Fabrizia Ramondino, Guerra di infanzia e di Spagna

Secondo Beatrice Alfonzetti

Torna in libreria per Fazi editore il romanzo di Fabrizia Ramondino, Guerra di infanzia e di Spagna, uscito  per la prima volta da Einaudi nel 2001. In esso Ramondino rievoca la propria infanzia a Maiorca a partire dal 1937 al seguito del padre console, ma lo spunto autobiografico viene subito trasceso a favore di un’immersione totale nell’immaginario di una bambina. Al centro della narrazione c’è la trasfigurazione che la mente infantile opera sulla realtà. Titina è in lotta contro la crescita, non ha nessuna voglia di abbandonare il mondo fatato che la circonda; accanto a lei dominano la figura mitica di Mamita, oggetto di amore e di odio allo stesso tempo, quella della nonna che arriva da Napoli con il suo carico di storie, e quella di Dida, l'amata governante da cui la bambina verrà strappata dopo il suo licenziamento. E poi c’è l’isola di Maiorca, il suo mare sfondo di meravigliose avventure, le sue ville, tra cui la Son Batle, in cui cresce Titina, prima di passare per il collegio e trasferirsi due volte. E ci sono i giochi, i travestimenti, le metamorfosi che Ramondino riesce a trasferire sulla sua pagina ricca di echi letterari. Grava su tutto l’ombra di una spaventosa guerra e la sensazione di una fine imminente: l'avventura cominciata in culla si chiude a sette anni, quando Titina è costretta ad abbandonare l’isola e ad abbandonare le sue amate fantasticherie.
 

Gettavo dentro il pozzo delle pietre e ogni volta che esso le inghiottiva provavo un tuffo al cuore, mi pareva di udire un “Amh!” e di trovarmi dinanzi all’improvviso un avido drago che io rabbonivo dandogli pezzetti di pane perché mi risparmiasse. Mi affacciavo oltre l’orlo e mi pozzo mi rubava la faccia; mi giravo indietro per vedere se l’albero che il fondo del pozzo aveva rubato assieme alla mia faccia era ancora lì, e pensavo “Se l’albero è ancora lì, anche io sono ancora qui.” Ma non ero del tutto rassicurata dal mio ragionamento. 


Fabrizia Ramondino nasce a Napoli nel 1936, ma fin da piccola viaggia molto in Italia e all’estero grazie agli incarichi diplomatici del padre, ricevendo un’educazione cosmopolita che confluisce in gran parte nelle vicende narrate in Guerra di infanzia e di Spagna. Negli anni Sessanta torna nella città natale, diventando molto attiva sul territorio attraverso l’insegnamento e l’impegno sociale. Ha spaziato dalla narrativa al reportage, dall’autobiografia alla poesia, ottenendo la notorietà e diversi riconoscimenti già a partire dal romanzo d’esordio Althénopis, nel 1981. Muore nel 2008.

Beatrice Alfonzetti insegna Letteratura italiana presso La Sapienza. Coltiva diversi campi d’indagine: la letteratura teatrale, i divieti della morte in scena, i finali come emblemi epocali. I suoi volumi: Il trionfo dello specchio. Le poetiche teatrali di Pirandello, Cuecm, 1984; Il corpo di Cesare. Percorsi di una catastrofe nella tragedia del Settecento, Mucchi, 1989; Teatro e Tremuoto. Gli anni napoletani di Francesco Saverio Salfi, Franco Angeli, 1994 (nuova edizione 2013); Congiure. Dal poeta della botte all’eloquente giacobino (1701-1801), Bulzoni, 2001; Dramma e storia da Trissino a Pellico, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013. Fra i più recenti: (a cura di) Settecento romano. Reti del Classicismo arcadico, Viella, 2017; Pirandello. L’impossibile finale, Marsilio, 2017; Drammaturgia della fine da Eschilo a Emma Dante, nuova edizione rivista e ampliata, Bulzoni, 2018.