Le note di sala del concerto n. 21 stagione 2024/2025
29 e 30 maggio 2025. Auditorium Rai Torino
Luciano Berio
Quattro versioni originali della Ritirata notturna di Madrid di L. Boccherini sovrapposte e trascritte per orchestra
Boccherini
Luigi Boccherini nacque a Lucca nel 1743; ben presto prese a viaggiare per l’Europa e a venticinque anni si trasferì a Madrid, dove iniziò a lavorare come Compositore e Virtuoso di Camera nell’orchestra personale del fratello del re Carlo III: l’infante Don Luis. Questi, a causa del matrimonio con una donna non titolata, si ritirò nel castello di Las Arenas, nella provincia, portando con sé i suoi musicisti e il fedele Boccherini. In questo esilio dorato il compositore si dedicò soprattutto alla musica da camera; nel 1780 scrisse il Quintetto op. 30 n. 6, per due violini, viola e due violoncelli, il cui finale era intitolato Ritirata da Madrid, e rappresentava una ronda notturna di soldati che rientrava nei quartieri militari:
Quattro versioni originali della Ritirata notturna di Madrid di L. Boccherini sovrapposte e trascritte per orchestra
Boccherini
Luigi Boccherini nacque a Lucca nel 1743; ben presto prese a viaggiare per l’Europa e a venticinque anni si trasferì a Madrid, dove iniziò a lavorare come Compositore e Virtuoso di Camera nell’orchestra personale del fratello del re Carlo III: l’infante Don Luis. Questi, a causa del matrimonio con una donna non titolata, si ritirò nel castello di Las Arenas, nella provincia, portando con sé i suoi musicisti e il fedele Boccherini. In questo esilio dorato il compositore si dedicò soprattutto alla musica da camera; nel 1780 scrisse il Quintetto op. 30 n. 6, per due violini, viola e due violoncelli, il cui finale era intitolato Ritirata da Madrid, e rappresentava una ronda notturna di soldati che rientrava nei quartieri militari:
Si figura che la Ritirata cominci a farsi sentire da lontano assai, perciò dovrà suonarsi con piano che appena si senta, aumentando a misura che si avvicina e diminuendo quando si allontana di nuovo
Della Ritirata esistono altre tre versioni, composte intorno al 1799: una per due violini, due viole e un violoncello, una per pianoforte, due violini, viola e violoncello, e una versione variata di quest’ultima, con la chitarra al posto del pianoforte. In tutti i casi il brano è costruito come un tema seguito da dodici variazioni, e riproduce l’effetto sonoro di una marcia di militari che si avvicina, passa accanto all’ascoltatore e allontanandosi si disperde.
Berio
Nel 1975 Luciano Berio ha scritto una versione orchestrale della Ritirata di Boccherini; la sua scelta è stata di non partire da una delle quattro versioni del brano, ma di sovrapporle tutte, con un atto di sintesi volto a conservare le fonti a disposizione. L’operazione però non è stata semplicemente conservativa, e la nuova versione orchestrale è frutto del personale pensiero timbrico di Berio. Le linee melodiche sono mantenute, ma vengono scisse fra i vari strumenti dell’ampia compagine orchestrale. Alcune figurazioni secondarie assumono proporzioni sonore nuove e particolarmente evidenti. Notevole è l’intervento delle percussioni: nessuna delle versioni di Boccherini prevedeva tamburi, ma tutte in qualche modo ne evocavano la presenza con sonorità scabre date da accordi strappati. Berio ha portato alle estreme conseguenze questo dato sonoro “militaresco” e ha voluto nell’orchestra ben due tamburi militari e una gran cassa, dando così alle percussioni un ruolo da protagonista nella nuova Ritirata notturna di Madrid.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Jean Sibelius
Concerto in re minore per violino e orchestra, op. 47
Dopo la prima esecuzione del Concerto per violino, l’8 febbraio 1904 a Helsinki con l’orchestra diretta dall’autore e solista Viktor Novácek, il critico musicale Karl Flodin scrisse che quel lavoro era “un errore”. Il verdetto negativo del principale critico finlandese colpì profondamente Jean Sibelius, che all’epoca rappresentava l’indiscusso campione della rinascita musicale di un Paese che aspirava all’indipendenza dall’Impero russo. Flodin non serbava pregiudizi verso la sua musica; al contrario, fino a quel momento aveva salutato con autentico entusiasmo i suoi lavori come l’espressione originale di un ethos nazionale.
