Le note di sala del concerto n. 20 stagione 2024/2025

Le note di sala del concerto n. 20 stagione 2024/2025

22 e 23 maggio 2025. Auditorium Rai Torino

Le note di sala del concerto n. 20 stagione 2024/2025

Sergej Prokof’ev
Concerto n. 3 in do maggiore per pianoforte e orchestra, op. 26

Sergej Prokof’ev arrivò a New York nel settembre del 1918, passando dal Giappone dopo aver compiuto un lungo e avventuroso viaggio attraverso la Siberia per sfuggire alla guerra civile scoppiata dopo la Rivoluzione d’Ottobre e il colpo di stato dei bolscevichi. In tasca aveva meno del minimo di 50 dollari richiesto dall’ufficio immigrazione per entrare negli USA, e potè lasciare Angel Island solo grazie a una colletta della comunità russa di Chicago. Per farsi conoscere, in un ambiente per lui totalmente nuovo e con abitudini molto diverse da quelle europee, Prokof’ev cercò di sfruttare le sue qualità pianistiche, dal momento che la sua musica stentava a far breccia nel pubblico. I giornali esaltavano soprattutto le sue «dita d’acciaio», le «mani d’acciaio», tanto che Prokof’ev temeva di essere scambiato per un pugile. Le sue composizioni, invece, erano accolte con indifferenza dal pubblico e con giudizio negativi dalla critica. Prokof’ev, tuttavia, trovò qualche porta aperta. Il direttore dell’Opera di Chicago, Cleofonte Campanini, fu entusiasta del progetto di un’opera su un soggetto tratto da una fiaba di Gozzi, e Prokof’ev firmò nel 1919 il contratto per L’amore delle tre melarance. Campanini, però, scomparve quello stesso anno e la programmazione del teatro precipitò nel caos, cancellando per il momento l’allestimento dell’opera. Prokof’ev, malgrado il carattere testardo e resiliente, decise di tornare in Europa, provato dall’impatto con la vita musicale americana.

L’avventura nel Nuovo mondo, comunque, non era finita, e il cammino dell’opera cominciò a intrecciarsi con il Terzo Concerto per pianoforte. La nuova direttrice del teatro di Chicago, la celebre cantante Mary Garden, decise di riprendere il progetto dell’opera nella stagione 1921, e Prokof’ev riuscì a organizzare alcuni concerti con la Chicago Symphony Orchestra, nel corso dei quali presentare anche il nuovo lavoro. Il Terzo Concerto per pianoforte fu eseguito il 16 e 17 dicembre 1921, con l’autore come solista e l’orchestra diretta da Frederick Stock, senza suscitare particolare entusiasmo, mentre L’amore delle tre melarance fu rappresentata con grande successo il 30 dicembre successivo alla Lyric Opera. Il Terzo Concerto dovette aspettare di essere eseguito in Europa, a Parigi e a Londra, nella primavera successiva, per riscuotere una totale approvazione dal pubblico ed entrare stabilmente nel repertorio.

