Le note di sala del terzo concerto di Rai Nuova Musica 2024/2025
4 maggio 2025, 20.30
Stefano Gervasoni
Tacet per violino e orchestra
Il titolo del nuovo lavoro per violino e orchestra di Stefano Gervasoni ha un significato essenzialmente metaforico. Tacet, infatti, come spiega l’autore
Tacet per violino e orchestra
Il titolo del nuovo lavoro per violino e orchestra di Stefano Gervasoni ha un significato essenzialmente metaforico. Tacet, infatti, come spiega l’autore
compare nelle partiture per segnalare che uno strumento o una voce deve restare in silenzio per un’intera sezione o movimento
In questo vero e proprio concerto per violino, invece, nessuno resta in silenzio, tantomeno il violino solista, che in questo caso è la dedicataria del lavoro, Patricia Kopatchinskaja. La violinista moldava, convinta promotrice della musica d’oggi e lei stessa compositrice con il nome d’arte PatKop, è un’artista estrosa e imprevedibile, molto legata all’espressione spontanea e improvvisativa della musica popolare. Gervasoni ha senz’altro tenuto conto delle sue caratteristiche scrivendo il lavoro, aperto in maniera esuberante dal violino che salta fuori dal silenzio con una virtuosistica cadenza. In realtà, l’estro iniziale del violino è un materiale tutt’altro che casuale, al contrario è un germe che fermenta ben presto nell’orchestra, in un confronto continuo e dialettico con il solista. Lo scambio, infatti, procede in entrambe le direzioni, come dimostra immediatamente dopo, per esempio, la lunga e lirica frase del flauto, contrappuntata dagli arabeschi del violino in un duetto gentilmente accompagnato da un raffinato pulviscolo ritmico
Questo confronto serrato, animato da guizzi, spunti, idee, energie che passano da una parte all’altra del palcoscenico, forma la trama poetica del lavoro, che si sviluppa in maniera ora lirica ora impulsiva, ora ritmicamente ossessiva ora apparentemente aleatoria
Il titolo del lavoro, tuttavia, è tutt’altro che sbagliato, perché la musica di Gervasoni ha sempre un carattere metaforico. La contraddizione messa in luce da Tacet, infatti, vuole indicare la necessità d’integrare il silenzio nel corpo del suono per far spazio alla musica, sradicando dal cuore e dalla mente la gramigna sonora che cresce continuamente attorno a noi e rischia di soffocare il nocciolo espressivo del discorso musicale. Il silenzio, secondo Gervasoni, è anche una forma di libertà, un contrappeso al retorico frastuono della propaganda autoritaria che vorrebbe imporre il diritto della forza e cancellare lo stato di diritto. «A questo pensavo scrivendo Tacet - spiega Gervasoni - Il solista del concerto è una persona che, come tutti noi, affronta con ragionevolezza le situazioni - avverse o favorevoli - di un viaggio compiuto in un mondo complesso, contraddittorio, in mutazione e destinato alla fine. Lo fa con determinazione, ma anche con leggerezza, ironia e uno spirito superiore (senza spirito di superiorità). Il concerto è il luogo di questo confronto, dialettico e civile. Il suo scopo non è imporre una visione, né la voce dominante del solista, ma coordinare voci diverse e persuaderle della loro comune esistenza in uno spazio vitale dove non è la forza o la superiorità che si fanno intendere, ma il fervore e il dialogo: il brusio delle idee, l’energia irradiante della natura, la luce nello sguardo animale, la vitalità delle cose. Un dialogo polimorfo ed egualitario tra tutti».
