Miró, un nonno speciale

Intervista a Joan Punyet Miró

Joan Miró ha sofferto moltissimo nella vita, soprattutto da giovane. Ha conosciuto la fame, ha subito l'esilio durante la guerra civile spagnola, ha affrontato prove difficili. E dopo l'esilio, la guerra e i soprusi del franchismo, non ha mai più dimenticato chi aveva bisogno, i rifugiati, i profughi, i dissidenti e i deboli
Joan Punyet Miró

Girata in occasione della mostra curata da Stefano Roffi, Miró. Il colore dei sogni (Fondazione Magnani-Rocca, Parma), l'intervista qui proposta a Joan Punyet Miró (1968), prezioso collaboratore dell'esposizione parmense, da voce al nipote e critico d'arte che porta il nome dell'artista. Figlio dell'unica figlia di Joan e Pilar Miró, Joan Punyet ha fatto in tempo a conoscere bene il nonno nel periodo trascorso, almeno fino all'età di quindici anni, nella casa studio di Palma di Maiorca, terra amatissima dall'artista, che aveva dato i natali alla madre.

A Maiorca, dove il giovanissimo Miró aveva abbozzato i suoi primi paesaggi, tra il 1954 e il 1956, veniva edificata la sua splendida casa studio, commissionata all'architetto, amico e collaboratore, Josep Lluis Sert

Malgrado il nonno non avesse mai molto tempo da dedicare ai nipoti, Joan Punyet lo ha frequentato abbastanza per ricordare l'uomo affettuoso e gentile che è stato Miró, un artista che negli Settanta del secolo scorso, era ancora molto vitale e nel pieno di una seconda maturità artistica, ma questa volta non ispirata da Parigi, bensì dalle poetiche dell'Action painting americana, dalla calligrafia giapponese e delle espressioni artistiche popolari e urbane. 


Joan Miró, Senza titolo, 1960

Nel dopoguerra infatti, la pittura da cavalletto di Miró diventa attività secondaria; l'artista pensa in grande e realizza progetti di ampia diffusione e portata collettiva. L'arte pubblica, i murali e le enormi sculture, gli permettono di uscire allo scoperto e allargare le sue collaborazioni con architetti e artigiani, come l'artista stesso racconta in uno straordinario documento degli archivi Rai degli anni Settanta del Novecento (Joan Miró. Un'ora con).

Appoggio i miei quadri a terra. Quando sono per terra, posso camminarci sopra. Per terra lavoro sdraiato a pancia in giù. Oh sì, mi sporco tutto di pittura, faccia, capelli, mi ritrovo schizzi dappertutto
Joan Miró, 1974

Da dove traeva origine la carica eversiva e rivoluzionaria, a tratti persino iconoclasta, che caratterizza buona parte della produzione pittorica di Miró ? 
Con una dizione molto spagnoleggiante, Joan Punyet spega come l'arte del nonno abbia sempre rappresentato una metafora della sua vita più profonda, dunque uno specchio della condizione esistenziale dell'artista.  


Joan Miró nello studio di Maiorca

Nato nella Barcellona di Gaudì, nel 1907, per volere del padre, Joan Miró (1893-1983), frequentava una Scuola Commerciale ed esercitava poi una professione impiegatizia che gli recò presto depressione e malattia. Rifugiato in una casa di famiglia nella campagna di Montroig, Miró decide di seguire la sua inclinazione e a diciannove anni frequenta la Scuola di Belle Arti (1912-1915) a Barcellona. Nella città dal fervente clima culturale,conosce poeti e artisti, vede mostre importanti e nei caffè, partecipa alle discussione sull'avanguardia parigina. Miró è subito attratto dalla poesia, ammira van Gogh, Gauguin, Matisse, il Futurismo e il Cubismo, con i quali si confronta in nature morte, nudi e paesaggi


Joan Miró, Il villaggio, 1917, olio su tela, 65x72cm, Guggenheim Museum, New York

Nel 1919, Miró compie il primo viaggio a Parigi e scopre il Cubismo di Picasso già mitigato dal "ritorno all'ordine"; alla dura e definita cifra stilistica picassiana, l'artista oppone il suo realismo minuzioso e grafico, accompagnato da un cromatismo acceso e  antinaturalistico, tipico dei Fauves, dei futuristi e di Matisse. Con Il villaggio, paesaggio dipinto a Montroig, risponde all'ordine figurativo picassiano opponendo il suo personale stile naïf. 