La stesura del concerto aveva occupato Prokof’ev nei mesi estivi del 1921, trascorsi in tutta tranquillità in un paesino della costa bretone, Saint-Brévin-les-Pins. 
Nel 1913 – racconta l’autore nel suo schizzo autobiografico – avevo composto un tema con variazioni che poi avevo conservato a lungo. Negli anni 1916-1917 avevo tentato alcune volte di prendere in mano il Terzo Concerto, avevo scritto l’inizio (due temi) e due variazioni sul secondo movimento. Nello stesso periodo mi era venuta l’idea di scrivere un “quartetto bianco”, vale a dire un quartetto d’archi completamente diatonico, che se si fosse voluto suonare al pianoforte era limitato soltanto ai tasti bianchi […] ma l’impresa era troppo difficile, avevo paura della monotonia e nel 1921 decisi di smembrare il materiale accumulato […] il primo e il secondo tema del Finale furono trasferiti nel Finale del Terzo Concerto 
Lo stile diatonico, in effetti, è una delle caratteristiche principali del lavoro, il più equilibrato e classico dei suoi cinque Concerti per pianoforte. Il linguaggio di Prokof’ev, superata l’aggressività dei suoi primi lavori pianistici degli anni Dieci, tende verso quella chiarezza fondata sui principi basilari dello stile classico, vale a dire la struttura ben proporzionata dei movimenti, il trattamento polifonico delle voci, la salda organizzazione tonale della forma. Il carattere innovativo della sua musica nasce dalla dimensione nuova e allargata di questi elementi tradizionali. Il modernismo di Prokof’ev risente l’influsso delle avanguardie, benché la sua musica abbia sempre rifiutato una rottura radicale con il passato.
Il pianoforte ha incarnato, nella prima fase della sua produzione, il mezzo privilegiato per esprimere una visione nuova della musica russa, dalla quale Prokof’ev non si è mai veramente allontanato, nemmeno nei lavori in apparenza più iconoclasti come Sarcasmi o Visions fugitives
Nel primo movimento la miscela di tradizione e modernità risulta particolarmente evidente. Nell’introduzione, Andante, un tema molto delicato dei clarinetti fissa subito il colore tonale del lavoro, do maggiore, che si schiude appieno nell’Allegro seguente. Le caratteristiche del linguaggio di Prokof’ev si manifestano con semplicità e rigore logico. Il pianoforte s’impossessa subito del tema principale, che rappresenta la voce guida di una polifonia molto vivace, animata dal contrappunto delle linee interne e del basso. Il suono dell’orchestra diventa così molto trasparente, lasciando ampio spazio al solista per alimentare il motore del movimento con una sequenza di figure rapide e spettacolari. Naturalmente la chiara struttura tonale del movimento è resa più piccante da accordi insaporiti da note estranee e da progressioni armoniche sparse nel corso dello sviluppo. La grande energia ritmica diventa quindi un altro ingrediente fondamentale, per tener viva l’attenzione dell’ascoltatore e per dare un impulso nuovo al linguaggio musicale tradizionale. Per questo Prokof’ev accresce il peso della sezione di percussioni dell’orchestra, introducendo anche strumenti estranei alla formazione classica come le nacchere.
Dal punto di vista poetico, Prokof’ev accentua al massimo il contrasto tra i momenti lirici, espressi in ampie melodie di carattere russo, e quelli animati da dinamismo ritmico
La contrapposizione di mondi espressivi lontani rappresenta anche la dimensione principale del secondo movimento, Andantino. Il tema, seguito da cinque variazioni e un’ampia coda finale, proviene, come abbiamo visto, da un vecchio progetto. Le variazioni sono un magnifico banco di prova della magistrale tecnica compositiva di Prokof’ev, a volte persino troppo ricercata e in qualche misura esibita. La fisionomia del tema subisce profonde trasformazioni e diventa quasi irriconoscibile nel corso delle variazioni, dando vita di volta in volta a episodi di grande tensione lirica e di grottesco sarcasmo, che potrebbero ricordare lo stile di lavori come il balletto Il buffone. 

L’ultimo movimento, Allegro, ma non troppo, evoca più degli altri la figura del poeta Konstantin Bal’mont, fuggito in Occidente dopo il 1917 come Prokof’ev, al quale il Terzo Concerto è dedicato. Il poeta, in cambio della dedica, scrisse un sonetto intitolato Il Terzo Concerto, sull’onda delle impressioni provate all’ascolto del lavoro dopo la prima esecuzione parigina del 1921. Il carattere visionario e le sospensioni incantate della poesia di Bal’mont sembrano rispecchiarsi nella musica di Prokof’ev, specie in questo movimento finale, grazie agli squarci d’intenso lirismo che si aprono nell’incessante movimento ritmico guidato dal pianoforte. Nella sezione centrale del finale, questa forbice espressiva raggiunge la massima apertura, prefigurando lo stile dei lavori più popolari dell’autore, come la Quinta Sinfonia o i grandi balletti rappresentativi. 
Il Terzo Concerto arrivò ben presto anche in Unione Sovietica, dove fu eseguito per la prima volta nel 1923 dal pianista Samuil Fejnberg. I grandi pianisti sovietici, a cominciare da Lev Oborin ed Emil Gilels, hanno suonato spesso questo lavoro, entrato ben presto nel repertorio della musica russa del Novecento.