Francesco Filidei
Cantico delle creature per soprano e orchestra
Nell’arte, sosteneva Béla Bartók, ci sono solo sviluppi lenti o rapidi: «Essenzialmente è un problema di evoluzione, non di rivoluzione». Pur essendo figlio, o meglio nipote delle avanguardie, Francesco Filidei non solo rifiuta di recidere i legami con la musica del passato, ma aspira a ricomporre la frattura avvenuta nel secondo Novecento tra la canzone di Sanremo e Luigi Nono, per usare una formula dello stesso compositore
Francesco Filidei
Cantico delle creature per soprano e orchestra
Nell’arte, sosteneva Béla Bartók, ci sono solo sviluppi lenti o rapidi: «Essenzialmente è un problema di evoluzione, non di rivoluzione». Pur essendo figlio, o meglio nipote delle avanguardie, Francesco Filidei non solo rifiuta di recidere i legami con la musica del passato, ma aspira a ricomporre la frattura avvenuta nel secondo Novecento tra la canzone di Sanremo e Luigi Nono, per usare una formula dello stesso compositore
In altre parole, la ricerca di un nuovo linguaggio musicale non dovrebbe partire dal presupposto di precludere un immediato livello di comprensione, ma dovrebbe permettere anche all’ascoltatore più ingenuo di entrare in contatto con la musica, lasciando la libertà di scoprire via via crescenti livelli di complessità fino ad arrivare, come nella cipolla di Ibsen, al nucleo poetico del lavoro
Cantico delle creature, dedicato ai primi interpreti, il soprano Anna Prohaska e George Benjamin, che ha diretto l’Ensemble Modern al Musikfest di Berlino il 3 settembre 2023, è la risposta creativa di Filidei alla sfida di trovare un punto d’incontro tra il rigore compositivo e l’immediata espressione emotiva. Diversi indizi lasciano pensare che il Cantico delle creature sia una sorta di cartone preparatorio per Il nome della rosa, l’opera scritta per il Teatro alla Scala e tratta dall’omonimo romanzo di Umberto Eco attorno a cui ruota un po’ tutta la produzione di Filidei degli ultimi anni. In primo luogo, il testo di San Francesco non è solo la prima grande espressione poetica della lingua italiana, ma anche il manifesto teologico dell’ordine francescano, che nel romanzo di Eco si contrappone alla curia papale sul tema della povertà della Chiesa, così come l’umanesimo razionale del francescano Guglielmo da Baskerville si scontra con lo spietato dogmatismo dell’inquisitore domenicano Bernardo Gui.
In termini musicali, il Cantico delle creature ha una struttura formale altrettanto sofisticata che quella dell’opera. Le tredici strofe della cantica, infatti, sono musicate attorno a una nota chiave di riferimento, che partendo dal fa diesis scende in maniera cromatica fino al fa diesis inferiore, comprendendo così tutti i dodici suoni dell’ottava. In questo processo poetico e formale, la strofa del Cantico musicata sulla nota do, ossia sull’intervallo più dissonante rispetto al fa diesis iniziale, tanto da essere definito diabolus in musica, corrisponde alla lauda per «frate focu», che è anche il protagonista allegorico della scena più spettacolare del romanzo, e dell’opera, ossia il rogo della biblioteca. Più in generale, il Cantico delle creature appartiene al medesimo mondo medioevale del Nome della rosa, e ne condivide le riflessioni su come raccontare in maniera moderna una storia antica, tracciando un percorso che si muova avanti e indietro lungo la freccia del tempo e della storia della musica. La scrittura vocale, ovviamente, è la sfida principale per il compositore.
In termini musicali, il Cantico delle creature ha una struttura formale altrettanto sofisticata che quella dell’opera. Le tredici strofe della cantica, infatti, sono musicate attorno a una nota chiave di riferimento, che partendo dal fa diesis scende in maniera cromatica fino al fa diesis inferiore, comprendendo così tutti i dodici suoni dell’ottava. In questo processo poetico e formale, la strofa del Cantico musicata sulla nota do, ossia sull’intervallo più dissonante rispetto al fa diesis iniziale, tanto da essere definito diabolus in musica, corrisponde alla lauda per «frate focu», che è anche il protagonista allegorico della scena più spettacolare del romanzo, e dell’opera, ossia il rogo della biblioteca. Più in generale, il Cantico delle creature appartiene al medesimo mondo medioevale del Nome della rosa, e ne condivide le riflessioni su come raccontare in maniera moderna una storia antica, tracciando un percorso che si muova avanti e indietro lungo la freccia del tempo e della storia della musica. La scrittura vocale, ovviamente, è la sfida principale per il compositore.
