I pazzi siete voi

Le degenerazioni della follia

Criminali si nasce o si diventa? È vero che la cattiveria è innata? Cosa c’entra la follia con il comportamento criminale? Le domande sull’origine della malvagità sono tra i misteri che hanno da sempre affascinato e diviso la scienza. L’idea che cattivi si nasca e che il male risiedesse nel cervello umano è stata la base delle teorie lombrosiane, che cercarono di dimostrare come le caratteristiche somatiche, prima che le situazioni ambientali in cui si cresce, fossero una spia del comportamento violento e dunque della devianza. Ma se la scienza ha discusso e approfondito questi temi, nel corso di più di un secolo, l’immaginario collettivo ha fatto proprie queste teorie, giocando con la malvagità al cinema, nella letteratura e nel teatro. In fondo, il primo a fingersi matto fu Ulisse, che secondo la leggenda, si fece trovare a spargere sale sulla spiaggia di Itaca quando i messaggeri di Agamennone lo andarono a chiamare per la guerra di Troia. Fingersi matto per uno scopo, indossare la maschera del folle per ingannare il potere o per assumerne a propria volta è un espediente che chiunque ha pensato di utilizzare per sfuggire a situazioni spinose o quasi autoassolversi da colpe e responsabilità. A sfruttare questo pregiudizio sono stati proprio i criminali, che hanno capito prima degli altri che invocare un malessere fisico, una menomazione, un difetto congenito nel proprio fisico, potesse suonare come alibi di fronte ad ogni tipo di accusa. E se la diagnosi non c’è, la si compra. Così, si è sviluppato un percorso in cui il crimine ha letteralmente (e teatralmente) abbracciato la pazzia, facendo del comportamento folle una scappatoia per quanti volevano sfuggire al carcere. Fingersi pazzo per i criminali è diventata prassi, per giocare sull’infermità o la seminfermità mentale, e cercare sconti di pena, scarcerazioni, arresti domiciliari. Così, attraverso periti minacciati, spesso corrotti, mafiosi e camorristi sono entrati in possesso di perizie che erano il salvacondotto perfetto per continuare il loro percorso criminale, l’ideale compimento della finzione nella quale i criminali già dovevano vivere, cioè fingere di essere buoni.

Fingersi matto per uno scopo, indossare la maschera del folle per ingannare il potere o per assumerne a propria volta è un espediente che chiunque ha pensato di utilizzare per sfuggire a situazioni spinose o quasi autoassolversi da colpe e responsabilità


Numerose sono le storie di mafiosi e camorristi, criminali e banditi, come Agostino Badalamenti o Balduccio di Maggio, Raffaele Cutolo e Marcello Colafigli, che hanno  pagato per ottenere certificati medici in cui si attestasse la loro pazzia e per questo hanno scelto di umiliarsi fingendo malattie, e dichiarando di essere Napoleone e di sentire voci, o invocando la mamma come bambini. Finzioni da miserabili che però li hanno resi forti e potenti nel loro clan mafioso, perché sono riusciti a ingannare i giudici, a “fregare” lo Stato. La storia di Cosa Nostra e della camorra è piena di storie di questo tipo (“il maxiprocesso sembrava un ambulatorio di un medico della mutua”, sottolinea lo psichiatra Corrado De Rosa), che attraversano più di quaranta anni di vicende criminali, e affondano le loro radici nel sistema corruttivo che le organizzazioni criminali hanno messo in piedi, servendosi anche di personaggi inquietanti come Aldo Semerari, psichiatra forense, ucciso proprio perché prestava i suoi servizi da perito corrotto a due clan camorristici contrapposti. “C’è stata una stagione – ricorda lo scrittore Giancarlo De Cataldo - tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, in cui l’ospedale psichiatrico giudiziario era una sorta di Hotel nel quale  trovavano rifugio i più importanti boss ed esponenti della malavita, e ciò poteva avvenire solo grazie a delle perizie compiacenti”. Ma c’è anche un altro uso che le organizzazioni criminali fanno della follia: quella di dare del “matto” ai “nemici”, ai giudici (come fece Liggio che diede dello “psicopatico” al giudice Terranova) o ai collaboratori, per screditare le loro deposizioni. Il caso più conosciuto è quello di Leonardo Vitale, il primo vero pentito di mafia, che nel 1973 svelò la struttura di Cosa Nostra facendo nomi e cognomi, che fu accusato di essere matto, chiuso in manicomio e di fatto “disinnescato”, prima di essere ucciso, dopo anni di torture e vessazioni che lo avevano reso davvero psicologicamente instabile. La sua morte, nel 1984, fu un monito a quanti si apprestavano a collaborare con la giustizia nei primi anni 80, negli anni in cui Tommaso Buscetta stava raccontando al giudice Falcone i segreti di Cosa Nostra. “ Il mafioso è un matto che finge di essere matto per poter continuare la propria follia”, chiosa il giornalista Enrico Bellavia.