Silvio Pellico

Le mie prigioni

I principi della Rivoluzione Francese sono inscritti nel DNA di Silvio Pellico. Nasce a Saluzzo in terra piemontese, patria del liberalismo italiano, appena venti giorni prima della presa della Bastiglia. E’ il 20 giugno del 1789. 
Mandato dal padre presso uno zio a Lione, vive in Francia fino all’età di 20 anni, imparando perfettamente la lingua e la cultura d’Oltralpe.
Rientrato in Italia entra in contato con alcuni dei principali intellettuali liberali dell’epoca, e in particolare con Ugo Foscolo e Vincenzo Monti. Siamo negli anni della restaurazione dopo la caduta di Napoleone. Il lombardo veneto è tornato sotto il controllo degli austriaci. Pellico inizia una collaborazione con la rivista "Il Conciliatore", giornale che porta avanti idee patriottiche e liberali, che verrà soppresso dal governo austriaco nel 1819.
Grazie all’amico Piero Maroncelli, aderisce ad una cellula della carboneria, annientata dalla polizia austriaca nel 1820. 
Dopo la condanna a 15 anni di reclusione nel 1822, Silvio Pellico viene rinchiuso allo Spielberg, una fortezza in Moravia dove gli austriaci rinchiudono i cospiratori italiani. 
Il carcere duro porta Pellico a riflettere sulla propria esistenza e ad abbracciare la fede cattolica.
Graziato nel 1830, torna a Torino, dove inizia la stesura de “Le mie prigioni”, nel quale racconta la sua esperienza di prigioniero e la sua conversione e che diventerà uno dei testi principali del Risorgimento italiano.
Il libro, dopo essere riuscito a superare numerosi problemi derivanti dalla censura, godette subito di una vasta popolarità anche grazie al suo stile semplice e diretto

Ho io scritto queste Memorie per vanità di parlar di me? Bramo che ciò non sia, e per quanto uno possa di sè giudice costituirsi, parmi d’avere avuto alcune mire migliori: — quella di contribuire a confortare qualche infelice coll’esponimento de’ mali che patii e delle consolazioni ch’esperimentai essere conseguibili nelle somme sventure; — quella d’attestare che in mezzo a’ miei lunghi tormenti non trovai pur l’umanità così iniqua, così indegna d’indulgenza, così scarsa d’egregie anime , come suol venire rappresentata; — quella d’invitare i cuori nobili ad amare assai, a non odiare alcun mortale, ad odiar solo irreconciliabilmente le basse finzioni, la pusillanimità, la perfidia, ogni morale degradamento; — quella di ridire una verità già notissima, ma spesso dimenticata: la Religione e la Filosofia comandare l’una e l’altra energico volere e giudizio pacato, e senza queste unite condizioni non esservi nè giustizia, nè dignità, nè principii securi.


Non mancarono tuttavia critiche e perplessità, soprattutto da parte democratica e progressista, che accusarono Pellico di eccessiva indulgenza verso gli Austriaci e di un certo clericalismo a causa dei suoi continui riferimenti a Dio. D’altro canto il Metternich, primo ministro austriaco, ammise che “Le mie prigioni” danneggiarono l’immagine dell’Austria più di una guerra persa e contribuì a far crescere la simpatia internazionale verso l’Italia.