L'indiscutibile rilevanza del folklore

Béla Bartók a settantacinque anni dalla morte

Cinque «numi tutelari» (Beethoven, Wagner, Debussy, Strauss e Stravinsky) e una fonte d’ispirazione, frutto di tenace ricerca: la musica e i canti popolari del Sud-est europeo. Béla Bartók costruisce su queste fondamenta il proprio cammino musicale, che, assieme a quello di vita, si conclude a New York il 26 settembre 1945.

Bartók era nato a Nagyszentmiklós (allora, Ungheria, oggi, Romania) nel 1881, da un padre musicista per diletto e una madre insegnante di pianoforte. A otto anni le sue prime, piccole composizioni, a sedici la prima sonata per pianoforte, poi, dopo il diploma liceale, l’iscrizione all'Accademia Reale di Musica di Budapest dove studia pianoforte con István Thomán, che era stato allievo di Franz Liszt, e composizione con Hans von Koessler (noto come János Koessler).

Coetaneo e compagno di studi di Bartók è Zoltán Kodály. Insieme, i due artisti si dedicano all’etnomusicologia, della quale diventano dei veri e propri pionieri, sebbene non fondatori (le basi della disciplina erano state gettate verso la fine del XIX secolo). Entrambi assumono il recupero del canto popolare come base per il rinnovamento del linguaggio musicale, rigettando l’idea romantica secondo la quale il motivo folclorico poteva essere introdotto esclusivamente in una struttura tradizionale.

La musica popolare raggiunge un’importanza artistica solo quando per opera di un grande talento creatore riesce a penetrare nell’alta musica colta e quindi ad influire su di essa
Béla Bartók

Tra il 1908 e il 1918, lo stile di Bartók si affina fino a raggiungere la piena maturità. A capo di questo percorso ci sono le Quattordici Bagatelle (1908), al termine i Tre Studi per pianoforte (1918). Con le Quattordici Bagatelle Bartók abbandona risolutamente la tradizione romantica, travasando in nuove strutture sia le ricerche sulla tradizione popolare, sia la scoperta e la ricezione della contemporanea musica francese, senza dimenticare la lezione dell'ultimo Beethoven nel consegnare al pianoforte il compito di principale strumento di ricerca espressiva.

In quello stesso arco temporale, l’impeto ritmico del folklore musicale rumeno, trasfigurato in dissonanza, irrompe nel linguaggio di Bartók (Allegro barbaro, 1911), che afferma una nuova concezione, di natura percussiva, del tocco pianistico. I due lavori teatrali di quel decennio, Il castello di Barbablù e Il principe di legno, rinviano ad ulteriori influenze. Il primo (1911) è un’opera in un atto ed è rappresentativo della fase di maggior prossimità al Pelléas di Debussy. Il secondo (1914-16) è un balletto che risente della lezione di Wagner (l’ouverture), di quella di Richard Strauss (l’orchestrazione) e dello Stravinsky dell’Uccello di fuoco e del Sacre (gli accordi aspramente dissonanti, i ritmi "barbarici", le audacie timbriche). Con i primi due Quartetti (1908 e 1917), invece, Bartók, ancora una volta, prende le mosse dall’ultimo Beethoven, pur non trascurando elementi tardoromantici e debussyani.

La prima guerra mondiale segna l’avvicinamento di Bartók alla poetica espressionista, seppure in una personalissima visione. Il mandarino meraviglioso (1918-19) è un balletto – insieme realistico e simbolico - che rappresenta l’impeto col quale – per mezzo di un uso accentuato degli elementi timbrici e ritmici - si manifesta il desiderio sessuale. Nell’Introduzione scompare ogni traccia di melodia; nel movimento successivo, invece, dal clangore dominante emerge, gradualmente, un motivo melodico affidato al timbro seduttivo del clarinetto.

