Mustafa Sabbagh

Oltre la fotografia

La passione per la fotografia di Mustafa Sabbagh (nato nel 1961 ad Amman, vive e lavora in Italia) risale a un episodio della sua infanzia in Giordania quando, nella casa di sua zia, trovò in un cassetto una polaroid. 

In seguito studia architettura all’Università di Venezia, una formazione preziosa che lo aiuta  
nella progettazione di ogni suo impegno, sia che si tratti di elaborare uno spazio espositivo o un percorso mentale. Negli anni dello studio lavora saltuariamente anche come modello e in questo contesto, all’inizio degli anni ’90, incontra Richard Avedon che gli offre di diventare il suo assistente.

Mustafa Sabbagh inizia così la sua carriera come fotografo di moda, ma in seguito le sue modalità creative si spingono oltre la fotografia e da anni sperimenta con video e installazioni scultoree site-specific.

Da diverso tempo Sabbagh trae ispirazione dall’arte classica e più volte ha creato opere ad hoc in spazi museali carichi di storia. Nell’autunno 2021  allestisce la mostra  Mustafa Sabbagh, Spazio Disponibile - areare il pensioero prima di soggiornarvi  alla Galleria Estense di Modena e a Palazzo Ducale di Sassuolo.  

Nel suo percorso artistico Sabbagh si è anche confrontato a lungo con gli antichi miti greci. Dopo un’accurata ricerca e un’elaborazione  durata diversi anni  espone  in Anthro-pop-gonia, una complessa installazione video, una sua personale versione di sette miti dell’arte classica  dove, come ci spiega l’artista stesso sul suo sito: “Arianna riceve su appuntamento. Pigmalione è accusato di plagio. Il Minotauro si allena 6 ore al giorno (e la strada per la palestra è tortuosa). Leda è zoofila. E Teseo è emofetish. Ares? L’apparenza inganna. Morfeo ha la sindrome di Zelig”.



Mustafa Sabbagh Anthro-pop-gonia, 2015. installazione audio-video: 7 video HD su 7 schermi LCD, color, loop, dimensioni ambientali. Frame da video Teseo. Courtesy dell’artista
 

A Palazzo dei Diamanti a Ferrara già nel 2017 in occasione della mostra Orlando furioso 500 anni, Sabbagh interpretò in una video-installazione per la Fondazione Ferrara Arte la Venere pudica di Sandro Botticelli, sezionandone il corpo in 4 monitor installati in verticale


Mustafa Sabbagh Venus in frame, 2017. Veduta video 4 video su monitor LCD 32'', 2,18, Fondazione Ferrara Arte

Sempre nel 2017 Mustafa si è confrontato con le opere esposte alla Gipsoteca di Canova a Possagno, dove ha scattato la serie di fotografie Ferite, ritraendo alcuni busti in gesso del grande scultore che, esposti su piedistalli, mostrano i danneggiamenti e gli sfregi subiti durante un bombardamento nel 1917.

«Ogni ferita può dare nuova vita a qualsiasi corpo, fisico o mentale», è il commento di Mustafa Sabbagh, che a causa di un incidente subito negli anni novanta è dovuto rimanere per due anni su una sedia a rotelle.



Mustafa Sabbagh Ferite, 2017.

In occasione delle celebrazioni per il bicentenario della creazione  del capolavoro della classicità statuaria - l’Ebe di Canova (1817) - , alla Fondazione Dino Zoli a Forli, Sabbagh ha proposto Hebe Vs. Hebe (nella foto qua sotto),  una sua riflessione sul significato di Libertà incarnata nell’opera di Canova  conservata ai Musei San Domenico, riconducendola alla contemporaneità.


Mustafa Sabbagh  Hebe vs. Hebe, 2017

La Fondazione Dino Zoli presenta così l’opera di Sabbagh sul loro sito:

Laddove Canova agì in levare, intervenendo su un blocco di marmo per liberare la dea intrappolata nella roccia, Sabbagh fende la luce per liberare la donna intrappolata nel canone.
Altera, ieratica, compatta. Imbevuta di nero, levigata di ombra, l’Ebe di Sabbagh abbandona la plasticità della posa per raccogliersi in se stessa. Il panneggio del tessuto – non più decoro, ma conforto – è un continuum con le increspature della pelle, geografia di un vissuto consumato nella sua sacra carnalità, magnificato nell’atto dell’artista.
Il nostro sguardo, di spettatori e voyeur, non ha più necessità di rivolgersi verso l’alto perché l’Ebe di Sabbagh – metafora eterna di Libertà – è finalmente a misura d’uomo. Nobile come una dea, divina come una donna, granitica nel suo consapevole abbandono del bianco accecante a favore del nero profondo, della perfezione preconfezionata a favore dell’unicità.
È questa la Libertà, per l’artista e per l’uomo: sedersi, spogliarsi, chiudere gli occhi e, finalmente, guardarsi.