Le note di sala del concerto di Pasqua

Le note di sala del concerto di Pasqua

Stagione 2024/2025 - 18 aprile 20.30 Auditorium Rai Torino

Le note di sala del concerto di Pasqua
Joseph Haydn
Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce

«Circa quindici anni fa, mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica strumentale sulle sette parole di Gesù sulla croce. Si usa laggiù di eseguire tutti gli anni un oratorio nella Cattedrale di Cadice durante la Quaresima, al cui efficace successo dovevano contribuire non poco i seguenti accorgimenti. I muri, le finestre e i pilastri della Cattedrale erano ricoperti di teli neri, e solo una grossa lampada appesa nel centro illuminava la solenne oscurità. A mezzogiorno venivano chiuse tutte le porte; in quel momento cominciava la musica. Dopo un adeguato preludio, il vescovo saliva sul pulpito, pronunciava una delle sette Parole e quindi formulava una meditazione. Come aveva finito, scendeva dal pulpito e si prostrava davanti all’altare. Questa pausa era riempita dalla musica. Il vescovo saliva e scendeva per la seconda, terza volta e così via dal pulpito, e ogni volta l’orchestra rientrava dopo il discorso. Il mio lavoro doveva adattarsi a questa rappresentazione. Il compito di far seguire uno dopo l’altro sette Adagi della durata di circa dieci minuti ciascuno, senza affaticare l’ascoltatore, non era certo dei più semplici; e trovavo quasi impossibile di rimanere legato alla durata prescritta».

Così nel 1801 Haydn raccontava le origini delle Sette parole nella premessa pubblicata sulla partitura dell’ultima versione del lavoro, che includeva anche una parte corale. In realtà, il racconto di Haydn, che non aveva mai assistito alla cerimonia, è impreciso e lacunoso, come gran parte delle ricostruzioni sulle origini del lavoro, sfortunatamente ben poco documentate. La musica delle Sette parole era stata scritta nel 1786, e pubblicata a Vienna dall’editore Artaria nel 1787 in tre versioni: una per orchestra, una per quartetto d’archi e una per pianoforte, non di pugno di Haydn ma approvata dall’autore. È senz’altro da escludere che il lavoro sia stato scritto per la Cattedrale di Cadice, nei cui archivi non c’è traccia né della musica, né di documenti relativi all’esecuzione.

All’epoca del lavoro la diocesi gaditana era governata dal vescovo José Escalzo, un prelato di orientamento strettamente conservatore riguardo alla musica. Il vescovo era fermamente contrario alla musica strumentale, e in maniera particolare a ogni forma di musica definita teatrale, promuovendo invece il ripristino del canto piano e della polifonia tradizionale. In un contesto del genere, è altamente improbabile che Escalzo abbia approvato una musica strumentale così moderna, e soprattutto un brano descrittivo come il Terremoto che chiude il lavoro di Haydn. Inoltre, nel 1790 il vescovo pubblicò un documento che prendeva in esame l’esercizio spirituale delle Tre Ore, descritto nella prefazione da Haydn e diffuso in varie chiese di Cadice, ordinando una rigida separazione tra donne e uomini a causa del buio, e aggiungendo una critica velata a quei luoghi di culto, come la Cappella della Santa Cueva, che rischiavano di essere profanati dall’eccessiva presenza di un pubblico attratto più dalla bellezza della musica che dalla devozione religiosa. Purtroppo non esistono documenti certi sugli scambi avuti da Haydn con i committenti di Cadice, ma alcuni fatti sono ormai chiariti, in particolare i due nobili gaditani che furono all’origine del progetto, il Marchese de Valde-Íñigo e il Marchese de Méritos.

La devozione delle Tres Horas era stata ideata verso la metà del Seicento a Lima, in Perù, dal gesuita Francisco Castillo, che intendeva rivivere con i fedeli l’agonia di Cristo sulla Croce, durata da mezzogiorno alle tre di pomeriggio del Venerdì Santo, attraverso la meditazione sulle ultime parole pronunciate da Gesù in vita. Un altro padre gesuita, Alonso Messìa Badoya, perfezionò in seguito il metodo, introducendo canti e interludi musicali tra le varie meditazioni, incontrando un tale successo che questo esercizio spirituale cominciò a diffondersi dal Collegio di San Pablo a Lima prima nel resto dell’America Latina, e poi in Spagna e nell’Europa intera, tant’è che i discepoli di Padre Alonso pensarono di divulgare la pratica del maestro in un libro intitolato Devoción de las Tres Horas de la agonía de Cristo, pubblicato per la prima volta a Siviglia nel 1757 e in seguito ripubblicato e tradotto in molte altre lingue, compreso l’italiano. A Cadice la devozione delle Tre Ore cominciò a diffondersi dal 1730, in una zona appartata conosciuta come Campo del Sur, dove si riuniva di notte una congregazione di «hombres de gran espíritu», come riferisce il cronista gaditano José Maria León y Domínguez. Le inevitabili dicerie sollevate da un rito tanto riservato e notturno spinsero le autorità religiose a ordinare nel 1756 il trasferimento della pratica religiosa in un luogo più controllabile, una grotta (in spagnolo cueva) nei pressi della centralissima Chiesa del Rosario. Il periodo più fulgido della Hermanidad de la Santa Cueva cominciò con la nomina di José Sáenz de Santamaría a direttore spirituale della ormai numerosa congregazione. Sáenz de Santamaría fu una figura religiosa importante nella Cadice prosperosa e mercantile della fine del Settecento. In questo gesuita ambizioso e amante della musica si combinavano, come nel cardinale manzoniano Federico Borromeo, una marcata devozione, la filantropia e un grande amore per le arti.

