Le note di sala del concerto n. 4 stagione 2025/2026

Le note di sala del concerto n. 4 stagione 2025/2026

13 e 14 novembre 2025, Auditorium Rai Torino

Le note di sala del concerto n. 4 stagione 2025/2026
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Die Hebriden, “Fingals Höhle” (Le Ebridi, “La grotta di Fingal”)
Ouverture da concerto in si minore, op. 26

Mendelssohn nei mari del Nord

Certi pezzi, quando attaccano, danno l’impressione di emergere da un elemento primordiale, di staccarsi gradualmente da una sorta di liquido amniotico. È il caso delle Ebridi di Mendelssohn, una pagina che nasce dalle profondità del mare: acque scure, calme e insieme sinistre, che si muovono a fatica solcate dallo scafo di un’imbarcazione. Siamo a Nord, tra le coste della Scozia e le isole Ebridi, in una spaccatura della roccia nota come Grotta di Fingal (l’altro titolo dell’ouverture): da sempre un luogo prediletto da scrittori quali Walter Scott o Jules Verne. Mendelssohn capitò in zona l’8 agosto del 1829; aveva vent’anni; e fu profondamente colpito da quell’antro misterioso nel quale il mare si avventa ora stagnando, ora rimbombando con spaventosa violenza.
La leggenda narra che da quelle parti si siano svolte le favolose imprese dell’eroe Fionn McCoul, il guerriero celtico che avrebbe guidato gli irlandesi all’assalto dell’esercito norvegese; e la grotta ha preso il suo nome, visto che Fingal è la forma scozzese del gaelico Fionn
Ancora scosso dall’emozione provata davanti a quel fascinoso connubio di leggenda e natura, Mendelssohn schizzò un’ouverture, che sembra avventurarsi, con un paio di decenni d’anticipo, nella direzione dei grandi poemi sinfonici di Liszt. Ci vollero diversi anni, tuttavia, prima che il lavoro fosse compiuto; e solo nel 1832 l’opera apparve per la prima volta in pubblico, presso la London Philharmonic Society sotto la direzione dell’autore. Difficile trovare una composizione coeva dotata della stessa efficacia visiva: i movimenti ondeggianti di violoncelli, violini e fagotto alludono fin dalle prime note alla conturbante profondità dell’oceano; eppure, nonostante questa chiarissima sensazione, Mendelssohn riesce a dipingere le ombre di un mistero insondabile. Le suggestioni epiche si muovono là fuori, dove il mare lascia spazio alla terra; ma la sensazione è che le imprese di Fingal riecheggino in un tempo remoto. Le enigmatiche scivolate degli archi non abbandonano la composizione in nessun momento, nemmeno quando nei fiati rimbombano i rumori di una violenta battaglia. È l’elemento primordiale a bagnare di mistero le epiche imprese dell’eroe gaelico; il punto di osservazione si sposta tra le pieghe di quel mare incuneato nella roccia; ed è tra quelle onde, spietate nella loro perpetua indifferenza, che persiste la memoria della leggenda.

Andrea Malvano (dagli archivi Rai)

Benjamin Britten
Concerto in re minore per violino e orchestra, op. 15

Nel 1939 anche in Gran Bretagna i venti di guerra e le minacce delle dittature si fecero sentire in modo evidentemente preoccupante per tutti coloro che facevano del pacifismo e della libertà personale un ordine esistenziale primario; tra questi si possono annoverare Benjamin Britten e quello che doveva diventare il compagno artistico e sentimentale della sua vita, il tenore Peter Pears. I due, seguendo l’esempio dell’amico poeta Wystan Hugh Auden, grazie al quale Britten aveva preso coscienza delle sue inclinazioni politiche, nonché di quelle sessuali, si trasferirono in America, dove il compositore poté intensificare la sua attività e definire il suo stile, tanto eclettico quanto radicato nella tradizione, poiché capace di utilizzare tutte le evoluzioni che il linguaggio musicale ha sviluppato nella sua storia per ottenere una comunicatività immediata ed efficace.
Fra le opere del periodo americano figura il Concerto per violino e orchestra op. 15, eseguito per la prima volta alla Carnegie Hall di New York il 28 marzo del 1940 dal violinista Antonio Brosa e dalla New York Philharmonic Orchestra diretta da John Barbirolli. 