Sibelius spese due anni a riflettere sul Concerto, che venne sottoposto nel 1905 a una profonda revisione. La nuova versione fu eseguita a Berlino il 19 ottobre 1905, con i Berliner Philharmoniker diretti da Richard Strauss, solista il primo violino dell’orchestra Karel Halir.
Il violino era lo strumento di Sibelius, che aveva ben presto rinunciato al sogno di diventare un virtuoso. La sua scrittura musicale lascia trasparire, in generale, un rapporto per così dire intimo con le caratteristiche degli strumenti ad arco, come per esempio nelle musiche di scena per La tempesta di Shakespeare o in Rakastava. L’idea di comporre un Concerto per il suo strumento nasceva in un momento di ripiegamento intimistico, dopo gli entusiasmanti anni di acceso impegno politico e culturale a favore dell’indipendenza nazionale, culminati nel paesaggismo eroico della Seconda Sinfonia.
Fu un periodo di difficoltà economiche e anche di un certo disordine emotivo, segnato da problemi di alcolismo e da una trasandata gestione della vita famigliare e professionale. Desta un certo stupore, per esempio, il fatto che Sibelius abbia scartato per motivi banali, in entrambe le circostanze, a Helsinki e a Berlino, la collaborazione di un virtuoso del calibro di Willy Burmester, che aveva accolto con entusiasmo il Concerto fin dall’inizio, a favore di musicisti di livello certo non paragonabile. Malgrado una partenza così maldestra, tuttavia, il Concerto ha trovato un posto di rilievo nel repertorio dei maggiori violinisti, da Jasha Haifetz a Leonidas Kavakos, dimostrando di essere uno dei lavori più vitali della musica del Novecento.
Le due versioni del Concerto manifestano in realtà visioni diverse.
In origine il lavoro aveva una scrittura più sbilanciata verso il solista, con una parte tecnicamente più impegnativa e soprattutto una presenza predominante del violino sul piano espressivo.
Il primo movimento, Allegro moderato, annoverava al suo interno ben due cadenze solistiche, che Sibelius ha poi dimezzato tagliando la seconda, un’ampia divagazione del violino solo in stile bachiano. Nella versione finale, invece, il Concerto mostra un maggiore equilibrio tra solista e orchestra, con un insieme di carattere più sinfonico. Rimane tuttavia intatta la caratteristica più originale della forma del primo movimento immaginata da Sibelius, ossia la sezione dello sviluppo affidata a un’imponente cadenza del violino. Qualcosa di simile si trova nel Concerto di Mendelsshon, ma in maniera molto più attenuata.
Il tempo lento, Adagio di molto, è stato meno toccato dalla revisione, volta in generale ad asciugare e a togliere. La preoccupazione di ridimensionare il protagonismo del solista si nota in particolare nel movimento finale (Allegro, ma non tanto), che è stato notevolmente scorciato nella versione finale. Il famoso musicologo inglese Donald Tovey sosteneva che il finale fosse “una polonaise per orsi polari”, sottolineando il carattere selvaggio espresso dalla musica. Il tema, esposto all’inizio dal violino solo accompagnato da un ritmo ostinato e brutale dei timpani, evoca un mondo primordiale e una natura minacciosa, pronta a esplodere con forza dirompente.
Oreste Bossini
(dagli archivi Rai)
Nikolaj Rimskij-Korsakov
Shéhérazade, suite sinfonica op. 35 da Le mille e una notte
Il desiderio di raccontare storie ha profondamente influenzato i linguaggi artistici dell’Ottocento. Questa voglia di storytelling, che covava da tempo, trabocca in maniera incontenibile nella generazione romantica, e nella musica trova la sua prima espressione nella Sinfonia fantastica (1830). Berlioz, infatti, stabiliva un nesso preciso tra narrazione e linguaggio musicale, in forme completamente diverse da quelle della vecchia musica descrittiva. La Sinfonia fantastica raccontava in origine una storia legata alle vicende sentimentali dell’autore, che via via ha attenuato questo aspetto del lavoro fino al punto di cancellarlo del tutto. Resta il fatto, tuttavia, che l’elemento narrativo ha cominciato a infiltrarsi sempre di più nella musica sinfonica, fino a culminare nei grandi poemi sinfonici di Strauss.
