Francesco Paolo Michetti: Il Voto

Ottocento alla GNAMC di Roma

Chiara Stefani, storica dell’arte (Ministero della Cultura) e responsabile della collezione dell’Ottocento presso per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, in questo breve filmato presenta l’opera del pittore abruzzese Francesco Paolo Michetti (1851-1929), “Il Voto” (1883). 

L’enorme tela, di circa sette metri di lunghezza per due e mezzo di altezza, è un’opera importante ché segna una svolta nel percorso creativo di Michetti 

“Il Voto” fu realizzato in occasione dell’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma del 1883, dove riscosse un notevole successo; fu subito acquistato dallo Stato alla cospicua somma di quarantamila lire per essere destinato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna della città.
Per capire l’importanza di un dipinto come il “Voto” nel panorama dell’arte italiana del Secondo Ottocento, è utile ripercorrere alcune tappe della complessa parabola creativa di Michetti, un artista senza dubbio non facile che dal “Verismo” sociale allora in auge, nella maturità arriva a sperimentare le potenzialità espressive del mezzo fotografico.   
Michetti nasceva a Tocco da Casauria, in provincia di Pescara, da una famiglia di umili origini; da bambino, con la prematura scomparsa del padre, fu costretto a lavorare. In seguito al nuovo matrimonio della madre, Michetti si trasferisce a Chieti, frequenta scuole tecniche, ma dimostra subito una spiccata abilità per le arti grafiche tanto che, appena tredicenne, inoltra una domanda di sussidio per “avere mezzo di istruirmi nel disegno”, dichiara il giovane. 

La richiesta fu accolta solo quattro anni dopo e nel 1868, grazie alla modesta borsa di studio, decise di trasferirsi a Napoli

Qui, con la mediazione dell’amico pittore Edoardo Dalbono (1841-1915), riesce a iscriversi all’Istituto di Belle Arti, frequenta le lezioni di Domenico Morelli (Domenico Morelli: Le tentazioni di Sant’Antonio) e viene subito apprezzato dal maestro napoletano per le doti coloristiche e disegnative. 

La vivacità dell’ambiente artistico e culturale Partenopeo influenzò Michetti che da subito entrò in contatto con personalità di spicco dell’avanguardia del momento

Michetti visita spesso lo studio del paesaggista, come lui di origini abruzzesi, Filippo Palizzi (1818-1899), ma soprattutto, stringe legami con Marco De Gregorio (1829-1876) e il coetaneo Giuseppe De Nittis (1846-1884), artisti che all’epoca, con l’arrivo a Napoli del toscano Adriano Cecioni (1836-1886), si radunano per dipingere all’aria aperta nella località di Resìna (oggi Ercolano). Prosecutrice della celebre “Scuola di Posillipo”, sorta negli anni Venti dell’Ottocento, la “Scuola di Resìna” (1863-1867), rappresentava il maggior fermento teorico e pratico della pittura di paesaggio italiana, dopo la prima metà del Secolo. La Scuola partenopea sviluppò la sua ricerca intorno alle tematiche della luce e della pittura en plein air, affiancando la corrente dai “Macchiaioli toscani”, di cui Cecioni fu teorico e animatore.  

Queste frequentazioni rafforzano l’innata inclinazione di Michetti verso una pittura fortemente realistica e naturalistica

Per problemi disciplinari, ma soprattutto per un’insofferenza verso i rigidi insegnamenti accademici, nel 1869, Michetti abbandona temporaneamente l’Accademia napoletana; torna in Abruzzo presso la famiglia; in occasione dalla stagione estiva si reca a Francavilla al Mare, dove tornerà sempre più spesso fino a stabilirvisi definitivamente nel 1878. 

Nel 1872, Michetti intraprende un viaggio nel nuovo centro europeo dell’arte, Parigi

Grazie alla mediazione di De Nittis e del collezionista Beniamino Rotondo, il pittore aveva già stipulato un contratto di duecento Lire mensili con il mercante d’arte Reutlinger. L’accordo, gli assicurava la partecipazione agli ambitissimi Salons parigini, nei quali fu ammesso ad esporre nel 1872, nel ‘75 e nel ‘76.

