La Stanza di Dante nel Casino Giustiniani Massimo
Un racconto di Michele Di Monte
Lo storico dell’arte Michele di Monte (Funzionario presso le Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini e Galleria Corsini) racconta la Stanza di Dante presso il Casino Giustiniani Massimo.
Nel febbraio 1817, Carlo Massimo affidò al nazareno Peter von Cornelius (1783-1867) l’incarico di affrescare la stanza posta sull’angolo sud-est della villa con scene tratte dalla Divina Commedia.
Il pittore realizzò alcuni cartoni e un numero considerevole di disegni preparatori per la volta, ma non iniziò mai a dipingerla perché, nel 1818, fu chiamato da Ludwig di Baviera a dirigere l’Accademia d’Arte di Monaco.
Nell’estate dello stesso anno, dopo aver tentato inutilmente di affidare l’incarico a Joseph Anton Koch (1768-1839), che accetterà solo nel 1825 di affrescare le pareti della stanza, il marchese commissionò le decorazioni della volta a Philipp Veit (1793-1877) che, nel giro di pochi mesi, terminò i cartoni con la rappresentazione dei canti finali del Paradiso.
Nonostante le differenze stilistiche tra Koch e Veit, la Stanza di Dante appare nel complesso molto coerente ed esemplificativa dell’interpretazione che i pittori tedeschi diedero del mondo medievale, in uno stile volutamente arcaico, ma fantasioso e ricco di citazioni.
LA VOLTA
Philipp Veit, L’Empireo: la Santissima Trinità con la Madonna tra Dante e San Bernardo; Gli Otto cieli del Paradiso, 1819-1824
Veit inscena una dimensione quasi fuori dal tempo e dallo spazio in cui ogni singola figura, proiettata sullo sfondo di un cielo sereno, viene rifinita nello stile “primitivo” tipico dei Nazareni.
Sulla volta, Veit realizza una rappresentazione sintetica del Paradiso dantesco, con al centro l’Empireo circondato da una schiera di Santi e Beati e attorno all’ovale, gli Otto cieli del Paradiso. Nell’Empireo, impreziosito da una corona di cherubini che richiama Perugino, rappresenta il dogma trinitario campeggiato al centro dalla Madonna circondata da due angeli in preghiera, morbidamente panneggiati, tra Dante e San Bernardo, entrambi rapiti dalla visione celeste.
LE PARETI
Joseph Anton Koch, Dante sogna di essere assalito dalle fiere nella foresta e di essere tratto in salvo da Virgilio (Inferno, I), parete nord, 1825-1826
Penitenza dei Sette peccati capitali (Purgatorio, XI, XIX, XX, XXVI, XXVII), parete est, 1825-1826
Le pene dell’Inferno (Inferno, X, XVII, XXV, XXX, XXXIII), parete ovest, 1827-1828
La navicella delle anime e l’ingresso di Dante e Virgilio al monte del Purgatorio (Purgatorio, II-IX), parete sud, 1828
Joseph Anton Koch, pittore erudito e particolarmente interessato sia a soggetti religiosi e mitologici, sia danteschi, nel 1825 interviene sulla parete nord e illustra il ruolo di Dante narratore mentre sogna il viaggio nella “selva selvaggia e aspra e forte”. Ancora una volta, la porta d’ingresso della Sala fu utilizzata da Koch come elemento divisorio della narrazione, reale e simbolica, in evidente allusione alla Porta dell’Inferno accompagnata dai versi: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” (Inferno, III, 9). Essa divide il poeta assopito da Dante che, in un secondo momento, al vertice dell’affresco è assalito dalle tre fiere. Particolarmente riuscito il grandioso paesaggio sul cui sfondo è visibile il monte illuminato, simbolo di salvezza e che, all’estremità destra, accoglie il poeta latino Virgilio inviato da Beatrice in soccorso di Dante.
Protagonista dell’affresco della parete est, in una riuscita sintesi di alcuni canti del Purgatorio disposti su piani sovrapposti è il superbo Omberto Aldrobrandeschi, un guelfo che qui appare quasi schiacciato dal pesante macigno sul quale la scritta latina recita: “TE DEUM LAVDAMUS” (Noi ti lodiamo Dio). Il noto personaggio del Purgatorio dantesco con il suo fardello sconta il peccato di superbia e orgoglio per la grandezza della sua stirpe.
La composizione è dominata in alto da un angelo che sorregge il cartiglio sul quale sono impresse le parole che Gesù Cristo dirà agli eletti il giorno del giudizio finale: «Venite, benedicti Patris mei» (Venite, benedetti del Padre mio). Quasi isolate all’estremità destra dell’affresco, appaiono le figure di Dante e Virgilio: il sommo poeta si copre il volto per sfuggire, ancora una volta, alle paure e ai turbamenti, mentre il compagno di viaggio volge uno sguardo verso l’osservatore.