Il lavoro, impostato su uno stretto rapporto tra solo e orchestra, si presenta in tre movimenti, il primo, Moderato con moto, si apre con una cellula musicale puramente ritmica proposta dai timpani e costruita su un intervallo di quinta; su di essa il violino distende il primo soggetto, una melodia di lirica dolcezza che va a sovrapporsi al motteggiare dell’idea precedente, passata al fagotto e poi a varie altre parti dell’orchestra. Anche il secondo soggetto, di natura più dinamica, è introdotto da un elemento ritmico, che il violino presenta in forma di accordi staccati; tutto lo sviluppo centrale è costruito sul secondo soggetto, che non comparirà più nella ripresa, annunciata dal ritorno del tema cantabile negli archi, su cui il solista inserisce entrambe le cellule ritmiche introduttive ai temi. Una breve cadenza del violino conclude il movimento, mentre i timpani prima e gli archi in pizzicato poi riespongono rispettivamente i due ormai familiari motti ritmici.

Lo spirito da Scherzo del secondo movimento, Vivace, è definito sin dall’introduzione al tema «saltellante» che domina la prima sezione, proposto dal violino sul borbottio di sostegno del fagotto. La zona di cantabilità centrale è costruita sul melodizzare un po’ improvvisante del solo che, una volta portatosi nel registro acuto, frantuma la linea in schegge sonore raccolte e disperse dai due ottavini. Torna il tema iniziale ma per poco: l’orchestra si fissa ostinatamente sulla linea melodizzante della parte centrale e proprio partendo da questa il violino costruisce la sua ampia cadenza solistica, nella quale trova spazio anche il richiamo ai temi del primo tempo. 
L’ingresso dei tromboni segna il passaggio al finale, una Passacaglia composta su un tema giocato sull’alternanza di toni e semitoni, nel pieno rispetto dello spirito moderato della danza di origine spagnola, ambiguamente conclusa da un trillo del solo che non consente di definire il modo maggiore o minore della tonalità predominante di re.

Paolo Cairoli
(dagli archivi Rai)



Johannes Brahms 
Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90

Una sinfonia «troppo celebre»

Nell’estate del 1883 Brahms aveva da poco compiuto cinquant’anni. Il suo catalogo si era appena arricchito di un’opera di ampio respiro come il Concerto per pianoforte op. 83. Nessuno si sarebbe aspettato un altro lavoro di grandi proporzioni. Forse lo stesso Brahms non aveva fatto alcun progetto in tal senso; eppure, non appena giunse a Wiesbaden, in Renania, si sentì subito avvolto da un’atmosfera rigenerante. Il paesaggio attorno alla cittadina era incantevole, la compagnia della cantante Hermine Spies particolarmente gradita, e anche l’appartamento affittato per i mesi estivi aveva qualcosa di profondamente poetico:
Mi sono insediato in un posto incredibile. Si potrebbe pensare che abbia ereditato i gusti di Wagner, se si venisse a sapere che lo studio che occupo era l’atelier di un pittore. Un ambiente decisamente singolare, altissimo, fresco, luminoso
Strano che Brahms citasse Wagner, proprio l’autore che il mondo musicale coevo aveva voluto confinare in un emisfero opposto al suo. Ma quell’estate fu per molti versi anomala: niente montagna e una frequentazione di amicizie che rompeva l’isolamento a cui il compositore amava dedicarsi durante quel periodo dell’anno. E così, a fine agosto, la partitura della Terza Sinfonia era già pronta per essere eseguita. Ci vollero sei mesi, tuttavia, per completare le procedure di pubblicazione; Brahms dovette fronteggiare una gara tra due pretendenti agguerriti: da una parte il vecchio editore Simrock, dall’altra una nuova figura intraprendente, Albert Gutmann, che si era fatta avanti con una proposta economica davvero allettante. Alla fine, Brahms decise di non abbandonare la vecchia - e sicura - strada per la nuova, e così rinunciò a cinquemila marchi pur di assicurarsi che la sua nuova sinfonia avesse la stessa cura editoriale delle due precedenti.

Molto meno travagliata fu la vicenda della prima esecuzione pubblica, che avvenne il 2 dicembre dello stesso anno sotto la direzione di Hans Richter, decretando un trionfo destinato a rimanere tra i più felici di tutto l’Ottocento musicale. Tutti i critici furono concordi nell’elogiare la superiorità della Terza Sinfonia rispetto alle due precedenti; e tale parere unanimemente condiviso non tardò a irritare la sensibilità dell’autore, che qualche tempo dopo fu costretto a parlare di «sinfonia sfortunatamente troppo celebre». Nei primi mesi del 1884 furono le platee di Berlino, Amburgo e Lipsia a tributare un deciso consenso alla nuova composizione; ma fu senza dubbio il concerto organizzato da Hans von Bülow a Meiningen l’evento che segnò il culmine dell’entusiasmo: la sera del 3 febbraio 1884 in quella piccola cittadina dalle illustri tradizioni musicali la Terza Sinfonia fu eseguita sia nella prima sia nella seconda parte del concerto. 

Una nuova «eroica»? 

