Giorgio Andreotta Calò

L'elogio della lentezza

Invitato alla Biennale di Venezia nel 2011, Giorgio Andreotta Calò era giunto a piedi da Amsterdam alla città dove è nato nel 1979, per lasciare un poetico messaggio audio nel giardino di Carlo Scarpa. Poche parole sul tema dell’attesa, il ritorno, la circolarità del tempo. L’elogio della lentezza e dell’assenza, un invito a penetrare oltre le forme presenti e concrete dell’opera d’arte. Che è pensiero e richiede puro ascolto.

Tempo. Parola chiave, insieme ad acqua, nella ricerca dell’artista veneziano, che nel 2010 aveva interamente sommerso il proprio studio olandese e ha poi continuato a prediligere questa materia dalle proprietà “palindrome” che ribalta le architetture svelandone la natura segreta, onirica.

Per la Cinquantasettesima Biennale, invitato da Cecilia Alemani al Padiglione Italia, Giorgio Andreotta Calò ha elaborato ancora una volta un’installazione complessa: Senza titolo (La fine del mondo), un’opera che ben sintetizza le coordinate lungo le quali l’artista veneziano viaggia ormai da più di un decennio. Un'ultima architettura capovolta, potente, strettamente legata a Venezia ma che ha una lunga genesi: nasce in un altro luogo e si propone anche come una riflessione sull’etica della pratica artistica nel mondo contemporaneo. Come precisa l’artista:

E’ un’opera strettamente legata alla pittura di paesaggio, quindi assolutamente classica, che si rifà alla tradizione del nostro paese però che inserisce all’interno di questo linguaggio anche elementi che fanno assolutamente parte del contemporaneo. E per me il contemporaneo è la commistione anche di un’architettura emergenziale fatta di ponteggi che sostengono rovine, che sostengono il crollo. Non è un caso che noi fossimo a L'Aquila per studiare  tutte quelle che sono le strutture di ponteggi perché quello è il più grande cantiere a cielo aperto.   

La ricerca sul legame esistente tra edificio e contesto nel quale è inserito, è centrale nella poetica dell’artista veneziano, che mette in atto operazioni finalizzate ad un processo di trasfigurazione, ad esprimere un significato latente, in potenza, delle architetture. Questo stesso approccio ha caratterizzato una serie di interventi come nel Palazzo del Nuovo Comune di Bologna nel 2010, al Teatro Margherita di Bari e al Maxxi di Roma, nel 2011.