Dopo una diafana e suggestiva introduzione orchestrale, che avvolge l’inizio della cantica nel colore dell’armonia di fa diesis, la voce intona i primi versi di San Francesco in uno stile chiaramente ispirato alla musica monodica del Medioevo
Colore dell’armonia, perché pur essendo svincolata da qualunque gerarchia di tipo tonale, la nota fa diesis mantiene una sorta di funzione di riferimento all’interno di un paesaggio armonico che Filidei riesce sapientemente ad antichizzare non solo con arcaismi modali ma anche con richiami allo stile di strumenti medievali come la viella. Anche il canto del soprano procede all’inizio per linee melodiche che ricordano lo stile delle cantigas o dei trouvères provenzali, trovando poi, nei vari passaggi armonici della discesa cromatica, accenti più moderni, che toccano momenti di intenso lirismo e addirittura di espressionismo ritmico quando il testo evoca la forza e la bellezza di frate focu. Dopo aver esaurito la lode per i quattro elementi fondamentali con il canto melismatico legato a «sora nostra madre terra», si apre la parte che riguarda il tema della morte, anch’essa sorella dell’uomo e quindi non da temere ma da accettare come un passaggio inevitabile per la vita eterna. Qui nella musica inizia una fase nuova, spinta da un soffio strumentale sempre più impetuoso che solleva la voce in un’altalena drammatica di emozioni, dalla cristiana accettazione del dolore alla livida e scabra immagine della morte, fino a un parossistico fortissimo dell’orchestra dal quale rimane vivo solo un lungo sol bemolle tenuto dei contrabbassi, ossia il ritorno a casa finale del fa diesis iniziale dal quale tutto era iniziato. Questo percorso stilistico del canto, però, è immerso in un paesaggio musicale assolutamente contemporaneo, con una grande orchestra arricchita da una robusta sezione di percussioni, pianoforte, celesta e fisarmonica. Il risultato è un affascinante corto circuito tra antico e moderno, che riporta alla fine la lauda di San Francesco al suo punto d’origine teologico, la «grande humilitate» della voce altrettanto spoglia che un’orchestra ridotta solo al soffio dei violini e al rumore di una pietra.
György Kurtág
Selezione da Kafka-Fragmente per soprano e violino
Per György Kurtág, come per Schubert, la figura del Wanderer è un archetipo essenziale del suo mondo poetico.
György Kurtág
Selezione da Kafka-Fragmente per soprano e violino
Per György Kurtág, come per Schubert, la figura del Wanderer è un archetipo essenziale del suo mondo poetico.
L’idea che il viaggio sia il fine stesso del viaggio diventa una necessità esistenziale nella musica di Kurtág, che in linea di principio non interrompe mai il processo di ricerca, né durante le prove dell’esecuzione e neppure al momento della pubblicazione stessa delle partiture
Per un musicista del genere, che ha vissuto il trauma della guerra e dello sterminio ebraico così come lo spaesamento e il senso di alienazione della vita socialista in Ungheria, l’estetica romantica del frammento, dell’incompiuto, della perenne ricerca di un’identità sfuggente non poteva essere che la condizione stessa della creazione musicale. In questo apparentemente instabile paesaggio emotivo, alcuni lavori si stagliano però come punti di riferimento sicuri. Uno di questi è il grande ciclo dei Kafka-Fragmente, un lavoro in quattro parti della durata complessiva di circa un’ora formato da una costellazione di brevi, a volte brevissime pagine di musica vocale tratte dai diari e dalle lettere di Kafka. Nei cicli liederistici in genere è il pianoforte a dialogare con il canto, mentre in questo caso la voce si accoppia con il violino, per una serie di ragioni che risalgono sia all’ispirazione del lavoro, sia alla storia della sua composizione.