Sulla parete ovest, la narrazione demoniaca delle “pene dell’Inferno” esibisce evidenti riferimenti ad opere cardine della tradizione pittorica italiana: gli affreschi del Camposanto di Pisa, dai quali quale Koch aveva tratto diversi disegni, la Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto e il Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina.
Nella parete sud, “La navicella delle anime e l’ingresso di Dante e Virgilio al monte del Purgatorio”, mostra in alto al centro e assiso in trono, l’angelo guardiano con la spada e le chiavi. Ai suoi piedi, Dante china la testa e si porta una mano al petto in segno di ossequioso rispetto, mentre Virgilio si rivolge all’angelo per spiegargli il motivo della loro presenza. La parte inferiore, caratterizzata da un lessico più naturalistico e pacato, è occupata quasi interamente dalla navicella penitenziale condotta dal “celestial nocchiero” che traghetta all’isola del Purgatorio le anime degli “espiandi” mentre intonano il salmo.
L’atmosfera elegiaca della scena, ispirata all’ultimo Trecento italiano, sembra interrotta dai movimenti concitati delle coppie angeliche poste ai lati del trono che uccidono il serpente tentatore o si legano in un abbraccio per non lasciarsi insidiare dal male, a cui allude la figura demoniaca.
Casino Giustiniani Massimo, Via Matteo Boiardo, n. 16 - Roma
Aperture: martedì e giovedì 09.00-12.00 e 16.00-18.00; domenica 10.00-12.00
Altri giorni solo previa prenotazione: telefono 06.70495651
APPROFONDIMENTI
Monica Minati, Il Casino Giustiniani Massimo al Laterano, Edizioni Terra Santa, 2014
LE FOTOGRAFIE DEGLI AFFRESCHI sono state gentilmente concesse da Roberto Sigismondi ©
Nel febbraio 1817, Carlo Massimo affidò al nazareno Peter von Cornelius (1783-1867) l’incarico di affrescare la stanza posta sull’angolo sud-est della villa con scene tratte dalla Divina Commedia.
Il pittore realizzò alcuni cartoni e un numero considerevole di disegni preparatori per la volta, ma non iniziò mai a dipingerla perché, nel 1818, fu chiamato da Ludwig di Baviera a dirigere l’Accademia d’Arte di Monaco.
Nell’estate dello stesso anno, dopo aver tentato inutilmente di affidare l’incarico a Joseph Anton Koch (1768-1839), che accetterà solo nel 1825 di affrescare le pareti della stanza, il marchese commissionò le decorazioni della volta a Philipp Veit (1793-1877) che, nel giro di pochi mesi, terminò i cartoni con la rappresentazione dei canti finali del Paradiso.
Nonostante le differenze stilistiche tra Koch e Veit, la Stanza di Dante appare nel complesso molto coerente ed esemplificativa dell’interpretazione che i pittori tedeschi diedero del mondo medievale, in uno stile volutamente arcaico, ma fantasioso e ricco di citazioni.
LA VOLTA
Philipp Veit, L’Empireo: la Santissima Trinità con la Madonna tra Dante e San Bernardo; Gli Otto cieli del Paradiso, 1819-1824
Veit inscena una dimensione quasi fuori dal tempo e dallo spazio in cui ogni singola figura, proiettata sullo sfondo di un cielo sereno, viene rifinita nello stile “primitivo” tipico dei Nazareni.
Sulla volta, Veit realizza una rappresentazione sintetica del Paradiso dantesco, con al centro l’Empireo circondato da una schiera di Santi e Beati e attorno all’ovale, gli Otto cieli del Paradiso. Nell’Empireo, impreziosito da una corona di cherubini che richiama Perugino, rappresenta il dogma trinitario campeggiato al centro dalla Madonna circondata da due angeli in preghiera, morbidamente panneggiati, tra Dante e San Bernardo, entrambi rapiti dalla visione celeste.
Negli Otto cieli del Paradiso, in cui riemergono gli stessi valori filosofici alla base della Disputa del Sacramento di Raffaello (Stanze Vaticane), Veit realizzò una rappresentazione narrativa simultanea e concentrica, disponendo i gruppi di figure secondo uno schema che ripropone spesso la coppia Dante-Beatrice a colloquio con le anime di Santi e Beati.Attorno all’ovale, Veit raffigura una schiera di Beati facilmente identificabili grazie al cielo tolemaico di appartenenza e ai consueti attributi
LE PARETI
Joseph Anton Koch, Dante sogna di essere assalito dalle fiere nella foresta e di essere tratto in salvo da Virgilio (Inferno, I), parete nord, 1825-1826
Penitenza dei Sette peccati capitali (Purgatorio, XI, XIX, XX, XXVI, XXVII), parete est, 1825-1826
Le pene dell’Inferno (Inferno, X, XVII, XXV, XXX, XXXIII), parete ovest, 1827-1828
La navicella delle anime e l’ingresso di Dante e Virgilio al monte del Purgatorio (Purgatorio, II-IX), parete sud, 1828
Joseph Anton Koch, pittore erudito e particolarmente interessato sia a soggetti religiosi e mitologici, sia danteschi, nel 1825 interviene sulla parete nord e illustra il ruolo di Dante narratore mentre sogna il viaggio nella “selva selvaggia e aspra e forte”. Ancora una volta, la porta d’ingresso della Sala fu utilizzata da Koch come elemento divisorio della narrazione, reale e simbolica, in evidente allusione alla Porta dell’Inferno accompagnata dai versi: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” (Inferno, III, 9). Essa divide il poeta assopito da Dante che, in un secondo momento, al vertice dell’affresco è assalito dalle tre fiere. Particolarmente riuscito il grandioso paesaggio sul cui sfondo è visibile il monte illuminato, simbolo di salvezza e che, all’estremità destra, accoglie il poeta latino Virgilio inviato da Beatrice in soccorso di Dante.
