’espiazione nella speranza (il Purgatorio), il premio della letizia eterna in Paradiso”.
Il poeta latino avverte Dante che per il terzo regno gli sarà maestra un’anima più degna di lui (Beatrice).
Il pellegrino acconsente, chiedendogli, proprio in nome di quel Dio che Virgilio non conobbe, di salvarlo dal male presente e da quello peggiore che aveva alle spalle, ancora minaccioso attraverso le tre belve. Il Maestro si incammina, e Dante, in silenzio, ma pieno di speranza, lo segue.