Negli anni Venti e Trenta, il contesto musicale europeo è polarizzato dal neoclassicismo e dalla dodecafonia. Anche Bartók ne percepisce le suggestioni, pur mantenendo ferma la propria personalità stilistica. È un periodo particolarmente prolifico per il compositore ungherese, che esprime l’interesse per la Scuola di Vienna (Arnold Schönberg, Alban Berg, Anton Webern) nelle due Sonate per violino e pianoforte (1921 e 1922), mentre con il neoclassicismo stabilisce un confronto più duraturo, che ha inizio nel 1926 con una Sonata e un Concerto per pianoforte e orchestra. Del 1930 è la Cantata profana, allegoria contro il regime reazionario di Horthy, un’opera vocale basata su uno schema classico bachiano.

Bartók prosegue il proprio lavoro con due brani sperimentali: la Sonata per due pianoforti e percussioni e la Musica per strumenti a corde, percussioni e celesta, e, nel 1937, con i Mikrokosmos, una raccolta di centocinquantatré pezzi finalizzata alla formazione dei pianisti sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello dei nuovi linguaggi compositivi.

Il 1938 segna l’avvio del cosiddetto “terzo stile” di Béla Bartók: a questa fase appartengono i Contrasti per violino, clarinetto e pianoforte, il Secondo concerto per violino e orchestra (1937-38) e il Divertimento per orchestra d’archi (1939) caratterizzati da sonorità meno «fiammeggianti» e percussive di quelle adottate nel periodo immediatamente precedente e da un ritorno al tematismo.

Nel 1940, l’Ungheria aderisce al Patto tripartito (Roma, Berlino, Tokyo) e Bartók, di vedute liberali, decide di espatriare negli Stati Uniti.

Questo viaggio è, in fin dei conti, un salto nell'incertezza da una certezza insopportabile. [...] Scrivere di questa catastrofe, io credo, è del tutto inutile. [...] E non è concepibile che io possa ancora vivere, ancora lavorare (il che è lo stesso) in un paese di questo tipo. Io avrei davvero l'obbligo di espatriare
Béla Bartók

In America, Bartók ottiene un incarico alla Columbia University e compone il Concerto per orchestra (1943), considerato “il” capolavoro del classicismo bartokiano: vi appaiono tutti i suoi costrutti, ma «levigati», senza che, per questo, perdano in vivacità.

Gli ultimi due concerti, composti nel 1945, ci sono giunti incompleti e riveduti, successivamente, da Tibor Serly, suo allievo. Si tratta del Terzo Concerto per pianoforte e del Concerto per viola.

In tutti e due i concerti, il movimento centrale è un Adagio religioso. Particolarmente suggestivo quello del 'Concerto per pianoforte', che sembra volersi quasi ricollegare allo spirito – e, nel tema introduttivo, persino alla lettera – della ‘Canzona di ringraziamento’ del ‘Quartetto’ op. 132 di Beethoven. Rievocazioni che non debbono interpretarsi solamente come commoventi, fin strazianti testimonianze di una nostalgia dell’Europa e dei suoi valori culturali, seguita al brusco, inevitabile sradicamento, quanto come la sempre più evidente emergenza di quella componente classica, di quei legami con una tradizione colta rivissuta attraverso un filtro stilistico personalissimo, che Bartók non aveva mai reciso, anche nei momenti di più acceso sperimentalismo folklorico
Gianfranco Vinay, storico della musica

Proprio in questo periodo, la salute di Béla Bartók inizia a dare segnali di fragilità. Il compositore muore di leucemia all’età di sessantaquattro anni, a New York, il 26 settembre 1945 e lì viene sepolto. I suoi resti saranno portati a Budapest per i funerali di Stato il 7 luglio 1988.

Nel video:
Musica e danza all'Auditorium
Alle vittime senza nome: suona Orchetra Sinfonica Nazionale della Rai, 2018, Italia
Dall'Auditorium Toscanini della Rai di Torino, il brano Alle vittime senza nome del compositore ungherese Peter Eötvös nel concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai con la direzione dello stesso compositore. Il programma del concerto è completato dalle Danze di Marosszék di Zoltán Kodály e dalla pantomima in un atto di Béla Bartók Il mandarino miracoloso.