Dmitrij Šostakovič
Scherzo n. 1 in fa diesis minore per orchestra, op. 1

Sinfonia n. 1 in fa minore, op. 10

Forse è arrivato il momento di considerare Sostakovic per il suo valore intrinseco e non soltanto in relazione al contesto storico in cui è nata la sua musica. La sua personalità artistica, infatti, rischia di rimanere imprigionata nei controversi rapporti con il regime sovietico, come se l’unico aspetto rilevante del suo lavoro fosse il nesso tra la musica e le vicende politiche del suo tempo. In questa maniera si finisce per dimenticare che Sostakovic è stato in primo luogo un artista di eccezionale e precoce talento, paragonabile a quello di Mozart e Mendelssohn. Non molti studenti di Conservatorio, infatti, possono vantare una pagina non geniale ma di tutto rispetto come lo Scherzo per orchestra in fa diesis minore, che porta il numero d’opus 1.

Non è chiaro a quando risalga questo Scherzo, che Sostakovic trascrisse per orchestra da un’iniziale Sonata per pianoforte rimasta incompiuta e in ogni caso perduta. Secondo l’autore fu scritta nel 1919, ossia l’anno in cui entrò al Conservatorio di Pietrogrado (secondo il nome della città in quel momento), mentre altri autorevoli studiosi propendono per il 1921. Il lavoro era dedicato al suo insegnante di composizione, Maximilian Stejnberg, e certamente non aveva altre pretese che dimostrare al maestro di aver messo a frutto i suoi insegnamenti. Lo Scherzo è concepito nella classica forma tripartita, con al centro un Meno mosso in re maggiore più lirico e contrastante con l’Allegretto rustico e danzante iniziale.
Lo stile segue la scuola russa di Rimskij-Korsakov, molto colore, tradizione classica e una spolverata di musica popolare. Non si poteva chiedere di più a un ragazzo di quindici anni, ma nelle pieghe del compitino si nasconde già il guizzo sarcastico del compositore maturo
La Prima Sinfonia, invece, è la dimostrazione precoce e sbalorditiva delle vere doti di Sostakovic. I primi abbozzi del lavoro risalgono al 1923, quando il compositore aveva appena diciotto anni. Malgrado l’indiscutibile talento e i numerosi riconoscimenti accademici, non si può dire che la gioventù di Sostakovic sia stata un periodo spensierato. Malato di tubercolosi, malattia assai diffusa nella popolazione russa a causa delle disastrose condizioni di vita provocate dalla guerra civile, e rimasto orfano del padre nel 1922, il giovane musicista aveva potuto continuare gli studi in Conservatorio solo grazie al generoso sostegno del direttore Aleksandr Glazunov, che scrisse di persona al potente Commissario alla cultura Anatolij V. Lunacarskij per implorare un aiuto economico del governo per l’allievo così promettente. Per mantenere sé stesso e la famiglia, Sostakovic fu costretto per anni a suonare il pianoforte per accompagnare le proiezioni del cinema muto. L’ambiente del Conservatorio, inoltre, era troppo chiuso e accademico, come il suo insegnante di composizione Stejnberg.
Le inviolabili fondamenta del “Mogucha Kuchka” [il Gruppo dei 5], le sacre tradizioni di Nikolaj Andreevic [Rimskij-Korsakov] e altri simili frasi pompose. Sfortunatamente non riesco più a dargli soddisfazione con la mia musica
scriveva Sostakovic a un’amica il 26 febbraio 1924. Stejnberg, tuttavia, era abbastanza onesto da riconoscere le qualità dell’impaziente allievo, tanto da sottoporre al direttore della Filarmonica di Leningrado Nikolaj Malko la Sinfonia scritta da Sostakovic come saggio di fine corso. La musica impressionò Malko, che decise subito di inserirla nei programmi dell’orchestra. Il lavoro fu eseguito per la prima volta a Leningrado il 12 maggio 1925, ottenendo un immediato successo. Ancora più sorprendente fu la rapidità con cui la Sinfonia in fa minore si diffuse a livello internazionale, malgrado l’autore fosse un perfetto sconosciuto, ancora studente al Conservatorio di Leningrado. Maestri del calibro di Bruno Walter, Arturo Toscanini, Otto Klemperer decisero subito d’inserirla nei loro programmi e anche colleghi affermati come Alban Berg espressero giudizi molto lusinghieri sul lavoro.
Le forme classiche e ormai stanche della Sinfonia erano irrorate da nuova linfa, grazie alla vitalità della musica. In particolare, il giovane Sostakovic dimostrava di padroneggiare l’arte dell’orchestrazione in maniera sbalorditiva, conferendo al lavoro un suono originale e già perfettamente riconoscibile
Inoltre l’estremo dinamismo impresso alla scrittura rivelava l’influenza della musica russa più moderna, in particolare quella di Prokof’ev e di Scrjabin. Infine un ulteriore aspetto metteva in luce il nuovo stile del giovane autore, ossia il fatto di prediligere una sintassi musicale estremamente spezzettata e frammentaria. Le ore spese a improvvisare nelle sale cinematografiche seguendo il ritmo sincopato del montaggio cinematografico evidentemente non erano passate del tutto invano. Tutte queste caratteristiche si manifestano soprattutto nel primo movimento, nell’introduzione in tempo di Allegretto e nella successiva forma sonata, Allegro ma non troppo, staccato a un tempo di metronomo talmente veloce da indurre Stejnberg e Malko a ritenerlo ineseguibile. Sostakovic, invece, era convinto del contrario, e dimostrò con l’aiuto dei musicisti che aveva ragione lui. Il tema principale, intonato da un clarinetto, assume così il carattere di una tagliente marcia grottesca, che segna non solo il primo movimento ma più in generale l’intera Sinfonia. Il valzerino da organetto di strada che rappresenta il secondo tema, forse un lontano ricordo della musica di Petruska, esprime in maniera analoga un senso di straniamento e di allucinazione, come i movimenti meccanici di un automa o di una marionetta, misteriose controfigure del corpo umano.