Fu l’amico fraterno György Ligeti a segnalare a Kurtág, nei primi anni Cinquanta, i Diari di Kafka, che erano stati pubblicati integralmente nel 1951 da Max Brod, contravvenendo alla volontà dell’autore di distruggere le sue carte dopo la morte. Brod, che era fuggito in Palestina dopo l’invasione nazista di Praga con tutto il lascito letterario di Kafka, non se l’era sentita di sopprimere un materiale così prezioso per la comprensione di uno scrittore essenziale per la definizione del mondo moderno. Il vero incontro spirituale con Kafka, però, avvenne durante il periodo di studio a Parigi tra il 1957 e il 1958, un’esperienza decisiva per Kurtág sia dal punto di vista musicale che da quello intellettuale. A Parigi Kurtág ebbe l’occasione di assistere a Fin de partie di Samuel Beckett e di leggere La metamorfosi di Kafka, venendo a contatto con i due scrittori che hanno segnato maggiormente e più a lungo il suo immaginario. La scelta del violino per i Kafka-Fragmente, per esempio, potrebbe avere origine proprio nel racconto. Nella Metamorfosi, infatti, Gregor Samsa, ormai trasformato in un insetto, decide di uscire dalla stanza in cui è stato confinato attirato dalla musica suonata dalla sorella sul violino. È la scena chiave del racconto, perché Gregor, noncurante della sua condizione, osa avventurarsi in mezzo agli altri, e grazie alla musica per un momento cessa di essere un mostro e diventa puro spirito, un’imprudenza che gli costa caro e che porta alla catastrofe finale e alla morte del protagonista. Non è sorprendente, dunque, che uno dei primi frammenti dei diari presi in considerazione da Kurtág sia la piccola storia della ballerina Eduardowa, amante della musica, che viaggia dappertutto in tram accompagnata da due violinisti. Siccome non è vietato suonare in tram, e nessuno chiede soldi in cambio, «a tutta velocità, con una brezza forte e una strada tranquilla, il risultato è davvero bello». Questo frammento, Szene in der Elektrischen, che chiude la terza parte, non è tra quelli selezionati nel programma, ma è idealmente importante per comprendere il particolare legame poetico che si stabilisce tra la voce e il violino. Kurtág cominciò subito dopo Parigi a raccogliere passi dei diari e delle lettere di Kafka che gli sembravano adatti a essere musicati, ma il lavoro vero e proprio sul ciclo cominciò soltanto nell’estate del 1985, durante i corsi estivi tenuti a Szombathely. Secondo un processo creativo ormai abituale, Kurtág lasciò il Concerto per pianoforte che stava scrivendo da anni per l’amico Zoltan Kocsis, rimasto incompiuto ma numerato come op. 21, per dedicarsi ai Kafka-Fragmente. Quell’estate a Szombathely c’erano due musicisti che probabilmente furono la scintilla per accendere l’immaginazione di Kurtág e trasformare in un lavoro concreto la massa di materiale su Kafka accumulato negli anni, il soprano Adrienne Csengery e il violinista András Keller, i primi interpreti del lavoro sia in concerto che in disco. Ogni lavoro di Kurtág, infatti, è formato da una ricca trama sotterranea di riferimenti biografici, messaggi, allusioni e omaggi che legano il lavoro artistico alla reale vita del compositore.
Il retaggio ebraico, che Kurtág divide con Kafka, affiora in Einmal brach ich ein Bein (Una volta mi sono rotto una gamba), definita una “danza hassidica”. Wie ein Weg im Herbst sfiora in maniera poetica il tema della metamorfosi, con l’immagine di un sentiero che in autunno viene pulito e torna a riempirsi di foglie morte. Verstecke è uno dei più famosi aforismi di Kafka.
Fu l’amico fraterno György Ligeti a segnalare a Kurtág, nei primi anni Cinquanta, i Diari di Kafka, che erano stati pubblicati integralmente nel 1951 da Max Brod, contravvenendo alla volontà dell’autore di distruggere le sue carte dopo la morte. Brod, che era fuggito in Palestina dopo l’invasione nazista di Praga con tutto il lascito letterario di Kafka, non se l’era sentita di sopprimere un materiale così prezioso per la comprensione di uno scrittore essenziale per la definizione del mondo moderno. Il vero incontro spirituale con Kafka, però, avvenne durante il periodo di studio a Parigi tra il 1957 e il 1958, un’esperienza decisiva per Kurtág sia dal punto di vista musicale che da quello intellettuale. A Parigi Kurtág ebbe l’occasione di assistere a Fin de partie di Samuel Beckett e di leggere La metamorfosi di Kafka, venendo a contatto con i due scrittori che hanno segnato maggiormente e più a lungo il suo immaginario. La scelta del violino per i Kafka-Fragmente, per esempio, potrebbe avere origine proprio nel racconto. Nella Metamorfosi, infatti, Gregor Samsa, ormai trasformato