Francesco Paolo Michetti, La raccolta delle olive, 1873, olio su tela, 47,5x34,5cm., Galleria d’Arte Moderna Achille Forti, Verona 

I suoi soggetti ispirati alla terra natia furono molto ammirati nei Salons per composizioni e colori resi con un’immediatezza spontanea peculiare della moderna pittura naturalista che Michetti adatta ai suoi idilli di pastori e contadine, funzioni religiose, riti matrimoniali e attività lavorative nei campi.
In "Raccolta delle olive", il punto di vista della ragazza al centro viene leggermente abbassato, mentre la piccola tela restituisce un gioco cromatico sapiente di punteggiature bianche, rosse e azzurre nel mezzo del prato verde.  
Oltre all’apprezzamento del pubblico, la produzione di Michetti solleticò anche l’interesse dell’avversario storico di Reutlinger, il mercante Adolphe Goupil con il quale il pittore non mancherà di collaborare consolidando la propria fama e presenza nel mercato internazionale.
Nonostante la notorietà ottenuta in Francia, Michetti non abbandonò Napoli. Qui, nel 1874, conosce il pittore Mariano Fortuny (1838–1874), stabilitosi a Portici in quello stesso anno; sperimentatore del pennello fluido e del primo colore sintetico e molto brillante, lo spagnolo lasciava esiti tangibili nella produzione di Michetti. 


Francesco Paolo Michetti, Processione del Corpus Domini a Chieti, 1877, olio su tela, 100x220cm., Collezione privata

Per l’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli del 1877, a soli ventisei anni, il giovane artista realizza la “Processione del Corpus Domini”, un dipinto che, nonostante alcuni pareri discordanti, consacra la sua fama in Italia: ottiene il Primo premio per la pittura di ben quattromila Lire e in più, la nomina a professore onorario dell’Istituto di Belle Arti di Napoli.
Dopo l’incontro con Fortuny, Michetti schiariva e alleggeriva la tavolozza cromatica, ma soprattutto, abbassava i toni realistici a favore del nuovo timbro folcloristico; questa svolta, gli costerà i giudizi denigratori di Cecioni che già attaccava Fortuny per una pittura definita “falsa, bugiarda e ciarlatana”.
In “Processione”, Michetti non rappresenta l’evento mistico nel suo pathos, ma inquadra il momento nella sua dimensione rituale e terrena, come una complessa macchina scenografica la cui prospettiva esce dagli schemi classici. Il muro romanico del “Duomo di Chieti”, funge da quinta architettonica; un ampio baldacchino di seta a righe bianche e gialle, accoglie il sacerdote officiante in vesti sontuose mentre, lungo la scalinata che fuoriuscire dal quadro, si muove un festante corteo religioso. Straordinaria la precisione con cui l’artista riproduce i costumi e gli atteggiamenti delle diverse figure, uno sguardo investigativo già etnografico, a cominciare dal sorriso allegro della madre con il bambino in primo piano, inquadrati con un linguaggio che sarà della fotografia. Lo scoppio fumoso e colorato di mortaretti nel cielo e il lancio variopinto dei fiori lungo la strada, sottolineano l’atmosfera febbrile e quasi profana.

La festa religiosa diviene popolare, secondo usi e costumi tipici del mondo rurale che identifica il divino come spirito vivificatore 

Economicamente indipendente, Michetti elegge la propria residenza stabile a Francavilla dove, inizialmente, abita in affitto. Qui, comincia a ricevere i propri amici gettando le basi per quello che di lì a poco diventerà un vero e proprio Cenacolo artistico e letterario. Tra i tanti, il musicista Francesco Paolo Tosti e lo scultore Costantino Barbella, che induce Michetti a sperimentare la terracotta; uno di questi lavori, verrà presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. 
Michetti subisce anche il fascino dello stile giapponese, molto in voga al tempo, ma non sarà per lui una moda passeggera bensì un nuovo stimolo da approfondire, tanto che, nel 1878, prende in considerazione la possibilità di andare ad insegnare all’Accademia di Tokio, nella cattedra di pittura di Antonio Fontanesi rimasta scoperta. 

Soltanto l’intervento del re Umberto I di Savoia eviterà la partenza di Michetti per Tokio

L’artista consolida così le proprie radici e progetta un edificio sul litorale di Francavilla al Mare, distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, da utilizzare come studio. Risale a questo periodo, il 1880 circa, l’amicizia con Gabriele D’Annunzio il quale, ancora diciassettenne, entra a far parte del Cenacolo michettiano. Il loro sarà un sodalizio mai interrotto e anzi consolidato nel tempo, come dimostra sia il sostegno critico e le numerose dediche e citazioni sparse nell’opera letteraria del poeta, sia la copiosa e regolare corrispondenza intercorsa con l’artista.
Eclettico e versatile, Michetti continua a dedicarsi soprattutto alla pittura, partecipando a diverse Esposizioni Nazionali del nuovo Stato unitario e ricevendo consenso di pubblico e critica. 

