Le note di sala del concerto n. 6 stagione 2025/2026

Le note di sala del concerto n. 6 stagione 2025/2026

4 e 5 dicembre 2025, Auditorium Rai Torino

Le note di sala del concerto n. 6 stagione 2025/2026
Anton Bruckner
Sinfonia n. 8 in do minore (versione 1890)
(revisione di Leopold Nowak)

Il 16 agosto 1885, dopo undici mesi di lavoro, con un soddisfatto Alleluia! Bruckner siglava il completamento dell’abbozzo della sua Ottava Sinfonia. Elaborazione, orchestrazione e ritocchi si protrassero fino al 10 agosto 1887. Bruckner aveva allora quasi sessantatré anni: proprio durante la gestazione dell’Ottava aveva finalmente conosciuto il successo, con le esecuzioni trionfali della Settima a Lipsia, a Monaco e finalmente in quella Vienna dove gli si opponeva l’ostilità di Brahms e del critico Eduard Hanslick, nemici di quanto sapesse di wagneriano.
Adesso si trovava sul tavolo, fresca d’inchiostro, la partitura sinfonica più imponente che si fosse mai vista: 2080 battute, per una durata di quasi un’ora e mezza, strumentate per un’orchestra ricca di legni a due, nel finale portati a tre, quattro corni, quattro tube, tre trombe, tre tromboni, bassotuba, timpani, piatti, triangolo, tre arpe
Il 19 settembre Bruckner ne spediva copia a Hermann Levi, il primo direttore del Parsifal, artefice del grande successo della Settima a Monaco:
Mi prendo la libertà, con Suo permesso, di inviarLe la partitura dell’Ottava Sinfonia. Possa trovar grazia! La gioia che mi proviene dalla speranza di un’esecuzione sotto la Sua magistrale direzione è per me inesprimibile
Invece Levi rimase sconcertato dalle dimensioni e dalla complessità dell’Ottava, e mandò a dire a Bruckner che non se la sentiva di dirigerla, consigliando una revisione. Per Bruckner, che tutto contento aveva già avviato la composizione della Nona, la delusione fu tremenda, al punto da indurlo quasi a pensare al suicidio. Ma poco dopo cominciò una approfondita rielaborazione, concludendola nel marzo del 1890. La prima esecuzione, diretta il 18 dicembre 1892 da Hans Richter alla testa dei Filarmonici di Vienna, fu, scrisse Hugo Wolf, “una completa vittoria della luce contro l’oscurità”. “Una tempesta di applausi” dopo ciascun movimento: “un trionfo quale nessun condottiero romano oso mai sognare”.

Le silhouettes celeberrime di Otto Bohler ci tramandano i gesti grandiosi di Richter sul podio, e poi accanto a lui la figura tenerissima insaccata nel giaccone informe e nei calzoni a fisarmonica, che risponde alle ovazioni strascicando per terra una corona d’alloro di cui sembra non sapere che farsi. Prima di comprare un vassoio di Krapfen da offrire a Richter e agli altri amici, Bruckner si precipitò a rincorrere per salutarlo Brahms, che se ne stava andando imbronciatissimo insieme con Hanslick, dal quale l’Ottava sarebbe stata stroncata con la solita violenza.

La versione eseguita da Richter era sensibilmente ridotta rispetto alla stesura originaria: centoottanta battute in meno, con rimaneggiamenti imponenti nel primo tempo, privato della perorazione conclusiva, e nello Scherzo, con la sostituzione del Trio, e il taglio di trentotto battute nell’Adagio e di sessantadue nel Finale. Molti i ritocchi alla strumentazione, con i legni portati ovunque a tre e l’immissione del controfagotto, molte le piccole modifiche qua e là. Nel 1893 la partitura fu stampata dall’editore Haslinger, ma in una versione pesantemente alterata da Max von Oberleithner, un altro allievo di Bruckner: il quale come al solito approvò, o comunque subì, i benintenzionati scempi che gli venivano suggeriti.