Fin dai tempi della prima esecuzione i commentatori citarono Beethoven tra le fonti di ispirazione più evidenti per la Terza Sinfonia di Brahms: Eduard Hanslick e Hans Richter si spinsero addirittura a parlare di pagina «eroica». Del resto, l’affermazione era scontata per un compositore che fin dalla sua Prima Sinfonia aveva dichiaratamente espresso un esplicito debito nei confronti del genio di Bonn.
L’energia del tema che apre il primo movimento, la tensione capace di esplodere nell’arco di sole tre note e l’arte della variazione nelle sue più minute manifestazioni sono senza dubbio tratti tipicamente beethoveniani
Ma è solo la superficie dello stile che anima le opere mature di Brahms: nella Terza Sinfonia c’è qualcosa che va al di là della copertina puramente astratta, per sconfinare in quella sommessa emersione di contenuti extramusicali, che diventerà sempre più frequente nelle composizioni dell’ultimo periodo. Esplicito è, ad esempio, il riferimento alla cultura nazionale tedesca contenuto nel secondo tema dell’ultimo movimento: una libera citazione dalla canzone Die Wacht am Rhein (La guardia del Reno), che conferisce all’opera una radice culturale precisa, da scoprire nelle tradizioni collettive ancor prima che nelle scelte individuali di un compositore di genio. E poi la stessa cellula su cui si apre la sinfonia allude a un motto ricorrente nella produzione di Brahms: F-A-F (fa-la-fa, secondo la notazione anglosassone) rimanda all’espressione «Frei aber Froh» (Libero, ma felice) con cui Brahms amava stilizzare la sua innata inclinazione alla solitudine. Così come il tono sereno dell’Andante non nasconde un preciso rinvio alla lunga tradizione delle pagine di ispirazione bucolica, fonte inestinguibile per tutto il Romanticismo. Tutti questi significati nascosti tra le pieghe della partitura sembrano additare in Schumann il modello più vicino alla natura della Terza Sinfonia. D’altra parte, l’opera era nata nella stessa regione in cui era stata abbozzata la Sinfonia Renana; qualcosa di quelle suggestioni estetiche doveva rimanere impresso nell’immaginazione di un compositore che fin dall’adolescenza aveva visto in Schumann un indiscusso padre spirituale. Non a caso Clara Wieck avvertì nella scrittura di Brahms un’affinità sorprendente con quella del marito scomparso da quasi trent’anni. Ma, nonostante questa serie di contatti espliciti con il passato, la Terza Sinfonia di Brahms resta una delle opere in cui prende forma in maniera più evidente l’originalità di Brahms nel suo tempo: nel secondo movimento si avverte già l’impulso lirico delle ultime opere per pianoforte, nel terzo scorre tutta la passionalità che accende le pagine più emozionanti delle sonate per violino e pianoforte op. 100 e op. 108; così come l’alleggerimento timbrico delle battute conclusive esprime quello che Giorgio Pestelli definisceun
effetto luminoso che poi è solo l’aspetto esteriore di quel senso di pace e di appagamento che è fra le più alte lezioni dell’umanesimo di Brahms
Forse non erano questi gli aspetti che avrebbero spinto Schönberg a parlare di Brahms “progressista”, ma sono senza dubbio i lineamenti più sinceri di un artista che sapeva, come nessun altro, riscrivere il passato senza rimanere soffocato dal peso dei suoi predecessori.

Le piace Brahms?

Tratto dall’omonimo racconto di Françoise Segan, Le piace Brahms? è un film del 1961 di Anatole Litvak. Una matura arredatrice parigina (Ingrid Bergman) è trascurata dal suo fidanzato playboy (Yves Montand), finché non incontra un giovane americano (Anthony Perkins) dai modi fascinosi, che le fa vivere un’indimenticabile storia d’amore. Nella sceneggiatura di Le piace Brahms? (il titolo originale è Goodbye again) sono molti i temi convenzionali: il triangolo amoroso, l’attrazione tra una donna matura e un giovane ragazzo inesperto, la dolorosa indecisione tra due uomini affascinanti. E lo sfondo sonoro dell’appassionata relazione tra i due protagonisti è il terzo movimento (Poco allegretto) della Terza Sinfonia di Brahms. La pagina è senza dubbio perfetta per esprimere i tortuosi percorsi di una dolorosa vicenda sentimentale, e insegue i personaggi come un’ossessione, fin dalla sua prima apparizione alla Salle Pleyel: negli arrangiamenti di Georges Auric si trasforma in maniera poliedrica ora in una baldanzosa musica da pianobar, ora in un esuberante sfondo hollywoodiano; ma tutte le accentuazioni della colonna sonora non fanno che indebolire la violenza sfuggente del disegno originale.

 Andrea Malvano
(dagli archivi Rai)




I biglietti del concerto del 13 e 14 novembre 2025 sono disponibili anche online