Ancora più precipitoso è l’Allegro successivo in la minore, che si sforza di esacerbare fino al parossismo il tradizionale lato sarcastico dello Scherzo. Sostakovic però si ricorda di essere russo e nella parte centrale, al posto del tradizionale trio, evoca il ricordo ancestrale della musica popolare con un’antica melodia di sapore modale. Il nobile ed espressivo Lento in re bemolle maggiore si sviluppa invece su una distesa melodia dell’oboe, ripresa e rafforzata da un solo di violoncello. Il canto spianato del tema, formato da una lunga discesa cromatica, mette in luce il lato decadente e wagneriano del giovane Sostakovic, che però introduce nell’adagio il seme della tragedia, con un cupo richiamo del tamburo. Questa cellula ritmica circola nel movimento e prolifera nelle varie sezioni dell’orchestra, trasformando la melodia nella parte centrale in una sorta di marcia funebre.
Il presentimento della morte segna anche il movimento finale, che rappresenta una sorta di rovesciamento infernale della marcia grottesca dell’inizio
Il cromatismo del Lento precedente, mescolandosi al nuovo movimento, viene investito da un vento impetuoso e sconvolgente. I lineamenti delle melodie si deformano nel vortice della corsa, l’armonia vibra di tremoli e note ribattute, figure ostinate martellano il ritmo in maniera ossessiva. Timbri nuovi e percussivi, come quello del pianoforte, conferiscono all’orchestra un suono più metallico e tagliente. Al culmine dello strepito e del fracasso, un solo di timpano riprende il ritmo della marcia funebre e guida la Sinfonia verso la conclusione pessimistica e ambigua, con le tonalità di fa minore e fa maggiore avvinghiate in una lotta mortale senza vinti né vincitori.    


I biglietti del concerto del 22 e 23 maggio sono disponibili anche online

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