Le note di sala del secondo concerto dei trent'anni dell'Orchestra Rai

Le note di sala del secondo concerto dei trent'anni dell'Orchestra Rai

Lunedì 30 settembre 2024, alle 20.30 Auditorium Rai di Torino. Sul podio Andrés Orzoco-Estrada

Le note di sala del secondo concerto dei trent'anni dell'Orchestra Rai
Robert Schumann
Sinfonia n. 4 in re minore, op. 120
Un’opera giovane e insieme matura
Quella della Sinfonia in re minore è una storia lunga più di dieci anni. Schumann partorì il lavoro nel 1841, subito dopo aver pubblicato la Sinfonia La primavera. Ma la prima esecuzione, avvenuta al Gewandhaus il 6 dicembre dello stesso anno, fu accolta piuttosto freddamente dal pubblico di Lipsia. Per uno come Schumann, consapevole di aver già scritto a soli trent’anni una fetta importante di tutta la sua produzione (dieci anni di musica pianistica), l’insuccesso era un’esperienza sostanzialmente nuova. Era difficile reagire al primo vero scacco; e così la partitura della Sinfonia in re minore finì per cadere in fondo a un cassetto, in attesa di tempi migliori. Ci sarebbero voluti ben dodici anni, nonché altre due sinfonie, perché Schumann sentisse l’esigenza di riprendere in mano quel lavoro in cui non aveva mai smesso di credere.
Lo stimolo prese forma a Dusseldorf, nel 1852, durante il periodo trascorso dal compositore alla direzione della Società corale. Anni difficili, sia sotto il profilo nervoso, ormai sempre più instabile, sia sotto il profilo professionale: Schumann per l’ennesima volta dimostrò di non essere fatto per stare con i piedi per terra, e anche quell’incarico ufficiale non tardò a trasformarsi in un fallimento.
L’unica luce venne proprio dalla Sinfonia in re minore, che a quel punto divenne la quarta del corpus: l’esecuzione della versione rivista, il 3 marzo del 1853 a Dusseldorf, seppe finalmente raccogliere quel consenso che era mancato alla prima presentazione pubblica
Ma che cosa aveva disturbato il pubblico di Lipsia nel 1841? Senza dubbio la fattura anticonvenzionale. Basti pensare che l’opera apparve nella sua prima veste con il titolo di Fantasia sinfonica: un paracadute nominale con cui Schumann sperava di attutire la caduta di un lavoro che non rispetta affatto gli schemi formali dettati dalla tradizione classica; quattro movimenti da eseguire senza soluzione di continuità, ma soprattutto densi di richiami interni. La Sinfonia in re minore nel 1841 gettava sul tavolo il problema della ciclicità, tentando un’applicazione in ambito sinfonico. Il pubblico avrebbe gradito l’utilizzo di un principio così rivoluzionario in un genere sostanzialmente nuovo, come quello del poema sinfonico lisztiano; nel 1841 i tempi non erano ancora maturi perché un’opera così unitaria facesse piazza pulita delle principali regole formali del genere. 

Ma nel 1852, quando Schumann trovò il coraggio di chiamare il lavoro Sinfonia, Liszt aveva già sfornato diversi poemi sinfonici a Weimar; la gente stava abituando le orecchie alla ciclicità, e la composizione schumanniana poteva ambire a migliore fortuna.
Difficile ricostruire con precisione l’entità dei singoli ritocchi tra le due versioni; ma ciò che fa della Sinfonia in re minore un’opera unica è proprio la sovrapposizione tra due pensieri musicali diversi: da una parte lo Schumann impetuoso del periodo giovanile, con i suoi temi taglienti, dall’altra l’uomo maturo che ha abbandonato le armi del combattente per ritirarsi in disparte a osservare le inquietudini della generazione contemporanea.
Ecco allora spiegate la sovrapposizione tra le idee brucianti del primo movimento, il lirismo della Romanza con la sua ricerca di intimità spinta fino all’appartato intervento di un violino solista, la coesistenza nello Scherzo tra le scintille di un episodio principale dal passo cinico e un Trio che svolazza tra archi e legni con la leggerezza di chi non ha più paura di farsi male
Certo, il collegamento nebuloso tra i due ultimi movimenti ricorda l’episodio analogo della Quinta Sinfonia di Beethoven. Ma quello che segue non è il cammino di chi ha risolutamente deciso di girare le spalle al passato; perché Schumann riprende il tema del primo movimento, chiudendo il cerchio con un finale che amplifica il tono festosamente irrequieto su cui si era aperta la Sinfonia.


