Rosario Livatino

Il ragazzo con la toga

Classe 1952, originario di Canicattì, uomo mite e religioso, magistrato appassionato. Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di Agrigento, mette in ginocchio la “stidda” (associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si opponeva a Cosna Nostra), applicando i metodi investigativi di Giovanni Falcone. Le sue sentenze sono di ampio raggio di osservazione: dai dati più minuti della vita quotidiana di un indagato di mafia, fino al movimento di denaro. Lui stesso in relazione alla figura del magistrato diceva: “L'indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nell’incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l'indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”.

Negli anni Ottanta, come giudice del tribunale di Agrigento, mette in ginocchio la “stidda”, applicando i metodi investigativi di Giovanni Falcone

Il 21 settembre 1990 la sua macchina viene speronata lungo la strada statale che percorreva da Agrigento a Canicattì, nonostante il tentativo di fuga viene rincorso e ucciso con un colpo di pistola in faccia. Grazie alla testimonianza di Pietro Nava sono stati individuati i mandanti dell'omicidio e condannati all'ergastolo nel 1992 da parte della Corte d'Assise di Caltanissetta.