Le note di sala del concerto n. 5 stagione 2025/2026

Le note di sala del concerto n. 5 stagione 2025/2026

20 e 21 novembre 2025, Auditorium Rai Torino

Le note di sala del concerto n. 5 stagione 2025/2026
Richard Wagner
Lohengrin. Preludio all’Atto I

Lohengrin - Opera romantica in tre atti di Richard Wagner, annunciava la locandina della prima rappresentazione assoluta, il 28 agosto 1850 al teatro granducale di Weimar. Composto nel 1845 per il testo e dal 1846 al 1848 per la musica, era il quinto titolo d’opera di Richard Wagner, e il terzo e ultimo della “trilogia romantica” che apre la sua maturità, dopo L’Olandese volante rappresentato nel 1843 e Tannhäuser dato nel 1845. Tre partiture nelle quali è via via sempre più deciso il distacco dai modelli correnti, basati su una struttura in pezzi chiusi, con arie vere e proprie nelle quali la melodia si snoda in frasi simmetriche guidata dallo schema dei versi.

Le teoria rivoluzionaria del dramma musicale, anzi “dramma di parola e suono”, è ancora da definire, come le tecniche compositive e lo stile che l’avrebbero realizzata. Ma lo stile è prevalentemente sillabico, senza concessioni al virtuosismo vocale.
La presenza dell’orchestra è spesso protagonistica, travolgendo la barriera antica fra canto e accompagnamento, e identificando personaggi e situazioni con motivi ricorrenti, non sempre veri e propri “motivi conduttori” come nei drammi successivi ma già sottoposti a un’elaborazione non meno intensa di quella che nutre il grande sinfonismo classico e contemporaneo
Prima ancora, l’identificazione di autore del testo e dalla musica in una sola persona dà per scontata la rottura con la routine operistica, che vedeva il libretto come base preesistente, magari passando lungo i decenni più volte da un compositore a un altro. Lohengrin invece è dichiarato “di” Richard Wagner: un unico, inscindibile atto creativo. Più delle opere precedenti, Lohengrin presenta già molte caratteristiche dei futuri drammi musicali: un soggetto al tempo stesso storico e mitico, ricavato dalla stessa leggenda che darà più tardi vita all’ultimo capolavoro, Parsifal, i pezzi ampi e complessi, lo stile del canto, l’intreccio dei Leitmotive, un’orchestrazione ricchissima che è già segnale poetico, contribuendo al colore chiaro e luminoso di un’opera quasi tutta “in bianco e argento”, come ha scritto Quirino Principe. Un grande passo in avanti nel Preludio del primo atto.
Stando a Wagner dovrebbe dipingere la discesa dal cielo del Graal, la coppa che contiene la reliquia del sangue di Cristo, custodita nel castello-tempio di Monsalvat dal quale Lohengrin su una barca trainata da un cigno giunge sulle rive della Schelda per poi ripartire al termine di una vicenda drammatica e fiabesca di amore morte e redenzione. Non più un’ouverture autonomamente sviluppata, ma un’introduzione progressiva al clima dell’opera, costruita quasi sullo schema della sezione aurea, con un lungo crescendo dalle sonorità trasparenti dell’inizio, coinvolgendo sezioni sempre più ampie dell’orchestra fino a un culmine dinamico ed emotivo, per poi ridiscendere più rapidamente e sfumare nel silenzio
Scritto al culmine del periodo più felice fino allora vissuto da Wagner come direttore del Teatro di corte di Dresda, per esser rappresentato Lohengrin dovette attendere l’intervento come sempre generoso di Franz Liszt, allora responsabile delle attività musicali di Weimar. Inseguito dalle polizie di tutta la Germania per aver partecipato ai moti rivoluzionari del 1849, Wagner era riparato in Svizzera, esule senza prospettive. Sempre disposto ad aiutare i colleghi in difficoltà, Liszt raccolse la sua preghiera, e nonostante le risorse limitate a sua disposizione mise in programma e diresse Lohengrin. Wagner dovette limitarsi a seguire lo spettacolo con la fantasia dal suo esilio, cercando di indovinare, con l’orologio in mano, il procedere dell’esecuzione. Diresse più volte il Preludio in concerto, e poté finalmente vedere Lohengrin in scena nel 1861 a Vienna. Dieci anni più tardi Lohengrin fu la sua prima opera a giungere in Italia, rappresentato a Bologna il 1° novembre 1861 nella versione ritmica di Salvatore de C. Marchesi. Wagner ringraziò con una lettera famosa ad Arrigo Boito, che pochi giorni dopo trovò ad assistere a una replica un diffidente ma interessatissimo Giuseppe Verdi. 