Miró è un timido, ha un'indole riflessiva, non è trasformista, ne veloce come Picasso e malgrado tutto, si immerge nel fragore delle rumorose avanguardie parigine

L'importantissimo incontro di questi anni con Francis Picabia (1879-1953), massimo esponente del Dadaismo, costituirà per Miró la svolta verso una nuova libertà espressiva svincolata dalle tecniche tradizionali e soprattutto, permeata di una vena ironica e giocosa tutta sua.
Stabilito a Parigi, Miró realizza Carnevale di Arlecchino (1924-25), opera celeberrima esposta, nel 1925, da Andrè Breton (1896-1966), capogruppo dei surrealisti con i quali l'artista spagnolo intratterrà relazioni ambigue e controverse. 

Nelle opere di questi anni inizia a definirsi la sua grammatica di oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, esseri informi, mostriciattoli sospesi a mezz’aria fluttuanti in uno spazio appena accennato

Questa pittura, "infantile" e primitiva che nessuno dei surrealisti aveva ancora esplorato, fatta di simboli apparentemente astratti ma sempre  concreti, rispondeva al gusto di Breton che, nel manifesto del 1924, indicava la psicanalisi freudiana quale mezzo per liberare le catene della ragione e riconquistare i diritti del sogno. 
Miró non aderiva a nessuno degli artifici psichici surrealisti, semplicemente attuava il potenziamento della visione onirica personale liberando sé stesso da condizionamenti, in primis, quelli tecnici. Ecco allora i fondi piatti, le figure dipinte e ritagliate in silhouette, accostate ad oggetti incollati sulla tela. Una spontaneità creatività che lo vede prossimo al dadaismo di Jean Arp (1887-1966).


Joan Miró, Figure à la bougie, 1925, olio su tela, 116,2x 88,5, Berardo Collection Museum, Lisbona

Nonostante il successo raggiunto con l'esposizione parigina del 1928, Miró attraversa un periodo di crisi profonda. Nel 1929, sposa Pilar, l'unica compagna di vita. Inizia ora  una originale e radicale riflessione sulla cosiddetta "antipittura", ossia i collages e gli assemblaggi dei primi anni Trenta, eredi del Cubismo, ma soprattutto del Dadaismo che rimane in Miró indelebile, incrementando l'attrazione per i materiali e le proprietà visive e tattili.


Joan Miró, Étoile Bleue, 1927, olio su tela, 115,5x89cm 

Tra il 1928 e il 1931, Miró lavora “all'assassinio della pittura”, rinnega tecniche e materiali tradizionali, introduce la scrittura nella tela diventando il primo surrealista a fare "poesia dipinta". In originali assemblage, Miró combina materiali eterogenei creando una vibrazione tra realtà concreta ed imitata; in qualche tela appare la corda, un materiale per esprimere il suo dolore, la violenza e l'oppressione che percepisce nell'aria. 
Nascono i "dipinti-oggetto", a metà strada tra quadro e scultura, realizzati con objet trouvé di memoria duchampiana. È la prima incursione di Miró nel campo della scultura e a queste creazioni, guarderà, qualche decennio dopo, l'americano Robert Rauschenberg per i suoi "Combine Paintings".


Robert Rauschenberg, Rebus, 1955,  olio e acrilico, matita, pastello, ritaglio di carte stampate, dipinte e incollate su tela, montata su tre pannelli, 243,8x333,1cm, Moma, New York

Nel giugno del 1936, quando esplode la Guerra civile spagnola, Miró è a Montroig, poi si sposta con la moglie e la figlia a Varengeville, nel nord della Francia, dove rimane fino al 1939. Nel 1937, eseguiva un murale, poi distrutto, per il Padiglione della Spagna all'Esposizione Internazionale di Parigi.
Quando nel 1939, i nazisti bombardano la Normandia, Miró lascia Varengeville e fa ritorno in Spagna, a Palma di Maiorca. 
Il rinnovato contatto con la sua terra stimola nuove scoperte, finisce il periodo oscuro e l'artista approfondisce il lavoro iniziato a Varengeville, proponendo cosi la nuova serie delle Constellazioni, opere che lo renderanno famoso in America. 


Joan Miró, Donne e uccelli nella notte, 1944, olio su tela

Le Costellazioni possono sembrare un'evasione di Miró, ma in realtà testimoniano un disperato bisogno di riaffermare la bellezza ed uscire così dall'incubo del quotidiano.
Miró riacquista fiducia, si muove di tela in tela e di foglio in foglio, stabilendo relazioni e contatti. La caratteristica di questa serie infatti, sta nel fatto che ogni tela porta con sé parte dei colori della tela precedente, così che, alla fine, una sola opera non è pensabile senza l’altra. 

