Oriana Fallaci

Una donna controcorrente


Lunedì mattina. La tragedia incomincia con la paura. E la paura incomincia appena sali sul cargo militare che ti conduce alla zona del fuoco insieme ai soldati che tacciono in un rassegnato silenzio. Ieri un cargo come questo è precipitato, sembra per un sabotaggio, e nessuno ha fatto in tempo a usare i paracadute con cui dovremo buttarci se saremo colpiti. Del resto, il paracadute a che serve? Fa caldo, sudi. Anche perché il soldato accanto ti fissa da almeno mezz’ora scuotendo la testa e poi, cercando di superare il rombo dei motori, ti grida: «Sei giornalista?». «Sì». «E il lungo con te è un fotografo?». «Sì». «Andate a Dak To?». «Sì». «Idioti, chi ve lo fa fare?». Te lo chiedi anche tu, all’improvviso. Hai superato tanti ostacoli per arrivare fin qui, visti permessi burocrazie, e all’improvviso vorresti essere mille miglia lontano dove la guerra è solo una parola, una fotografia sul giornale, una immagine alla televisione.Così comincia uno dei reportage scritti dalla giornalista e inviata di guerra dal Vietnam, Oriana Fallaci, per la rivista L’Europeo del 1968. Una vita dedicata al giornalismo, che comincia presto per Oriana. A diciassette anni scrive i suoi primi articoli di cronaca nera per il quotidiano di Firenze Il Mattino dell’Italia Centrale.  Pochi anni dopo la scelta: abbandona gli studi di medicina all’università, per dedicarsi completamente alla professione di giornalista. Si dedica alla cronaca giudiziaria e ai fatti di costume. Nel 1951, a ventidue anni, approda alla redazione della rivista L’Europeo, diretta dallo zio Bruno Fallaci, che non le facilita assolutamente la vita. Sono gli anni della formazione, in cui partecipa al faticoso lavoro di redazione, senza scrivere articoli. Tre anni dopo, nel 1954, decide di abbandonare Firenze, diretta a Roma, dove segue i fatti locali sempre per conto de L’Europeo. Qui a contatto con grandi personalità italiane ed estere soprattutto del mondo dello spettacolo che frequentano gli studi di Cinecittà, ha occasione di elaborare e creare un nuovo modo di fare interviste, che svilupperà pienamente poi tra gli anni Sessanta e Settanta.

Solo un anno dopo, nel 1955, è di nuovo in partenza: si trasferisce a Milano, sempre alla redazione de L’Europeo. Dalla città lombarda inizia i suoi viaggi per il mondo a scrivere reportage: prima a New York e poi in Oriente. Grazie a questi tra il 1958 e il 1961 scrive i suoi primi due libri: I Sette peccati di Hollywood e Il sesso inutile, consolidando la figura di una giornalista coraggiosa, sfrontata, dal carattere vulcanico e per molti un personaggio scomodo. Nei primi anni Sessanta segue come inviata la corsa alla luna, vivendo vicino agli astronauti, in giro per varie basi della Nato. Un nuovo punto di svolta è il 1967, quando su sua richiesta, ottiene di essere inviata in Vietnam per raccontare il conflitto, continuandolo a fare fino alla fine delle ostilità, nel 1975 e girando in varie parti del paese. Nel 1968 pubblica Niente e così sia, dal diario del suo primo anno vissuto sotto la guerra. Nel corso degli anni Settanta si trova a vivere e raccontare tutti i principali fatti internazionali, ormai affermata giornalista, conosciuta in tutto il mondo, con alle spalle esperienze forti. Proprio in occasione di un‘intervista, con Alekos Panalgulis, uno degli esponenti della resistenza greca al regime dei Colonnelli, nasce una grande storia d’amore anche tormentata, che si concluderà solo per la morte di Panagulis in un incidente d’auto nel 1975. Da questa drammatica esperienza scaturisce la pubblicazione di due libri di grande successo in tutto il mondo: Lettere a un bambino mai nato e Un uomo. Ad inizi anni Novanta decide di ritirarsi a New York, dedicandosi ad un romanzo autobiografico sulla propria famiglia. Purtroppo inizia anche una nuova battaglia, questa volta personale contro un male terribile. Nulla gli impedisce però di tornare alla ribalta nazionale ed internazionale con una lunga lettera pubblicata sul Corriere della sera, intitolata La rabbia e l’orgoglio, nel settembre del 2001, in risposta all’attentato contro le Torri gemelle. Si tratta di un atto d’accusa contro l’islam e l’Occidente, che la Fallaci continua a portare avanti fino all’estate del 2006, quando la malattia prende il sopravvento. Il 15 settembre muore, nella sua Firenze, all’età di settantasette anni. La sua immagine è scolpita senza dubbio nella dedica presente in uno dei suoi libri di maggiore successo, Lettera ad un bambino mai nato, rivolta a tutte le donne che non temono il dubbio. Una sintesi perfetta di quel lavoro di ricerca della verità che per tutta la vita Oriana Fallaci porta avanti, vivendola sulla sua stessa pelle.
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