L’immaginazione visionaria di Berlioz non si limitò a spingere sempre di più la musica verso la sfera d’influenza del teatro e della letteratura. Il suo esempio indusse i giovani compositori a sperimentare nuove combinazioni timbriche, e più in generale a estendere le ricerche sul suono. Sotto questo aspetto, le due visite in Russia del compositore francese lasciarono un’impronta profonda sulla parte più aperta e sensibile della gioventù musicale indigena. Milij Balakirev, figura carismatica della nuova musica russa, aveva promosso con ogni mezzo il viaggio di Berlioz a San Pietroburgo nell’inverno del 1867, convincendo la granduchessa Elena Pavlovna a invitare il vecchio enfant terrible della musica europea a dirigere una serie di concerti.
L’impressione lasciata dal malandato maestro, ormai prossimo alla fine, sui giovani della cosiddetta ‘scuola nazionale russa’ ebbe conseguenze durature. Nikolaj Rimskij-Korsakov, all’epoca ufficiale cadetto in Marina, decise di lasciare la carriera militare per abbracciare la professione musicale, con il preciso scopo di superare il magistero di Berlioz nell’arte di strumentare. L’integrazione tra suono e scrittura è stata fin dall’inizio il carattere peculiare della musica di Rimskij-Korsakov, che ha trasmesso questa eredità alla generazione di Stravinskij, Mjaskovskij e Prokof’ev.
Berio
Nel 1975 Luciano Berio ha scritto una versione orchestrale della Ritirata di Boccherini; la sua scelta è stata di non partire da una delle quattro versioni del brano, ma di sovrapporle tutte, con un atto di sintesi volto a conservare le fonti a disposizione. L’operazione però non è stata semplicemente conservativa, e la nuova versione orchestrale è frutto del personale pensiero timbrico di Berio. Le linee melodiche sono mantenute, ma vengono scisse fra i vari strumenti dell’ampia compagine orchestrale. Alcune figurazioni secondarie assumono proporzioni sonore nuove e particolarmente evidenti. Notevole è l’intervento delle percussioni: nessuna delle versioni di Boccherini prevedeva tamburi, ma tutte in qualche modo ne evocavano la presenza con sonorità scabre date da accordi strappati. Berio ha portato alle estreme conseguenze questo dato sonoro “militaresco” e ha voluto nell’orchestra ben due tamburi militari e una gran cassa, dando così alle percussioni un ruolo da protagonista nella nuova Ritirata notturna di Madrid.
Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)
Jean Sibelius
Concerto in re minore per violino e orchestra, op. 47
Dopo la prima esecuzione del Concerto per violino, l’8 febbraio 1904 a Helsinki con l’orchestra diretta dall’autore e solista Viktor Novácek, il critico musicale Karl Flodin scrisse che quel lavoro era “un errore”. Il verdetto negativo del principale critico finlandese colpì profondamente Jean Sibelius, che all’epoca rappresentava l’indiscusso campione della rinascita musicale di un Paese che aspirava all’indipendenza dall’Impero russo. Flodin non serbava pregiudizi verso la sua musica; al contrario, fino a quel momento aveva salutato con autentico entusiasmo i suoi lavori come l’espressione originale di un ethos nazionale.
Sibelius spese due anni a riflettere sul Concerto, che venne sottoposto nel 1905 a una profonda revisione. La nuova versione fu eseguita a Berlino il 19 ottobre 1905, con i Berliner Philharmoniker diretti da Richard Strauss, solista il primo violino dell’orchestra Karel Halir.
Il violino era lo strumento di Sibelius, che aveva ben presto rinunciato al sogno di diventare un virtuoso. La sua scrittura musicale lascia trasparire, in generale, un rapporto per così dire intimo con le caratteristiche degli strumenti ad arco, come per esempio nelle musiche di scena per La tempesta di Shakespeare o in Rakastava. L’idea di comporre un Concerto per il suo strumento nasceva in un momento di ripiegamento intimistico, dopo gli entusiasmanti anni di acceso impegno politico e culturale a favore dell’indipendenza nazionale, culminati nel paesaggismo eroico della Seconda Sinfonia.
Fu un periodo di difficoltà economiche e anche di un certo disordine emotivo, segnato da problemi di alcolismo e da una trasandata gestione della vita famigliare e professionale. Desta un certo stupore, per esempio, il fatto che Sibelius abbia scartato per motivi banali, in entrambe le circostanze, a Helsinki e a Berlino, la collaborazione di un virtuoso del calibro di Willy Burmester, che aveva accolto con entusiasmo il Concerto fin dall’inizio, a favore di musicisti di livello certo non paragonabile. Malgrado una partenza così maldestra, tuttavia, il Concerto ha trovato un posto di rilievo nel repertorio dei maggiori violinisti, da Jasha Haifetz a Leonidas Kavakos, dimostrando di essere uno dei lavori più vitali della musica del Novecento.