Miró cerca speranza nel canto delle stelle, soggetto delle Costellazioni. Per la prima volta, questi lavori sono ispirati all'artista dalla musica classica, come negli anni Venti la poesia

Nel 1941, il MoMA di New York organizza la prima grande retrospettiva su Miró. 
L'artista, che in assoluta solitudine, tra Palma, Montroig e Barcellona, rifiuta ogni partecipazione a manifestazioni artistiche organizzate dal regime franchista.  


Casa studio di Miró, Palma di Maiorca

Nel dopoguerra, Miró lavora alla sintesi di architettura e arte, come testimonia la Sasa studio progettata dall'artista in collaborazione con l'amico Sert. 
Nel 1941, l'artista spagnolo riceveva la prima importante commissione di "arte pubblica", il murale del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati, (1946-47), un grande dipinto a fregio dove rievoca le sue Costellazioni anni Quaranta. Miró arrivava in America mentre nasceva l’Espressionismo astratto, anni cruciali per una squadra di giovani artisti che decretavano la fine della pittura da cavalletto a favore del grande formato. Jackson Pollock, Arshile Gorky e tanti altri giovani di allora, dopo la crisi del 1929 avevano aderito al Federal Art Project, un'iniziativa di sostegno culturale del governo americano che, tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, impiegava numerosi artisti a lavorare per il Dipartimento Murali


Joan Miró e gli attori della compagnia teatrale della Claca, 1979, costumi disegnati dall'artista

Nel 1948, Walter Gropius, emigrato in America da dieci anni, chiedeva a Miró di collaborare al progetto per una nuova università ad Harvard dove, l'architetto tedesco, voleva attuare un’autentica sintesi di diverse discipline, una funzionalità architettonica ed estetica firmata da importanti artisti come Miró. 

Il murale, destinato al refettorio, in pochi anni si deteriora e nel 1959, in occasione di un altro viaggio in America, Miró propone la sua sostituzione con un pannello in ceramica, nuova opera che l'artista spagnolo realizza l'anno dopo in collaborazione con il ceramista Josep Artigas, da ora, suo fidato collaboratore

In questi anni Miró è affascinato dalle espressioni artistiche primitive, dall’arte popolare, preistorica e orientale; alle grandi tele, affianca la produzione di sculture monumentali che vanno ad allestire percorsi, come quelli creati poi per la Fondazione Maeght a Saint-Paul-de-Vence, che conserva molte sue opere. 


Miró alla Maeght Foundation, 1973

Per raggiungere la massima intensità con il minimo impiego di mezzi, Miró concepisce dipinti sempre più spogli ed essenziali. Un tratto caratteristico è la ricerca del vuoto, elemento costruttivo basilare che presuppone l’abolizione del volume, a favore di una nuova bidimensionalità espressiva. Tra il 1966 e il 1969, l'artista viaggia in Giappone e scopre nella calligrafia, pratica che richiede una profonda concentrazione, il segno spontaneo ma preciso e calibrato, l'essenzialità del bianco e nero, l'eleganza dei formati allungati. 


Joan Miró, Oiseaux, 1973, olio e acrilico du tela, 115,5×88,5cm, Fondazione Pilar e Joan Miró, Maiorca

La spontaneità di Miró, caratteristica delle calligrafie a inchiostro, premia l’irregolarità e il non finito, nonché la predilezione per il nero tipica di alcuni espressionisti astratti americani, in particolare Franz Kline, Willem de Kooning e Robert Motherwell. 
Negli anni Settanta, Miró inizia a diluire i colori, restituendo così trasparenza e luminosità, una luce accentuata dallo strato bianco di imprimitura della tela che l'artista lascia visibile.


Joan Miró, Femme dans la rue, 1973, olio, guazzo e acrilico su tela, 195x130cm, Fondazione Pilar e Joan Miró, Maiorca

Nello sperimentalismo estremo di fine anni Settanta, Miró arriva a dipingere con le dita, a stendere il colore con il pugno, o a lasciare le impronte delle mani per evocare tracce umane, gesti di un pittore che emula un passato "primitivo", risalente alle pitture rupestri paleolitiche della Grotta di Altamira.


Joan Miró, Senza titolo, olio, acrilico e carboncino su tela, 162,5x131cm, Fondazione Pilar e Joan Miró, Maiorca 

INFO
Miro. Il colore dei sogni