Gaia Manzini, Nessuna parola dice di noi

Diventare madre, diventare donna

A ventisei anni Ada comincia uno stage come copywriter in un’azienda pubblicitaria milanese. Il lavoro la entusiasma, così come Alessio, l’art director con cui si trova a collaborare. Quando le propongono di andare con lui per un periodo a Seattle, Ada non si tira indietro nonostante questo voglia dire non vedere per un po’ la figlia di nove anni Claudia (di cui non ha fatto parola in agenzia). Il fatto è che Ada è diventata madre troppo presto, a diciassette anni, e si è sentita privata di una parte importante della sua giovinezza: la bambina l’ha tirata su insieme ai suoi genitori a Stresa e allontanarsi da lì le dà un certo sollievo. In Nessuna parola dice di noi, pubblicato da Bompiani, Gaia Manzini mette al centro una donna innamorata che prova a scrollarsi di dosso i pesi che porta. Alessio è gay, non può essere l’uomo della sua vita e sul lavoro si dimostra un carrierista spietato, ma è la scintilla che le accende dentro la voglia di cambiare, di scoprire sé stessa, allontandosi dal modello che le offre sua madre.

Con Alessio lavorare era bellissimo, avrei voluto dirle. Mi piaceva l’obbligo implicito per i creativi di tornare bambini; era un modo per accedere alla propria inventiva, per dischiudere la fantasia e dimenticare le responsabilità. Tutto era sullo stesso piano, tutto poteva essere dissacrato ancora e ancora: Dio, il lavoro, l’amore, la fedeltà, la famiglia, i figli o la possibilità di averne. Tutto andava in pezzi sul bordo tagliente delle parole.


Gaia Manzini vive e lavora a Milano; ha scritto Nudo di famiglia (Fandango 2009, finalista Premio Chiara), La scomparsa di Lauren Armstrong (Fandango 2012, selezione Premio Strega), Ultima la luce (Mondadori 2017). Collabora con Il Foglio e L’Espresso.