Yari Selvetella, Vite mie
Un romanzo famigliare
Al centro del romanzo di Yari Selvetella, Vite mie, pubblicato da Mondadori c’è il sentimento dello stare insieme di una famiglia allargata: un padre, una madre, quattro figli che hanno genitori diversi e sono molto legati tra loro. Lo scenario è una casa vicino al Colosseo che li contiene tutti ma che sta per essere lasciata da una parte di loro perché è in corso la ricerca di un’altra abitazione. L’io narrante, Claudio Prizio, veglia sui suoi familiari, fa la spesa, cucina, s’interroga sugli stati d’animo altrui e sui propri e insieme scandaglia il passato, l’evoluzione del suo dolore per la perdita di G. Aggirandosi per Roma, a Claudio pare di intravedere sé stesso nell’automobilista che incrocia attraversando la strada o nell’immobiliarista che gli mostra un appartamento: la percezione della propria unicità si scontra con l’ipotesi che altri abbiano non solo gli stessi lineamenti, ma anche le stesse confuse ambizioni e gli stessi contradditori sentimenti. Un romanzo sugli affetti, che sono l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta, sulla paura di perderli e su quella di non essere alla loro altezza.
Yari Selvetella è nato a Roma nel 1976. Tra i suoi ultimi romanzi Le regole degli amanti (Bompiani 2020), premio Cambosu, Le stanze dell'addio (Bompiani 2018), candidato al premio Strega, La banda Tevere (Mondadori 2015). Ha pubblicato il libro di poesie La maschera dei gladiatori (CartaCanta 2014). Si è a lungo occupato di storia della criminalità con saggi e reportage. Giornalista e autore televisivo, lavora per la Rai.La mia vera battaglia, così antica e velleitaria, è sempre la stessa, è la sfida al tempo, però mi interessa solo se ci riguarda tutti. Noi siamo personaggi: se voglio che il mio giochino funzioni, devo trattarci così. Ma non basterà scrivere. Potrei provare a imbalsamarla tutta in un racconto, la nostra autentica vita, tirar via gli estremi, le viscere del superfluo e dell'inenarrabile e conservarne invece, con tutti crismi, la struttura e la polpa; è un'azione macabra, necessaria e tuttavia insufficiente a esaurire il compito che, qui sul treno, decido di prefiggermi. Pretendo di più. Voglio che il sentimento del nostro stare insieme, così come è avvenuto, resti in modo più consistente, voglio che si impasti letteralmente alla terra.