Wolfgang Amadeus Mozart e Dmitrij Šostakovič : le note di sala di Daniele Spini

Wolfgang Amadeus Mozart e Dmitrij Šostakovič : le note di sala di Daniele Spini

Giovedì 16 e venerdì 17 maggio - Auditorium Rai di Torino, Daniele Gatti

Wolfgang Amadeus Mozart e Dmitrij Šostakovič : le note di sala di Daniele Spini
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n. 34 in do maggiore, K 338

Estate 1780: Wolfgang Amadeus Mozart ha ventiquattro anni e mezzo, e sembra vegetare o poco più nella sua Salisburgo. Il soggiorno a Parigi fra 1778 e 1779 è stato quasi fallimentare, e di fatto l’ha visto rientrare con le pive nel sacco. Una brutta conclusione per la storia dei viaggi che l’avevano visto mietere successi in tutta Europa come bambino o ragazzo prodigio. Il suo futuro a questo punto potrebbe essere quello di un replicante di suo padre Leopold, identificato più come professionista solido e autorevole che non come protagonista della storia della musica, con uno stipendio sicuro a compensare il grigiore della corte un po’ provinciale dell’arcivescovo Colloredo. La realtà per fortuna è ben diversa.
L’ultimo viaggio non ha reso soldi né fama, ma ha consentito al musicista ormai sulla via di una maturazione profonda di completare l’esperienza già favolosa accumulata quando da ragazzino frequentava le capitali della musica europea, componendo ma anche imparando, grazie a una capacità straordinaria di assimilazione, dai maggiori musicisti di allora visti da vicino
Di fatto è già ai blocchi partenza, pronto allo scatto che fra un anno lo porterà a Vienna e a un cambiamento radicale della sua storia. Durante questo periodo di attesa crea tre sinfonie, che oggi leggiamo come ponte fra quelle pur eccezionali scritte da teen-ager e le sei che a Vienna coroneranno la sua produzione in questo campo. La terza è questa KV 338, datata 29 agosto 1780: probabilmente scritta dopo aver ricevuto dalla corte di Monaco la commissione di Idomeneo, l’opera destinata a innescare la rottura definitiva con l’Arcivescovo e forse anche con un padre ormai ingombrante.
Ultima sinfonia della giovinezza salisburghese e insieme prima tappa del cammino maggiore di Mozart, bilancia la freschezza e lo humour delle idee melodiche e ritmiche con la forma insieme solida e limpida
Ancora contenuta nella formula minore in tre soli movimenti, senza il Minuetto che nella tipologia viennese matura sta abitualmente al terzo posto, la sinfonia appare però già intensa e moderna nello sviluppo dei motivi. La strumentazione è arguta, e introduce fagotti trombe e timpani a rinforzare l’organico preclassico limitato per i fiati a oboi e corni, dando un carattere fastoso e marziale al primo movimento, e festoso e vivace al terzo, ma si alleggerisce con esiti eccezionali nel tempo di mezzo affidato ai soli archi (con viole suddivise in due sezioni) e i fagotti a irrobustire la linea del basso. La sinfonia fu presentata al pubblico a Vienna, dove Mozart si era recato al seguito dell’Arcivescovo, il 3 aprile 1781, al Teatro di Porta Carinzia. Il successo probabilmente contribuì a spingere Mozart a rompere con la corte di Salisburgo e a stabilirsi nella capitale, cominciando l’ultimo e più alto capitolo della sua storia.


