"S" come Stockhausen (II)

Il mimo in partitura

1975. Anno Santo. Per l’occasione, la RAI trasmise una rassegna di concerti di musica colta. Il 6 ottobre, fu la volta di Inori, per mimo e orchestra, di Karlheinz Stockhausen. Lo stesso compositore diresse, dall’Auditorium del Foro Italico in Roma, l'Orchestra Sinfonica della Rai di Roma. 
Nella clip proposta, Stockhausen, prima dell'esecuzione, presenta la propria opera, soffermandosi, in particolar modo, sul significato dei gesti del mimo, che corrispondono esattamente alle note della partitura.
 

Gli stessi gesti del mimo riferiti alla sacralità rituale di varie religioni sono rigorosamente predeterminati e si rapportano alle strutture sonore
Armando Gentilucci, musicologo


Karlheinz Stockhausen (1928 – 2007) si formò, dapprima, studiando pianoforte alla Hochschule für Musik di Colonia e Musicologia all’Università della stessa città; più tardi, a Parigi, si perfezionò in estetica ed analisi musicale con Olivier Messiaen e in composizione con Darius Milhaud. 
Fu una delle figure più significative degli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt, famoso centro di studio e produzione della musica d'avanguardia, frequentato a cominciare dall’inizio degli anni Cinquanta, pressappoco contemporaneamente a Luigi Nono. Le sue teorie sulla composizione hanno seminato nuovi germogli nella musica colta contemporanea, nel jazz e nella musica popolare. 

Stockhausen iniziò a comporre dal 1950, passando rapidamente da partiture tradizionali alla “musica seriale” (la tecnica compositiva basata sulla serie, principio costruttivo che si fonda su una successione prestabilita e invariabile di dodici note che prende le mosse da Schönberg, Berg e Webern), e alla cosiddetta “musica puntuale” (che concepisce i suoni come eventi a sé, con una conseguente riduzione dell'importanza del tessuto musicale). Oltre al lavoro di compositore, si dedicò alla direzione d'orchestra e al management di progetti culturali.

Stockhausen era convinto che le nuove concezioni musicali non potessero essere rappresentate per mezzo di un apparato orchestrale ereditato dal secolo precedente e riteneva che le opere del passato non dovessero più essere eseguite dal vivo, ma fruite esclusivamente attraverso dispositivi come la radio, il giradischi o i nastri. La musica elettronica, invece, che porta in sé nuove visioni spaziotemporali, doveva essere espressa, per il compositore tedesco, soltanto in sale appositamente concepite.
 

Per unanime consenso, Stockhausen era il principe ereditario del regno della nuova musica. Nessun compositore fu altrettanto instancabile nell’inventare o nell’appropriarsi di nuove idee, altrettanto ambizioso nel formulare la missione storica e spirituale dell’avanguardia, altrettanto abile nell’assemblare le sonorità più moderne in spettacoli stupefacenti
Alex Ross, critico musicale