Canto 31 - Domus

Purgatorio

XXXI - DOMUS (Pisa)
Scuola Normale Superiore di Pisa
Nata ufficialmente nell'ottobre 1810 come succursale dell'École Normale di Parigi, per via di un decreto napoleonico, tutt'oggi è un centro di riferimento di alta formazione. La scuola è ubicata nella sede storica del Palazzo della Carovana.

Domus Mazziniana
La Domus Mazziniana è la casa dove soggiornò e morì il 10 marzo 1872 Giuseppe Mazzini.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
Continua il forte rimprovero da parte di Beatrice a Dante, che, a un certo momento, sviene.
Ora bisogna pur esprimere un personale pensiero, una considerazione di ordine particolare sulla “figura” (parola suggerita da Auerbach) di Beatrice. La critica si divide in due grandi filoni contrastanti: quella di chi (come Benedetto Croce, ad esempio) libera il testo da simbologie dottrinali e l’altra che, invece, vede Beatrice solo in chiave allegorica. A me pare che il senso letterale e il sovrasenso creino una fusione mirabile nella narrazione e nei personaggi principali, i protagonisti di una storia già conosciuta nella Vita Nova sebbene con altro spessore lirico. Fino a che punto un’umanità vera e palpitante sorregge i simboli freddi d’una teologia (una teologia, perché Dante, pur rimanendo fedelissimo al dettato di Santa Madre Chiesa, crea la sua teologia intrisa di passioni e di tutte le realtà umane) alla qual sola si vorrebbe ridurre il complesso discorso del Paradiso Terrestre? 

Beatrice “ricomincia” il suo attacco tagliente chiedendo a Dante di confessare le proprie colpe. Al Poeta manca fisicamente la voce. E’ al colmo dell’emozione. Quindi il pellegrino emise un “sì” talmente fioco, che per intenderlo fu necessario, da parte di chi ascoltava, l’ausilio della vista. E qui viene fuori una domanda inevitabile, ma dolente fino all’umiliazione: “La mia bellezza ti conduceva ad amare Dio. Quale ostacolo ti ha fatto deviare? Quali guadagni, quali comodità ti mostrarono gli altri beni, per cui tu dovessi scegliere essi amandoli?”. Dopo un amaro sospiro, a fatica trovai la voce per rispondere e le parole articolate a stento dalla bocca, scrive il Poeta, che, piangendo, disse: “Le cose terrene mi fecero deviare coi loro falsi piaceri, e questo accadde appena non vidi più il vostro sguardo”. E Beatrice: “La tua colpa, confessata o non, Dio la conosce lo stesso. Ma quando il peccatore confessa spontaneamente il suo fallo, la giustizia divina ha clemenza. Tuttavia, poiché ora tu ti vergogni del tuo errore, e affinché nel futuro, ascoltando l’ingannevole canto delle sirene tu sia forte al loro richiamo, ‘pon giù il seme del piangere e ascolta’ (v. 46): udirai come la mia carne sepolta avrebbe dovuto condurti in direzione opposta a quella che hai seguito. Dio e arte non ti misero dinanzi mai una bellezza come quella del mio corpo che ora è mescolato alla terra; e se il sommo piacere si allontanò da te a causa della mia morte, quale altra realtà caduca avrebbe potuto attrarti nella sua orbita? Proprio la mia morte avrebbe dovuto sollevarti a desideri più nobili, considerando la fragilità e la pochezza delle cose umane. Non ti doveva far flettere le ali in basso l’attesa di nuove brutte sorprese o l’amore per una giovinetta. L’uccellino implume attende varie volte le prove, mentre gli adulti schivano i pericoli delle frecce e delle reti”.
Dante stava come i bambini che ascoltano pentiti i giusti rimproveri, e Beatrice gli ordina di alzare il mento (la barba), per sentire un dolore più acuto. “Dovetti fare più forza io ad alzare il volto verso di lei, che il vento a sradicare un robusto cerro”; e quando ironicamente gli ordinò di levare la barba intendendo il volto (o gli occhi, perché Dante usa spesso “visus” per significare la vista), ben conobbe il “velen delle parole”. Gli angeli avevano cessato di lanciare corolle quando Dante alzò il volto, notando a fondo il grifone (metà leone e metà aquila, che simboleggia la natura umana e divina di Cristo).
Nonostante Beatrice e Dante fossero divisi dal fiume, egli riuscì a notare che la presente bellezza di lei superava quella di quando era in vita e già appariva la più bella di tutte. Fu così che il Poeta sentì un bruciore come se punto da ortica, odiando proprio quelle cose che maggiormente aveva desiderato. “Più le avevo amate, più le odiai”. Una tale presa di coscienza lo strinse in una morsa che lo fece cadere svenuto (non è la sola volta che gli accade; le prime due sono nella chiusa del III e del V dell’Inferno). Quando rinvenne, vide sopra di sé la donna che aveva incontrato sola e per prima nell’Eden, la quale lo esortava ad aggrapparsi a lei. E’ il necessario bagno nel Letè. Lo aveva tratto nell’acqua fino alla gola, mentre lei ‘sen giva / sovresso l’acqua lieve come scola” (barca dal fondo piatto: “scala”, termine non raro in Veneto e in Romagna).
Ed ecco l’aspersione: la bella donna cinse con le dolci braccia la testa del peccatore e lo sommerse per costringerlo a bere. Quindi lo risollevò e lo immise nella danza delle quattro virtù cardinali. Ognuna di loro coprì col proprio braccio Dante, dicendo: “Noi, qui in Purgatorio, prendiamo l’aspetto di creature mitologiche dei boschi (e qui tutto è boschivo), ma in cielo siamo stelle; prima che Beatrice discendesse al mondo, fummo ordinate a servirla come sue ancelle. Noi ti meneremo davanti ai suoi occhi, ma saranno le tre donne (le virtù teologali) che stanno a destra del carro a farti vedere nel profondo della loro luce gioiosa”.
Quando è al cospetto di quei raggi splendenti, Dante ha gli occhi negli occhi di Beatrice: egli che sta per dare all’umanità una testimonianza unica, una sorta di rivelazione escatologica, è a tu per tu col grifone, allegoria di Cristo, cioè la Rivelazione.
Il pellegrino, colmo di stupore e di letizia, gustava il cibo della verità assoluta, quella che, saziando, tuttavia di sé asseta. E le tre donne pregavano Beatrice di rivolgere i suoi occhi santi al suo fedele che, per incontrarla, aveva percorso un viaggio tanto faticoso. Ma le chiedono la grazia di mostrare a Dante anche la bocca, affinché egli possa ammirare la seconda bellezza che ella cela (qui è d’uopo rifarsi al Convivio, nel quale il Poeta spiega che gli occhi della Sapienza sono le dimostrazioni, mentre la bocca è la persuasione nella quale si dimostra la luce interiore della sapienza stessa: occhi e riso, suprema bellezza della donna, qui hanno significazione teologica).
La chiusa del canto fa pensare alla tecnica della recusatio che l’Alighieri usa per metodo nel XXXIII del Paradiso: l’autore si dichiara incapace di descrivere le meraviglie viste, come qui lo fa per la bellezza assoluta di Beatrice che nessun alunno di Apollo e delle Muse saprebbe rappresentare.