Una lezione attendibile dell’Ottava si ebbe solo nel 1938, con l’edizione critica di Robert Haas. Una seconda revisione uscì nel 1955, nell’ambito della nuova edizione critica delle opere di Bruckner a cura di Leopold Nowak cui si debbono anche revisione e pubblicazione della versione originaria dell’Ottava, respinta da Levi nel 1887: e la cosiddetta “Nowak 1”, mentre la “Nowak 2”, in “concorrenza” con l’edizione Haas, presenta la versione definitiva del 1890. Direttori e studiosi si dividono schierandosi chi per l’edizione Haas, chi per la “Nowak 2”. Haas, che ha a suo favore il merito di accogliere una decina di minuti di bellissima musica in più e una maggior logica dell’architettura compositiva, riapre alcuni dei tagli praticati in quella occasione, distinguendo tra gli interventi operati autonomamente e quelli suggeriti da quei consigli esterni ai quali Bruckner era solito cedere con sconcertante docilità, e recupera dalla versione 1887 adattandole alla nuova orchestrazione dieci battute dell’Adagio e trentotto del Finale, oltre a sistemare diversamente altri particolari. Nowak può invece vantare una assoluta fedeltà alle intenzioni espresse da Bruckner, e ripete alla lettera il manoscritto ultimato dopo tanto penare nel 1890. Anche nella versione “Nowak 2” l’Ottava resta la più ampia composizione puramente strumentale che si conosca. Questo record, superato solo in potenza dall’incompiuta Nona, conferma che con l’ultimo Bruckner la storia della sinfonia, in coincidenza con il principio dell’esperienza di Mahler, per tanti versi ormai diretta verso altre mete, tocca un autentico nec plus ultra in quel viaggio che dalla percezione della forma classica l’ha portata all’ampiezza e alla ricchezza di significati delle sue espressioni tardoromantiche.
Un universo di suoni che può anche essere modello ideale di una rappresentazione del mondo, bilanciando nelle rispettive manifestazioni massime architettura astratta, in una forma di purezza e logica estreme, e realtà del suono, estesa nel potenziale coloristico illimitato della grande orchestra del tardo Ottocento
Il punto culminante di un destino della sinfonia vissuto come drammatico e irreversibile da tanti protagonisti dell’età classico-romantica. Per Bruckner fin dagli esordi una vocazione naturale: una tranquilla acquiescenza all’obbligo di far grande, senza troppo preoccuparsi di difendere il passato né di inventare il nuovo, e proprio per questo finendo per fare sia l’una cosa che l’altra. 

Nell’Ottava, come nelle altre grandi partiture dell’ultimo Bruckner, l’ipertrofia delle strutture, il cromatismo teso ereditato da Wagner, la densità delle articolazioni contrappuntistiche, la capillarità delle variazioni imposte ai motivi, l’unità nascosta che riduce a un condensatissimo patrimonio di partenza un materiale tematico sterminato dichiarano al tempo stesso attualità piena, legame con la storia, proiezione sul futuro. A stabilirne l’esordio misterioso e solenne del primo tempo provvede con un tipico stilema bruckneriano la fascia sonora stabilita all’unisono dal tremolo dei violini e dai corni, sotto la quale comincia a svolgere le sue spire un tema cromatico, spezzato sulla stessa formula ritmica di quello che apre la Nona di Beethoven, che dopo successive presentazioni è ripetuto in forma imponente da tutta l’orchestra, rinforzata dagli appelli dei tromboni. Il secondo gruppo tematico, un cantabile proposto dai violini proseguito dai legni e dilatato nel resto dell’orchestra (con uno di quegli stacchi dinamici in cui si ravvisa la memoria in Bruckner della registrazione organistica) rappresenta la componente espressiva di questo primo tempo. Il terzo tema, con le sue frasi alternate tra corni e legni contro i pizzicati degli archi, dà vita a elaborazioni grandiose.