Le due versioni del Concerto manifestano in realtà visioni diverse.
In origine il lavoro aveva una scrittura più sbilanciata verso il solista, con una parte tecnicamente più impegnativa e soprattutto una presenza predominante del violino sul piano espressivo.
Il primo movimento, Allegro moderato, annoverava al suo interno ben due cadenze solistiche, che Sibelius ha poi dimezzato tagliando la seconda, un’ampia divagazione del violino solo in stile bachiano. Nella versione finale, invece, il Concerto mostra un maggiore equilibrio tra solista e orchestra, con un insieme di carattere più sinfonico. Rimane tuttavia intatta la caratteristica più originale della forma del primo movimento immaginata da Sibelius, ossia la sezione dello sviluppo affidata a un’imponente cadenza del violino. Qualcosa di simile si trova nel Concerto di Mendelsshon, ma in maniera molto più attenuata.
Il tempo lento, Adagio di molto, è stato meno toccato dalla revisione, volta in generale ad asciugare e a togliere. La preoccupazione di ridimensionare il protagonismo del solista si nota in particolare nel movimento finale (Allegro, ma non tanto), che è stato notevolmente scorciato nella versione finale. Il famoso musicologo inglese Donald Tovey sosteneva che il finale fosse “una polonaise per orsi polari”, sottolineando il carattere selvaggio espresso dalla musica. Il tema, esposto all’inizio dal violino solo accompagnato da un ritmo ostinato e brutale dei timpani, evoca un mondo primordiale e una natura minacciosa, pronta a esplodere con forza dirompente.
Oreste Bossini
(dagli archivi Rai)
Nikolaj Rimskij-Korsakov
Shéhérazade, suite sinfonica op. 35 da Le mille e una notte
Il desiderio di raccontare storie ha profondamente influenzato i linguaggi artistici dell’Ottocento. Questa voglia di storytelling, che covava da tempo, trabocca in maniera incontenibile nella generazione romantica, e nella musica trova la sua prima espressione nella Sinfonia fantastica (1830). Berlioz, infatti, stabiliva un nesso preciso tra narrazione e linguaggio musicale, in forme completamente diverse da quelle della vecchia musica descrittiva. La Sinfonia fantastica raccontava in origine una storia legata alle vicende sentimentali dell’autore, che via via ha attenuato questo aspetto del lavoro fino al punto di cancellarlo del tutto. Resta il fatto, tuttavia, che l’elemento narrativo ha cominciato a infiltrarsi sempre di più nella musica sinfonica, fino a culminare nei grandi poemi sinfonici di Strauss.
L’immaginazione visionaria di Berlioz non si limitò a spingere sempre di più la musica verso la sfera d’influenza del teatro e della letteratura. Il suo esempio indusse i giovani compositori a sperimentare nuove combinazioni timbriche, e più in generale a estendere le ricerche sul suono. Sotto questo aspetto, le due visite in Russia del compositore francese lasciarono un’impronta profonda sulla parte più aperta e sensibile della gioventù musicale indigena. Milij Balakirev, figura carismatica della nuova musica russa, aveva promosso con ogni mezzo il viaggio di Berlioz a San Pietroburgo nell’inverno del 1867, convincendo la granduchessa Elena Pavlovna a invitare il vecchio enfant terrible della musica europea a dirigere una serie di concerti.
L’impressione lasciata dal malandato maestro, ormai prossimo alla fine, sui giovani della cosiddetta ‘scuola nazionale russa’ ebbe conseguenze durature. Nikolaj Rimskij-Korsakov, all’epoca ufficiale cadetto in Marina, decise di lasciare la carriera militare per abbracciare la professione musicale, con il preciso scopo di superare il magistero di Berlioz nell’arte di strumentare. L’integrazione tra suono e scrittura è stata fin dall’inizio il carattere peculiare della musica di Rimskij-Korsakov, che ha trasmesso questa eredità alla generazione di Stravinskij, Mjaskovskij e Prokof’ev.