Alma Mahler
Sieben Lieder
Selezione di brani.
Orchestrazione di Colin e David Matthews

A diciassette Lieder per voce e pianoforte si riduce la produzione musicale superstite di Alma Margaretha Maria Schindler, “la moglie di Gustav Mahler”, come tanti si limitano a ricordarla, compagna di lui dal 1902 in un matrimonio che nella scala corrente della celebrità mette un po’ in ombra i suoi altri partners celebri. L’avevano preceduto un flirt adolescenziale con un grande pittore, Gustav Klimt, e una relazione segreta ma lunga e importante con un musicista bruttissimo ma geniale, Alexander von Zemlisnki, il suo maestro di composizione; lo movimentò non poco negli ultimi anni, spedendo Mahler anche se senza molti risultati sul divano di Sigmund Freud, una storia con Walter Gropius, architetto già in vista, futuro padre del Bauhaus e del movimento artistico relativo; lo seguirono un rapporto con un maestro dell’Espressionismo, Oskar Kokoschka, il matrimonio con Gropius e quello con lo scrittore Franz Werfel, complicato da divergenze radicali in  politica per i sentimenti antifascisti di lui e la simpatia di lei per il regime franchista in Spagna oltre a un certo antisemitismo nonostante i legami con gli ebrei Zemlinski, Mahler e Werfel stesso. Da questa vicenda nacquero quattro figli: la prima, Anna Mahler, sarebbe divenuta una scultrice famosa; altri tre sarebbero morti presto: la piccola Maria Alma Mahler, Manon Gropius, che avrebbe ispirato ad Alban Berg il Concerto per violino dedicato “alla memoria di un angelo”, e Martin Gropius, in realtà già figlio di Werfel, vissuto meno di un anno.

Questa galleria di celebrità era conseguenza diretta della sua storia personale. Era figlia di un pittore importante, Emil Schindler, e della cantante Anna von Bergen, che rimasta presto vedova aveva sposato un altro pittore, Carl Moll, animatore insieme con Klimt della Sezession viennese, facendo crescere Alma fra artisti e intellettuali. Da lei Mahler fu attirato in quel cerchio magico di sollecitazioni culturali, che contribuì non poco alla piega presa dalla sua produzione nel nuovo secolo, sempre più distante dal tardo romanticismo del primo periodo. Una tradizione storica alimentata in gran parte da Alma stessa accusa Mahler di aver soffocato con le sue critiche le aspirazioni compositive di lei, relegandola a un ruolo secondario di sposa e madre. Sta di fatto che la prima raccolta di Cinque Lieder di Alma fu pubblicata nel 1910, quando Mahler era ben vivo. Scomparso lui pubblicò altre due raccolte: Quattro Lieder nel 1915, Cinque Lieder nel 1924. Gli ultimi tre uscirono postumi, fra il 2000 e il 2018.

Più che cercare a ogni costo in questi pezzi, comunque pregevoli e originali, le tracce di una sudditanza da un marito così ingombrante, è utile riconoscere già per la scelta di testi di poeti contemporanei la loro parentela con un primo Novecento decadentistico, in bilico fra modernità e trascinamenti di un’età romantica ormai archiviata, quello di Mahler stesso e di Richard Strauss.
Ricerca di espressività, dialogo intenso fra voce e accompagnamento strumentale, configurano quasi piccoli astratti drammi musicali
Anche per questo, oltre che per la suggestione dei grandi Lieder di Mahler, che dilatano l’intimismo del Lied romantico nella dimensione più vasta e scenografica dell’orchestra, i Lieder di Alma hanno suggerito a più di un musicista di realizzarne una versione sinfonica. I fratelli britannici David e Colin Matthews nel 1996 ne hanno orchestrati sette, cinque dei quali ci sono proposti adesso: Die stille Stadt (Richard Dehmel, 1863-1920) e Laue Sommernacht (Otto Erich Hartleben,1864-1905), provengono dai Fünf Lieder del 1910, quelli in qualche modo approvati da Mahler; Licht in der Nacht, (Otto J. Bierbaum, 1866-1910) dai Vier Lieder del 1915: In meines Vaters Garten (Hartleben, titolo originale Gefunden, Trovato) e Bei dir ist es traut (Rainer Maria Rilke,1875-1926) ancora dai Cinque Lieder del 1910.