Esaurita l’esposizione, la parte centrale, dedicata agli sviluppi, si articola in tre sezioni, elaborando il primo tema (tube, oboi, altri gruppi strumentali) e quindi il secondo (archi), per poi riprendere in valori più larghi il primo tema, affidato agli strumenti più gravi e quasi sommerso nel fortissimo di tutta l’orchestra. La ripresa arriva quasi di soppiatto, nel mezzoforte dell’oboe e del clarinetto contro i ricami del flauto e dei violini; dopo la rappresentazione dei tre temi c’è un altro fortissimo di tutta l’orchestra, poi gli squilli che sintetizzano la sostanza ritmica del primo tema si smorzano nella coda in pianissimo.
Alterando la disposizione consueta, lo Scherzo precede il tempo lento. Secondo un’indicazione di Bruckner questo secondo movimento sarebbe ispirato alla tradizionale figura campagnola del “deutsche Micherl”, personaggio popolaresco, testardo e bonario. Aperto dalle scale discendenti dei violini, lo Scherzo si basa su un motivo elastico, lanciato da viole e violoncelli, che sembra ruotare su se stesso con un impulso ritmico robusto, quasi paesano, e che dà vita a un semplice schema tripartito di esposizione, sviluppo e ripresa.  Nel Trio (che dovrebbe rappresentare “Micherl che sogna”) un tema esposto dagli archi, è sviluppato fino a un fortissimo di tutta l’orchestra, cui segue il primo ingresso delle arpe; la sezione centrale, dominata da un motivo melodico, precede una ripresa variata, alla quale subentra la ripetizione della sezione principale dello Scherzo.

L’Adagio è sotto ogni punto di vista il vertice della sinfonia, e uno dei momenti più alti di tutta l’opera di Bruckner. Preparato e sostenuto dalle sincopi degli archi, il primo gruppo tematico dell’Adagio si sviluppa da un primo motivo ristretto nell’ambito di due semitoni fino a estendersi in altre figurazioni, e culminando in sterminati accordi degli archi punteggiati dalle pennellate delle arpe. Dopo una ripetizione abbreviata di quest’episodio, il corno solo introduce l’esposizione, nei violoncelli, del secondo gruppo tematico, cantabile e sinuoso, arricchito poi da un intervento del violino solo. La sezione degli sviluppi è ancora una volta assai ampia, e si articola su una elaborazione del primo tema, con accumulo progressivo di energia e conseguente rapido decrescere della tensione, e una del secondo, sempre contrappuntata dal violino solo, pure coronata da un fortissimo con relativo diminuendo. Nella ripresa, culmine formale ed espressivo dell’Adagio, la riproposizione del primo tema, con altra e più densa scrittura strumentale, dà origine a un gigantesco moto ascensionale, che si arrampica ininterrottamente, fino a un primo culmine seguito bruscamente dal piano degli archi. Una nuova ascesa, sempre più intensa, chiama via via a raccolta i diversi gruppi strumentali, fino a un’esplosione liberatrice, marcata dal doppio colpo di piatti e triangolo: dopo la quale v’è spazio solo per una ricapitolazione abbreviata e per una lunga coda in diminuendo.

Ancor più dilatato il Finale, settecentonove battute nell’edizione Nowak, settecentoquarantasette secondo Haas, settecentosettantuno nella versione del 1887. A un primo tema più ritmico, introdotto dalle acciaccature ripetute dei violini e affidato alle sonorità drammatiche degli ottoni in fortissimo, sembra collegarsi l’altra stramba indicazione programmatica fornita da Bruckner, secondo il quale questo movimento sarebbe ispirato alla sfarzosa cavalcata degli imperatori d’Austria, Germania e Russia; il gruppo dei temi cantabili è invece esposto da archi e corno, mentre brevi incisi dei legni e degli ottoni, contro gli ostinati degli archi, caratterizzano il terzo. Uno sviluppo più ampio ed elaborato del solito, anche dopo i tagli crudeli accolti da Nowak, combina i diversi temi anche in raffinate elaborazioni contrappuntistiche (fra l’altro anche ricorrendo all’artificio della inversione dei temi), in un ininterrotto alzarsi e abbassarsi di tensioni dinamiche e ritmiche. Poi le acciaccature dei violini annunciano la ripresa, imponente e a sua volta insolitamente elaborata, in cui a poco a poco si riallacciano frammenti dei temi dei movimenti precedenti, fino alla coda straordinaria, in cui i temi dei quattro movimenti risuonano insieme, sovrapposti l’uno sull’altro come nel finale del Crepuscolo degli dei: un incastro sonoro quasi violento, chiuso (ed è uno dei colpi di genio della revisione del 1890), da un terrificante precipitare dalla dominante alla tonica di tutta l’orchestra all’unisono.

Daniele Spini
(dagli archivi Rai - programma di sala del 4 dicembre 2014)