Nell’estate del 1888 viene alla luce uno dei frutti più riusciti della fusione fra elemento narrativo, linguaggio musicale e sperimentazione sonora, la suite sinfonica in quattro episodi Shéhérazade
Il lavoro prende spunto dalle Mille e una notte tradotte da Antoine Galland, conosciute in versione russa fin dal tardo Settecento. Il programma esposto in testa alla partitura recita: «Il sultano Shahriyār, convinto della perfidia e dell’infedeltà delle donne, aveva giurato di mandare a morte ciascuna delle sue mogli dopo la prima notte di nozze. Ma la sultana Shéhérazade si salvò interessandolo alle storie che gli raccontò nel corso di mille e una notte. Spinto dalla curiosità, il sultano rimandava continuamente il suo supplizio, e finì per abbandonare la sua decisione sanguinaria. Cose meravigliose furono narrate a Shahriyār dalla sultana Shéhérazade. Per i suoi racconti, la sultana prendeva in prestito i versi dei poeti, e le parole delle canzoni popolari, e inframmezzava le storie e le avventure l’una nell’altra». Rimskij-Korsakov s’ispira al libro arabo che incarna, per paradosso, lo spirito narrativo dell’arte europea. Il grande tema che attraversa la cultura dell’Ottocento, infatti, è l’Orientalismo, che nell’ultimo scorcio del secolo stava per essere liquidato dal Decadentismo. Shéhérazade getta gli ultimi bagliori dell’ardente desiderio romantico di partire per un altrove dell’anima, raffreddato dal brutale avvento del colonialismo e dalla conoscenza reale di quel mondo fantastico.
Il percorso narrativo si snoda attraverso i titoli dei quattro movimenti: Il mare e la nave di Sinbad; Il racconto del principe Kalender; Il giovane principe e la giovane principessa; Festa a Bagdad. Il mare. Il Naufragio. In primo luogo Rimskij-Korsakov dipinge i personaggi principali della vicenda, il sultano e Shéhérazade, tramite due figure musicali molto nette e riconoscibili, che legano insieme i vari frammenti della suite. Il sultano si presenta con un tema sonoro e minaccioso, mentre la fanciulla è incarnata da un languido assolo di violino
L’ingresso della sultana è preparato da una serie incantata di accordi tenuti dei legni, che rivelano l’impronta lasciata dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn sulla musica fiabesca dell’Ottocento. I due temi s’intrecciano e si fondono nel primo movimento, che descrive il viaggio della nave di Sinbad, così come le storie si accavallano alle avventure del marinaio, scivolando sul mare armonico sospinti da un vento cromatico. I temi si ripetono e si trasformano su uno sfondo cangiante, innestandosi uno nell’altro, compresi due temi secondari affidati il primo a un piccolo coro di archi e il secondo a un dolce arabesco dei fiati solisti. Sono due macchie di colore che si aggiungono al grande affresco dipinto sul soggetto principale. Questo stile di narrazione musicale deriva dal teatro di Wagner, ma in una forma diversa dalla tecnica dei Leitmotive. In realtà, il viaggio ha una forma circolare e illusoria, oscillando fra mi minore e mi maggiore come un vascello che stalla la corrente.
La successiva storia del principe Kalender è raccontata dalla voce suadente della sultana, con una variazione in si minore del suo tema. Kalender, secondo il Dictionnaire de Trévoux (1738-1742), è una parola araba che indica una specie di dervisci, vagabondi e mendicanti, ladri e ciarlatani dediti solo ai piaceri. Nell’edizione di Galland, tre mendicanti, ospitati una notte in casa di tre bellissime sorelle e catturati dai loro schiavi mori per aver infranto il comandamento di non fare domande inopportune, si spacciano per principi. Ciascuno di loro racconta una storia meravigliosa infarcita di versi, nella quale il narratore si spaccia per il figlio di un Re. Rimskij-Korsakov forse sarà stato colpito dal fatto che i mendicanti sono musicisti, e suonano rispettivamente una flûte du pays, una flûte persanne, e un tambour de basque. Infatti, il movimento è impregnato di musica popolare, anzi per meglio dire etnica, specie nelle cadenze del clarinetto e del fagotto. Anche gli ultimi due movimenti derivano dal medesimo snodo narrativo.
La storia del giovane principe e della giovane principessa, raccontata dal primo mendicante orbo, è il truce resoconto di un amore incestuoso, ben diverso dal carattere dolce e sentimentale della musica. Del resto, non esiste alcun riferimento letterale alle storie evocate dai titoli, che lasciano giusto il tempo di sbirciare per un attimo nell’immaginazione dell’autore. Il ricordo della musica araba e turca, ascoltata in viaggio nei Paesi musulmani, si mescola anche qui a un materiale melodico inventato di sana pianta, con movenze leggiadre di danza nella parte centrale. La voce suadente di Shéhérazade si fa sentire verso la fine, con una cadenza che accompagna le ultime reminiscenze del tema.