Protagonista dell’affresco della parete est, in una riuscita sintesi di alcuni canti del Purgatorio disposti su piani sovrapposti è il superbo Omberto Aldrobrandeschi, un guelfo che qui appare quasi schiacciato dal pesante macigno sul quale la scritta latina recita: “TE DEUM LAVDAMUS” (Noi ti lodiamo Dio). Il noto personaggio del Purgatorio dantesco con il suo fardello sconta il peccato di superbia e orgoglio per la grandezza della sua stirpe.
La composizione è dominata in alto da un angelo che sorregge il cartiglio sul quale sono impresse le parole che Gesù Cristo dirà agli eletti il giorno del giudizio finale: «Venite, benedicti Patris mei» (Venite, benedetti del Padre mio). Quasi isolate all’estremità destra dell’affresco, appaiono le figure di Dante e Virgilio: il sommo poeta si copre il volto per sfuggire, ancora una volta, alle paure e ai turbamenti, mentre il compagno di viaggio volge uno sguardo verso l’osservatore.
Sulla parete ovest, la narrazione demoniaca delle “pene dell’Inferno” esibisce evidenti riferimenti ad opere cardine della tradizione pittorica italiana: gli affreschi del Camposanto di Pisa, dai quali quale Koch aveva tratto diversi disegni, la Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto e il Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina.
Il passaggio dalle terzine dantesche all’immagine è immediato, come mostrano i personaggi facilmente riconoscibili e immersi nell’atmosfera di tragedia. Nell’angolo in basso a sinistra, il gesto disperato del conte Ugolino che morde l’arcivescovo Ruggieri, mentre, in alto a destra, Dante e Virgilio scendono nel vortice infernale a cavallo di Gerione.La porta della sala offre al pittore la possibilità di collocare al centro della composizione, sopra di essa, la terribile e altera figura del giudice infernale Minosse che campeggia la scena
Koch si rifiutò di assecondare la principessa che affidò l’incarico al pittore Giuseppe Candido (1777-1835). Come documentano i numerosi studi, in particolare un acquerello del 1825, proprio questo brano, il più struggente della prima cantica, dipinto nell’angolo in alto a sinistra, venne sacrificato nella figura di Paolo, mentre Francesca fu trasformata in una fanciulla spinta verso gli inferi dal soffio dei tre vegliardi.Cristina di Sassonia, entrata in possesso del Casino in seguito alla morte del marito Carlo Massimo, fece ritoccare il gruppo di Paolo e Francesca ritenendolo indecente
Nella parete sud, “La navicella delle anime e l’ingresso di Dante e Virgilio al monte del Purgatorio”, mostra in alto al centro e assiso in trono, l’angelo guardiano con la spada e le chiavi. Ai suoi piedi, Dante china la testa e si porta una mano al petto in segno di ossequioso rispetto, mentre Virgilio si rivolge all’angelo per spiegargli il motivo della loro presenza. La parte inferiore, caratterizzata da un lessico più naturalistico e pacato, è occupata quasi interamente dalla navicella penitenziale condotta dal “celestial nocchiero” che traghetta all’isola del Purgatorio le anime degli “espiandi” mentre intonano il salmo.
L’atmosfera elegiaca della scena, ispirata all’ultimo Trecento italiano, sembra interrotta dai movimenti concitati delle coppie angeliche poste ai lati del trono che uccidono il serpente tentatore o si legano in un abbraccio per non lasciarsi insidiare dal male, a cui allude la figura demoniaca.
Casino Giustiniani Massimo, Via Matteo Boiardo, n. 16 - Roma
Aperture: martedì e giovedì 09.00-12.00 e 16.00-18.00; domenica 10.00-12.00
Altri giorni solo previa prenotazione: telefono 06.70495651
APPROFONDIMENTI
Monica Minati, Il Casino Giustiniani Massimo al Laterano, Edizioni Terra Santa, 2014
LE FOTOGRAFIE DEGLI AFFRESCHI sono state gentilmente concesse da Roberto Sigismondi ©