Dmitrij Šostakovič
Sinfonia n. 10 in mi minore, op. 93

Il 17 dicembre 1953 Evgenij Mravinskij e la Filarmonica di Leningrado eseguirono per la prima volta la Decima sinfonia di Dmitrij Šostakovič, terminata di comporre il 25 ottobre. Erano passati più di otto anni dal 3 novembre 1945, quando Mravinskij e la sua Filarmonica avevano presentato la Nona, che aveva destato qualche polemica perché non funzionale a una celebrazione abbastanza trionfale della vittoria nella Seconda guerra mondiale, che Šostakovič con una composizione così disinvolta e leggera sembrava anzi essersi lasciata alle spalle.
Otto anni di silenzio sinfonico, durante i quali Šostakovič non era certo rimasto inattivo, ma si era tenuto un po’ defilato: producendo quartetti e musiche per film, concerti e pagine vocali, e anche diversi lavori d’occasione in linea con le posizioni ufficiali, ed evitando di confrontarsi con la sinfonia, il genere che più di tutti lo aveva imposto all’attenzione internazionale e che anche per la sua stessa storia appariva ancora come quello più utile a caratterizzare l’identità di un compositore
E otto anni durante i quali eran successe diverse cose: in Unione sovietica un dopoguerra già faticoso era stato complicato dall’indurimento della dittatura di Josif Stalin e del suo impatto sulla cultura, con le critiche e l’ostracismo ufficiale a qualsiasi prodotto artistico potesse essere accusato di “formalismo” borghese e occidentale. Šostakovič, nonostante l’autorevolezza e il prestigio che si era conquistato fin dagli esordi, non ne era certo stato al riparo, e aveva vissuto un rapporto abbastanza altalenante di riconoscimenti e attacchi da parte del regime, con momenti anche molto difficili. A complicargli la vita era arrivata anche la guerra fredda, creandogli grandi difficoltà in quegli stessi Stati Uniti che avevano accolto molto bene diversi lavori suoi, con due sinfonie dirette addirittura da Arturo Toscanini. Il 5 marzo di quello stesso 1953 però era stata annunciata la morte di Stalin: ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo, prima che la morsa della dittatura si allentasse, ma certo in qualche modo l’incubo si era rotto, e forse Šostakovič ne ricavò un incoraggiamento più o meno consapevole a riprendere il suo impegno di sinfonista e a consolidare un primato in questo campo, che proprio da allora in poi sarebbe stato assoluto dato che in quegli stessi giorni, ovviamente con ben minore eco mediatica, era morto anche Sergej Prokof’ev.
Secondo qualcuno la Decima è anzi un commento consapevole alla dittatura di Stalin, se non addirittura una denuncia in musica. E certo almeno nei primi tempi del post-stalinismo la sinfonia procurò a Šostakovič nuove accuse, con lunghe discussioni all’interno dell’Unione dei compositori, l’organo tramite il quale il regime teneva sotto controllo la vita musicale sovietica, circa il carattere della partitura, non abbastanza positivo e ottimistico, quindi non abbastanza rassicurante, e circa un linguaggio non abbastanza facile e digeribile
Nella Decima Šostakovič torna alla struttura classica in quattro movimenti, contro i cinque nei quali aveva articolato la Nona, mantenendo almeno in parte le funzioni tradizionali di ciascuno di questi, e recupera un’orchestrazione molto ricca rispetto alla relativa riduzione di organico della partitura precedente. Il primo tempo, molto ampio, segue la forma appunto classica della sonata, anche se è il tempo è Moderato, invece che Allegro, e se anziché affermare incisivamente il primo tema Šostakovič preferisce farli scaturire poco a poco dal moto quasi indistinto degli archi, ai quali si unisce il clarinetto, presente più volte, insieme con altri strumenti solisti, nel corso del movimento, arrivando a un fortissimo generale dopo un lungo crescendo.
L’atteggiamento espressivo proposto dalle idee melodiche come dal ritmo armonia e scelte timbriche varia fra il drammatico e il pessimistico, e tale si mantiene durante lo sviluppo prolungato dei temi e fino al termine del movimento. Breve, agitato, sarcastico e spesso tragico, l’Allegro successivo potrebbe esser visto come uno Scherzo anteposto al tempo lento rovesciando la successione abituale dei movimenti
Qualcuno, sbrigliando forse un po’ troppo la fantasia, ha voluto vederci una caricatura grottesca di Stalin: più semplice leggerlo come introduzione nella sinfonia di un elemento fortemente negativo e distorto. Nel terzo tempo emerge, insieme a motivi presenti nel primo, il motto che Šostakovič inserisce in molte altre composizioni, ricavandolo dall’iniziale del suo stesso nome e dalle prime tre lettere del cognome: “D - S C H”, che nella nomenclatura in uso nelle culture non latine corrisponde alle note Re - Do - Si- Mi bemolle. Questa firma musicale sottolinea in sento autobiografico la componente narrativa di questo movimento, testimoniando quanto Šostakovič tenda a richiamarsi al sinfonismo di Gustav Mahler, in qualche modo evocato dall’impianto in tempo di valzer e nella melodia del corno. Il motto ricompare anche nell’ultimo tempo, che lega insieme in un sovrapporsi di citazioni, i due movimenti precedenti: sulle linee tese del terso finisce per prevalere la firma Re-Do-Si-Mi bemolle, forse proponendo come conclusione un’affermazione positiva di identità da parte di uno Šostakovič in certo senso rassicurato, pronto a proseguire una storia di sinfonista finalmente riaperta con altri cinque capolavori, da qui al 1971 della Quindicesima, in un’URSS destinata presto a divenire molto diversa da quella che aveva incorniciato e spesso angustiato la prima parte della sua esistenza e della sua attività artistica.

Daniele Spini