L’ultimo movimento, infine, riassume i punti essenziali del racconto, rovesciando le armonie della parte iniziale. Qui, infatti, il tema aggressivo del sultano mostra il suo fiero cipiglio nella tonalità di si minore, mentre la risposta di Shéhérazade questa volta è in mi minore. La prima parte, in effetti, è una parodia dell’inizio, con il tema principale trasformato in una frenetica danza dionisiaca, e la cadenza del violino esaltata in maniera virtuosistica.
La successiva storia del principe Kalender è raccontata dalla voce suadente della sultana, con una variazione in si minore del suo tema. Kalender, secondo il Dictionnaire de Trévoux (1738-1742), è una parola araba che indica una specie di dervisci, vagabondi e mendicanti, ladri e ciarlatani dediti solo ai piaceri. Nell’edizione di Galland, tre mendicanti, ospitati una notte in casa di tre bellissime sorelle e catturati dai loro schiavi mori per aver infranto il comandamento di non fare domande inopportune, si spacciano per principi. Ciascuno di loro racconta una storia meravigliosa infarcita di versi, nella quale il narratore si spaccia per il figlio di un Re. Rimskij-Korsakov forse sarà stato colpito dal fatto che i mendicanti sono musicisti, e suonano rispettivamente una flûte du pays, una flûte persanne, e un tambour de basque. Infatti, il movimento è impregnato di musica popolare, anzi per meglio dire etnica, specie nelle cadenze del clarinetto e del fagotto. Anche gli ultimi due movimenti derivano dal medesimo snodo narrativo.
La storia del giovane principe e della giovane principessa, raccontata dal primo mendicante orbo, è il truce resoconto di un amore incestuoso, ben diverso dal carattere dolce e sentimentale della musica. Del resto, non esiste alcun riferimento letterale alle storie evocate dai titoli, che lasciano giusto il tempo di sbirciare per un attimo nell’immaginazione dell’autore. Il ricordo della musica araba e turca, ascoltata in viaggio nei Paesi musulmani, si mescola anche qui a un materiale melodico inventato di sana pianta, con movenze leggiadre di danza nella parte centrale. La voce suadente di Shéhérazade si fa sentire verso la fine, con una cadenza che accompagna le ultime reminiscenze del tema.
L’ultimo movimento, infine, riassume i punti essenziali del racconto, rovesciando le armonie della parte iniziale. Qui, infatti, il tema aggressivo del sultano mostra il suo fiero cipiglio nella tonalità di si minore, mentre la risposta di Shéhérazade questa volta è in mi minore. La prima parte, in effetti, è una parodia dell’inizio, con il tema principale trasformato in una frenetica danza dionisiaca, e la cadenza del violino esaltata in maniera virtuosistica.
Tutto il materiale si ripresenta sotto una luce nuova, in una metamorfosi ritmica e armonica scintillante
Il naufragio della nave, che si schianta nel racconto del terzo mendicante contro una roccia magnetica sormontata da un guerriero di bronzo, offre lo spunto per un potente scorcio sinfonico. La brillante frenesia ritmica sfocia nella maestosa esposizione del tema principale prima in do maggiore e infine in mi maggiore, chiudendo il cerchio con l’ultima, eterea cadenza del violino e con la serie di accordi dei fiati, che richiudono delicatamente il libro delle Mille e una notte. Si dileguava per sempre anche il sogno orientale della cultura europea, come suggeriscono i versi ironici del raffinato esteta Robert de Montesquiou:
Voyager est fort bon - mais l’occasion chauve
De demeurer chez soi fut souvent de saison
Viaggiare è gran cosa - ma la rara occasione
di restarsene a casa fu sovente di moda.
Oreste Bossini
(dagli archivi Rai)
I biglietti del concerto del 29 e 30 maggio sono disponibili anche online
Voyager est fort bon - mais l’occasion chauve
De demeurer chez soi fut souvent de saison
Viaggiare è gran cosa - ma la rara occasione
di restarsene a casa fu sovente di moda.
Oreste Bossini
(dagli archivi Rai)
I biglietti del concerto del 29 e 30 maggio sono disponibili anche online