Johannes Brahms
Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Un’opera salva per miracolo
Nel 1885 la meta della villeggiatura estiva di Brahms fu Mürzzuschlag, un’amena cittadina della Stiria a due passi dall’abbagliante vetta del monte Semmering: ancora una volta una meta isolata, un rifugio al riparo dal fragore della vita cittadina. Brahms aveva preso in affitto un piccolo appartamento; come sempre, dedicava i pomeriggi a lunghe e riflessive passeggiate; ma una sera di agosto, di ritorno da una delle sue quotidiane escursioni, vide innalzarsi dal tetto di casa una minacciosa colonna di fumo. Spaventato, si mise a correre, e pochi istanti dopo si accorse che l’incendio proveniva proprio dal suo appartamento. Giunto alla scalinata d’ingresso, come un’apparizione, vide la sagoma della signora Fellinger, sua amabile vicina di casa, che teneva in mano un mucchio di carte in disordine: era la partitura della Quarta Sinfonia. 

Solo due mesi dopo, in ottobre, l’opera prendeva vita per la prima volta in casa di amici in una versione a quattro mani. Lo scarso successo di quella serata lasciò qualche strascico in Brahms, che cominciò a dubitare del suo ultimo lavoro. Solo l’amico Hans von Bülow riuscì a convincerlo ad accettare un’esecuzione pubblica a Meiningen a fine ottobre: fu un successo immediato, che scatenò le ovazioni del pubblico già dalla fine del primo movimento. Da quel momento la Quarta Sinfonia cominciò a girare l’Europa. Solo Vienna la accolse con una certa freddezza, ma era prevedibile che proprio nel tempio del dibattito ideologico tra brahmsiani e bruckneriani le reazioni del pubblico fossero estremamente variegate. 

Nel 1876 la prima apparizione di Brahms in ambito sinfonico era stata letta all’insegna della continuità con Beethoven. Furono pochi gli ascoltatori in grado di cogliere da subito l’originalità del linguaggio brahmsiano. Con la Quarta la peculiarità stilistica si rese manifesta anche alle orecchie degli ascoltatori meno sensibili.
La ricchezza di spunti melodici, l’attenzione per le sonorità cameristiche, la cura per ogni singolo timbro orchestrale fanno della Quarta Sinfonia una delle opere più complesse di tutto il repertorio brahmsiano
Basta la tensione dell’idea iniziale, con il suo andamento ansimante, per cogliere tutta l’originalità dell’invenzione: l’ispirazione beethoveniana aveva sempre puntato verso una maggiore schiettezza melodica e ritmica. Un’idea così fortemente connotata non lascerebbe sospettare la straordinaria ricchezza delle rielaborazioni successive; eppure Brahms mette in scena trasformazioni insospettabili, inaugurando una linea compositiva che contraddistingue anche i movimenti successivi.
Nell’Andante le due idee principali passano attraverso timbri, climi e temperature emotive contrastanti; ma in nessun momento si ha l’impressione di assistere a violente fratture. Solo l’Allegro giocoso sembra abbandonare la mutevolezza che contraddistingue le pagine precedenti: lo anima un’idea dai tratti chiassosi, di una solarità forzata che non tarda a scurirsi nel ripiegamento lirico del secondo episodio.
Ma tutta la tensione della sinfonia converge nel finale, il luogo in cui Brahms porta all’estremo culmine la tecnica della variazione: un solo tema di otto battute, estremamente simile a quello concepito da Bach per la sua Cantata Meine Tage in den Leiden, circola in tutte le parti dell’orchestra secondo lo schema formale della ciaccona

Che cos’è
Il finale della Quarta Sinfonia di Brahms è una ciaccona.
L’origine di questa struttura formale va rintracciata in una antica danza spagnola, costituita da una serie di variazioni su un basso ostinato: le elaborazioni si susseguono sempre sulla stessa linea melodica, che si ripete nella parte più grave dell’organico o della tessitura strumentale
Celebri sono gli esempi bachiani (le Variazioni Goldberg, il finale della Cantata Meine Tage in den Leiden); la Ciaccona tratta dalla Partita BWV 1004 per violino solo è stata oggetto di moltissime rivisitazioni: anche Brahms ne ha realizzato una trascrizione per pianoforte. Nel corso delle variazioni che compongono una ciaccona il tema può anche allontanarsi dal registro grave, per spostarsi nelle altre voci. Nel finale della Quarta Sinfonia di Brahms questo caso si verifica spesso, e in alcune variazioni la melodia viene addirittura frammentata in timbri diversi.

Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)