in un insetto, decide di uscire dalla stanza in cui è stato confinato attirato dalla musica suonata dalla sorella sul violino. È la scena chiave del racconto, perché Gregor, noncurante della sua condizione, osa avventurarsi in mezzo agli altri, e grazie alla musica per un momento cessa di essere un mostro e diventa puro spirito, un’imprudenza che gli costa caro e che porta alla catastrofe finale e alla morte del protagonista. Non è sorprendente, dunque, che uno dei primi frammenti dei diari presi in considerazione da Kurtág sia la piccola storia della ballerina Eduardowa, amante della musica, che viaggia dappertutto in tram accompagnata da due violinisti. Siccome non è vietato suonare in tram, e nessuno chiede soldi in cambio, «a tutta velocità, con una brezza forte e una strada tranquilla, il risultato è davvero bello». Questo frammento, Szene in der Elektrischen, che chiude la terza parte, non è tra quelli selezionati nel programma, ma è idealmente importante per comprendere il particolare legame poetico che si stabilisce tra la voce e il violino. Kurtág cominciò subito dopo Parigi a raccogliere passi dei diari e delle lettere di Kafka che gli sembravano adatti a essere musicati, ma il lavoro vero e proprio sul ciclo cominciò soltanto nell’estate del 1985, durante i corsi estivi tenuti a Szombathely. Secondo un processo creativo ormai abituale, Kurtág lasciò il Concerto per pianoforte che stava scrivendo da anni per l’amico Zoltan Kocsis, rimasto incompiuto ma numerato come op. 21, per dedicarsi ai Kafka-Fragmente. Quell’estate a Szombathely c’erano due musicisti che probabilmente furono la scintilla per accendere l’immaginazione di Kurtág e trasformare in un lavoro concreto la massa di materiale su Kafka accumulato negli anni, il soprano Adrienne Csengery e il violinista András Keller, i primi interpreti del lavoro sia in concerto che in disco. Ogni lavoro di Kurtág, infatti, è formato da una ricca trama sotterranea di riferimenti biografici, messaggi, allusioni e omaggi che legano il lavoro artistico alla reale vita del compositore.
Il retaggio ebraico, che Kurtág divide con Kafka, affiora in Einmal brach ich ein Bein (Una volta mi sono rotto una gamba), definita una “danza hassidica”. Wie ein Weg im Herbst sfiora in maniera poetica il tema della metamorfosi, con l’immagine di un sentiero che in autunno viene pulito e torna a riempirsi di foglie morte. Verstecke è uno dei più famosi aforismi di Kafka.
I nascondigli sono innumerevoli, la salvezza solo una, ma le possibilità di salvezza sono anche altrettante che i nascondigli
L’importanza di questo aforisma è sottolineata dal fatto che Kurtág lo musica due volte, e che lo sposta più volte nell’ordine dei pezzi fino alla collocazione finale al momento della pubblicazione della partitura nel 1992. Wenn er mich immer frägt è un altro tipico esempio dell’umorismo assurdo e geniale di Kafka, con l’immagine della lettera ä che rimbalza sul prato.
Kurtág trasforma questo breve nonsense in una delle pagine più divertenti e lunari del ciclo, con la voce e il violino che rimbalzano sul pentagramma come la ä fuggita dalla frase
Il successivo e fulmineo Es zupfte mich jemand am Kleid condivide la medesima logica espressiva, con il violino trasformato in un mandolino pizzicato con le dita che traduce in un’immagine musicale il frammento quasi cinematografico di un tizio che tira il vestito e l’altro che se ne libera. Altrettanto aforistico è Szene am Bahnhof, dedicato alla ceramista Mária Geszler, sorella di un amico compositore. Meine Ohrmuschel…, il mio padiglione auricolare, è un pezzo esemplare della fusione immaginata da Kurtág tra i due interpreti, che in questo caso devono mimare il miagolìo di un gatto, la voce con lo Sprechgesang e il violino con glissandi altrettanto felini. Totalmente lirica e intensa, invece, è Berceuse, indicata da eseguire Sehr getragen (molto sostenuto), con i pastosi bicordi del violino che avvolgono il canto come il sogno fascia il sonno del bambino. Der Coitus als Bestrafung (Canticulum Mariae Magdalene) si trova, come Meine Festung, nella Terza parte. Entrambi rivelano risvolti più introspettivi e psicologici del compositore, specialmente Meine Festung, con l’immagine della cella di prigione come fortezza e riparo dal mondo. Ruhelos, infine, chiude questa antologia dei Kafka-Fragmente con un numero che mette in luce la natura teatrale del ciclo. Ruhelos (senza pace), infatti, è una vera e propria pantomima, nella quale la cantante deve esprimere con il corpo l’agitazione che anima la parte violinistica, limitandosi a pronunciare le tre sillabe della parola alla fine, quasi senza voce.