Sergej Prokof'ev
Romeo e Giulietta
Selezione di brani dalle Suites op. 64bis, op. 64ter e op. 101

Sergej Prokof’ev era rientrato con entusiasmo in Unione Sovietica nel 1932, dopo quattordici anni importanti trascorsi in Occidente, che l’avevano affermato internazionalmente fra i compositori più in vista del suo tempo, con una discreta fama di avanguardista pericoloso, specialmente nei primi tempi. Quasi subito si era dovuto accorgere che il clima culturale che si era lasciato alle spalle in URSS partendo nel 1918, subito dopo la rivoluzione era molto cambiato, e che anche il modernismo ormai un po’ addolcito del suo stile non era gradito al regime. Nel 1934 la prima esecuzione di una partitura che oggi può sembrare del tutto tranquilla, il Canto sinfonico, forse non per caso rimasta poi fra i suoi pezzi eseguiti più di rado, gli attirò l’accusa di provocare un degrado della cultura. Fu logico che Prokof’ev proseguisse con ancor maggior decisione il recupero di linguaggi più facili e accessibili, meno dissonanti e meno inquieti e irregolari dal punto di vista ritmico, che aveva già avviato prima del ritorno in patria, e da allora in avanti desse vita alle sue musiche destinate a rimanere più popolari, come la “fiaba sinfonica” Pierino e il lupo e appunto il balletto Romeo e Giulietta.

Gli aveva chiesto di comporlo il teatro Kirov di Leningrado - il Mariinskij di Pietroburgo, in quel tempo così ribattezzato in onore del segretario del partito cittadino Sergej Kirov, appena assassinato - che voleva arricchire il repertorio del suo corpo di ballo con drammaturgie coreografiche centrate sul racconto di una storia. Ovvio che la possibilità di rivolgersi a William Shakespeare e a uno dei suoi capolavori più noti piacque moltissimo a Prokof’ev. Il libretto fu scritto dal drammaturgo Adrián Petrovskij, che era stato il primo a suggerire il soggetto a Prokof’ev, nel 1934, e dal regista Sergej Radlov, direttore del Kirov. Nel frattempo però Radlov si dimise, e il progetto fu abbandonato. Lo raccolse il teatro Bol'šoj di Mosca, che aveva un corpo di ballo pure famosissimo. Agli autori del libretto si aggiunse così il coreografo Leonid Lavrovskij. Prokof’ev si mise al lavoro con entusiasmo nella primavera del 1935, e scrisse la maggior parte della musica in settembre, ospite della casa estiva del Bol'šoj a Polenovo. Jurij Fajer, direttore d’orchestra dei balletti del teatro, riuscì a convincerlo a rinunciare al lieto fine previsto in origine e a recuperare la conclusione tragica della vicenda disegnata da Shakespeare. L’orchestrazione fu terminata l’anno successivo. Ma quando Prokof’ev presentò la partitura a Lavrovskij se la vide respingere, perché troppo difficile ritmicamente. Forse sullo sfondo c’era anche la stretta imposta in quel periodo dal regime in fatto di arte e cultura, con le critiche pesanti a Dmitrij Šostakovič e allo stesso Petrovskij.

Prokof’ev trasse allora da quanto aveva scritto una Prima suite orchestrale di sette pezzi, numerata come op. 64 bis, che fu eseguita in novembre a Mosca da Georges Sebastian. Seguì nel 1937 una Seconda suite op. 64 ter, sempre in sette pezzi, eseguita a Leningrado il 16 aprile con la direzione dello stesso Prokof’ev, che la incise in disco l’anno successivo. Presto le due suites furono riprese anche in Occidente, dando inizio al successo inossidabile di uno dei capolavori di Prokof’ev più amati dal pubblico di tutto il mondo. Una prima rappresentazione del balletto, con musica ricavata dalle due suites ebbe luogo al Teatro nazionale di Brno, in una Cecoslovacchia democratica non ancora caduta nelle grinfie della Germania nazista, il 30 dicembre 1938, senza che Prokof’ev, trattenuto in URSS, potesse assistere. Il balletto completo, dopo una revisione della partitura, andò finalmente in scena al Kirov l’11 febbraio del 1940 con la coreografia di Lavrovskij, interpreti principali Konstantin Sergeev e Galina Ulanova. Una Terza suite op. 101 raccolse nel 1947 sei numeri già inseriti in quelle precedenti.
In teatro, nelle interpretazioni dei coreografi e dei danzatori più celebri, come nelle sale da concerto nelle quali i maggiori direttori presentano l’una o l’altra suite, o come in questo programma una successione di pezzi scelti liberamente, la più bella storia d’amore mai raccontata rivive spessissimo in una realizzazione musicale rimasta fra le più belle insieme con quella creata quasi cento anni prima da Hector Berlioz con la sua “sinfonia drammatica” e con l’opera di poco successiva di Charles Gounod.
In qualsiasi di queste situazioni, tutte le risorse del maggior Prokof’ev, da un’inventiva ritmica di evidenza narrativa e scenica immediata, alla plasticità quasi visiva di un suono orchestrale lussureggiante, che si fa gesto anche attraverso il timbro, concorrono a disegnare la rivalità fra Capuleti e Montecchi, la passione fra i due innamorati e la morte che li trasfigura in una sintesi sempre vincente di virtuosismo e forza espressiva