Nato nel 1738 a Veracruz, nella Nueva España, oggi Messico, Santamaría era figlio di un ricco commerciante spagnolo, che alla morte della moglie ritornò con la famiglia in Spagna e si stabilì a Cadice nel 1750. Fu ordinato sacerdote nel 1761, e alla morte del padre, nel 1778, ereditò il titolo di marchese di Valde-Íñigo e una considerevole fortuna. Con i mezzi a disposizione, Padre Santamaría s’impegnò a costruire una sontuosa cappella sulla Santa Cueva, inaugurata nel 1783, ingaggiando il miglior architetto della città, Torcuato Benjumea, e commissionando le decorazioni al maggior pittore spagnolo dell’epoca, Francisco de Goya. In questo contesto, non stupisce che per arricchire il culto delle Tre Ore abbia pensato di rivolgersi al compositore più famoso e ammirato del momento, soprattutto in Spagna, Joseph Haydn. Per arrivare al celebre maestro di cappella del principe Esterházy, il Santamaría poteva contare su un altro nobile membro della Confraternita, Francisco de Paula María de Micón, marchese de Méritos. Il padre era un magnate italiano stabilitosi a Cadice, e Méritos aveva avuto la possibilità di viaggiare in Italia e a Parigi, frequentando anche la corte di Ferdinando VI a Madrid, dove la musica di Haydn era particolarmente apprezzata. La passione per la musica e i buoni rapporti con l’ambiente musicale madrileno furono probabilmente di grande aiuto per entrare in contatto con Haydn. Secondo il nipote ed erede Nicolás María de Cambiaso, fu sua l’idea di inserire pezzi strumentali nella devozione delle Tres Horas, così come la corrispondenza con Haydn, andata perduta assieme a tutte le carte del marchese negli anni turbolenti dell’occupazione napoleonica in Spagna.
Anche i dettagli della prima esecuzione sono avvolti nel mistero. Le dimensioni della Cappella della Santa Cueva sono talmente limitate, circa duecento metri quadri, da rendere improbabile un’esecuzione con l’orchestra, che occuperebbe la maggior parte dello spazio
Sembra più ragionevole pensare a un quartetto d’archi, anche in considerazione della fama che godevano i lavori di Haydn in Spagna. Non c’è più traccia, infine, del manoscritto inviato da Haydn a Cadice, con il titolo italiano Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ossiano 7 sonate con un'introduzione ed al fine un terremoto. Nel catalogo di Haydn la versione per orchestra è indicata come l’originale, e quella per quartetto un arrangiamento del febbraio 1787.

Haydn, abituato a soddisfare ascoltatori in carne e ossa e non astratte speculazioni, era preoccupato per la monotonia di una serie di musiche ispirate da meditazioni sullo stesso tema, la morte del Salvatore. Il suo principale obiettivo, dunque, fu di variare il più possibile il colore armonico dei pezzi, alternando per ciascun movimento tonalità minori e tonalità maggiori, in una serie formata da re minore, si bemolle maggiore, do minore/do maggiore, mi maggiore, fa minore, la maggiore, sol minore e mi bemolle maggiore. Infine, decise di aggiungere un movimento finale di carattere drammatico e descrittivo (teatrale, avrebbe detto il vescovo Escalzo), ancora nella tonalità di do minore, particolarmente appropriata a evocare il terremoto raccontato dal Vangelo secondo Matteo, 27-51. Inoltre, le sette Sonate legate alle frasi evangeliche di Cristo sulla Croce sono incorniciate da due numeri puramente musicali per così dire, Introduzione e Terremoto, formando una sorta di mandorla mistica che racchiude il tesoro spirituale del verbo di Dio.
Sebbene sia senza canto, infatti, il tema di ciascuna Sonata è modellato sulle parole di Cristo tratte dai Vangeli, riportate precisamente in partitura sotto le note del violino I come se fossero cantate
Anche dal punto di vista timbrico e formale Haydn sembra cercare la massima varietà possibile. A volte le parole, ossia il tema, sono preparate da una breve introduzione strumentale, come nelle Sonate I, IV e V, altre volte iniziano direttamente. Ogni Sonata ha un organico leggermente diverso, offrendo una ingegnosa varietà sonora. La Sonata II, per esempio, aggiunge una seconda coppia di corni e un violoncello solista, che raddoppia con la sordina il tema dei violini (Hodie mecum eris in Paradiso). La III aggiunge un flauto, che diventano due nella V. La VII esprime le parole finali di Cristo (In manus tuas, Domine, commendum spiritum meum) con la sommessa sonorità dei violini primi e secondi con le sordine. Il Terremoto, infine, aggiunge due trombe e i timpani all’organico base.
La consumata abilità di Haydn di rendere interessante la scrittura strumentale si manifesta nel continuo passaggio da uno stile concertante a uno polifonico, da una trama più densa a una più trasparente, dalla semplicità melodica alla complessità contrappuntistica
Haydn ha stravinto la sfida con le condizioni poste dai commitenti del lavoro, come dimostra l’immediato e universale successo delle Sette parole, anche nella versione per quartetto d’archi preparata immediatemente dopo l’originale per orchestra.        

Oreste Bossini

I biglietti per il Concerto di Pasqua del 18 aprile 2025, da 10 a 15 euro, sono disponibili anche online