Matteo Nucci, Il grido di Pan

La rimozione dell'animalità

Partendo da miti greci come quelli del Minotauro, la Sfinge, re Mida e Edipo e arrivando fino a Ernest Hemingway e a Friedrich Dürrenmatt, Matteo Nucci in Il grido di Pan (Einaudi) analizza la difficoltà dell’uomo di oggi a confrontarsi con la propria animalità e con la morte: ci affidiamo al logos nella pretesa impossibile di avere una risposta a tutti e allontaniamo il pensiero della fine che ci aspetta, riducendo sempre di più il tempo delle cerimonie di commiato dai defunti. Pan, il caprone nato dall’unione di Ermes con una ninfa che fugge dopo averlo partorito, con il suo grido ci riporta alla nostra natura animale. Gli attacchi di panico vengono a chi non sa calarsi nell’oblio di sé, a chi si crogiola nell’ideale dell’infinita sapienza. Un excursus labirintico tra antica sapienza, letteratura e osservazione dal vivo.

Pan non è affatto morto. O meglio, è morto prima di morire. Proprio come Dioniso. È morto per rinascere. E infatti il dio caprino grida ancora. È un grido che getta nel panico chi alle sue leggi si ribella. Si salva solo chi ritrova il respiro, abbandonandosi al respiro animale della terra. 

Matteo Nucci (Roma, 1970) ha tradotto e curato per Einaudi il Simposio di Platone (2009) e pubblicato Le lacrime degli eroi (2013), Achille e Odisseo (2020) e Il grido di Pan (2023); per Ponte alle Grazie, Sono comuni le cose degli amici (2009, finalista al Premio Strega), Il toro non sbaglia mai (2011), È giusto obbedire alla notte (2017, finalista al Premio Strega), L'abisso di Eros. Seduzione (2018); per HarperCollins, Sono difficili le cose belle (2022). Collabora con il Venerdì di Repubblica, Specchio de La Stampa e L'Espresso.