Aureliano Cattaneo
Not alone we fly per violino e orchestra
Aureliano Cattaneo è un musicista italiano che da molti anni vive e lavora in Spagna. Il suo incontro con Patricia Kopatchinskaja risale al 2018 per un tipico progetto della violinista moldava, che chiese a una serie di compositori italiani di scrivere dei brevi pezzi che dialogassero con la musica di Vivaldi per un disco da registrare con Il giardino armonico e Giovanni Antonini. Da lì nacque in seguito l’idea di scrivere un grande concerto per Kopatchinskaja, che ha eseguito per la prima volta Not alone we fly a Essen il 9 novembre 2023 con gli Essener Philharmoniker diretti da Jonathan Stockhammer.
Aureliano Cattaneo
Not alone we fly per violino e orchestra
Aureliano Cattaneo è un musicista italiano che da molti anni vive e lavora in Spagna. Il suo incontro con Patricia Kopatchinskaja risale al 2018 per un tipico progetto della violinista moldava, che chiese a una serie di compositori italiani di scrivere dei brevi pezzi che dialogassero con la musica di Vivaldi per un disco da registrare con Il giardino armonico e Giovanni Antonini. Da lì nacque in seguito l’idea di scrivere un grande concerto per Kopatchinskaja, che ha eseguito per la prima volta Not alone we fly a Essen il 9 novembre 2023 con gli Essener Philharmoniker diretti da Jonathan Stockhammer.
Il titolo è tratto da una delle poesie enigmatiche di Emily Dickinson, scrittrice particolarmente cara a Cattaneo. Da soli non voliamo, a prescindere dai significati esoterici impliciti nei versi della poetessa americana, è un’immagine particolarmente efficace per esprimere le idee essenziali del lavoro
In primo luogo mette in luce il carattere estroso, aereo e agile del violino, in particolare quando è nelle mani di una violinista come Kopatchinskaja. Il lavoro, infatti, si apre con un’ampia cadenza del violino, che occupa in pratica le prime ottanta battute del movimento iniziale, Rapido, con una semplice pulsazione dapprima appena percepibile poi sempre più presente fino a diventare un gesto furioso.
Da solo, però, neppure il violino può volare, quindi accanto al solista comincia ad aggregarsi una comunità di strumenti che allargano e rendono più vario il paesaggio sonoro, prima con le percussioni e l'arpa, poi con i fiati e gli ottoni
Quando entrano gli archi, inizia una fase nuova, più eterea e avvolta in una nebulosa di glissandi e altezze instabili. Il primo movimento procede alternando momenti lirici e drammatici, fino a quando l’orchestra prende il sopravvento sul solista con un’energica affermazione di potenza ritmica e sonora. Il violino riemerge da questa tempesta per portare il movimento alla coda finale, che si lega senza interruzione al Lento successivo. In questo secondo movimento il paesaggio sonoro diventa più dilatato e nebuloso, e il rapporto tra solista e orchestra più rapsodico. L’estrema dolcezza del soliloquio, tuttavia, non frena la montante inquietudine serpeggiante in orchestra, che esplode in un nuovo e selvaggio episodio di pura violenza sonora. Il concerto si chiude con una seconda e speculare cadenza del violino, che riscrive in maniera più lirica l’analogo episodio iniziale. Nelle ultime battute di questa seconda cadenza, la solista deve intonare anche alcuni versi sul tema del silenzio, pescati da un paio di poesie della Dickinson («Silence is all we dread» «But Silence is Infinity» «There is no Silence in the Earth»), legando così in una forma ciclica anche il programma del concerto, che si era aperto su un lavoro per violino e orchestra di Gervasoni che evocava il profondo significato musicale ed etico del silenzio.
Oreste Bossini
I biglietti per il concerto sono proposti al prezzo unico di 5 euro per tutti e a 3 euro per gli Under 35, sono in vendita online e presso la biglietteria dell’Auditorium Rai di Torino. Informazioni: 011.8104653 - 8104961 – biglietteria.osn@rai.it
Oreste Bossini
I biglietti per il concerto sono proposti al prezzo unico di 5 euro per tutti e a 3 euro per gli Under 35, sono in vendita online e presso la biglietteria dell’Auditorium Rai di Torino. Informazioni: 011.8104653 - 8104961 – biglietteria.osn@rai.it