Nel 1883, l’artista espone “Il Voto” a Roma

Firmato e datato in basso a sinistra, il quadro fu realizzato in un‘unica tela che non fu mai stata rifoderata e questa sua originalità anche materiale, sottolinea Stefani, la rende tutt’oggi difficilmente movimentabile, dato il peso e la fragilità dell’oggetto. 
Nell’opera, Michetti raffigura la processione del 27 luglio dedicata a San Pantaleone, patrono del paese di Miglianico in Abruzzo. 

Dei contadini e delle contadine, per sciogliere un voto fatto, leccano il pavimento sporco di polvere e fango, strisciando come rettili fino al busto d'argento del santo”
Francesco Netti, 1883 

Il pittore crea una scena d'interno dove, tra il fumo degli incensi, raffigura con dovizia di particolari realistici, i costumi variopinti dei fedeli assorti in una grande varietà di gesti, espressioni e sguardi. Alcuni astanti, infatti, guardano in direzione opposta alla statua del Santo, fuori dal quadro, mentre in basso a sinistra, dalla cornice emerge il busto del pittore, anche lui steso a terra con il capo rivolto verso lo spettatore.
Michetti era sinceramente interessato a rendere in modo analitico il "vero", lo prova l'attento studio del cerimoniale realizzato dopo un'approfondita ricerca documentaria condotta anche con la macchina fotografica. Tra i disegni e bozzetti, invece, rimangono dodici pastelli misti a tempera entrati nelle Collezioni di grafica della Galleria d’Arte Moderna solo nel 1922, sebbene ne fosse stato proposto l'acquisto già nell’83. 
Con "Il Voto", l'artista abruzzese trasforma il formato monumentale del “quadro di storia” in un soggetto di fanatismo religioso e popolare, improntato a un crudo realismo e allineato alle tendenze letterarie e figurative del movimento Verista che, in quegli anni si veniva affermando in Italia con Verga e Capuana.

Superati gli "idilli pastorali" della prima giovinezza, l'opera di Michetti suscitò un vivace dibattito fra gli artisti e i critici proprio per la novità del soggetto, un inedito nel panorama artistico contemporaneo, ancora dominato da molta accademia 

Il dipinto suscitava l'entusiasmo del giovane Sartorio (Giulio Aristide Sartorio: un dittico, Diana e la Gorgone), nonché di una critica affascinata dal potente tema “barbarico” e “primitivo” risolto, da una parte, in una pittura "rude che sente il terriccio del paesetto”, dall’alta, in suggestioni giapponesi che Michetti non rinuncia ad evocare nell’uso della biacca pura con cui accende punti luce nel quadro. 
L'amico D'Annunzio, suo compagno di viaggio durante i sopralluoghi, dedicò all'opera un lungo articolo sul "Fanfulla della Domenica" e si ispirò al medesimo tema per il racconto su San Pantaleone (1886), incluso nelle “Novelle della Pescara” con il titolo "Gli idolatri".
Tuttavia, ancora una volta, Cecioni accusò Michetti di tradire gli ideali del “Verismo”, mentre Nino Costa disse l’opera “non finita”, senza intendere, dunque, l'originale scioltezza di pennello dell’artista.
Michetti con quest'opera è stato capace di fondere gli aspetti più “veri”, popolari e folcloristici con un nuovo idealismo religioso e sentimentale.

Convento e Atelier studio di Francesco Paolo Michetti, Francavilla al Mare

Il successo ottenuto alla Mostra romana e la cospicua somma ottenuta, permisero all'artita di acquistare un antico convento quattrocentesco a Francavilla, dove stabilire la residenza e l'atelier. Il “conventino”, come veniva spesso soprannominato, svolgeva anche una funzione di “albergo” per i numerosi ospiti attratti dal carisma del pittore. All’interno delle antiche celle del Cenacolo michettiano D’Annunzio scriverà due romanzi, “Il Piacere” (1888) e “Il trionfo della morte” (1894).
Il 1888, segna profondamente la vita personale e artistica del pittore che, alla presenza di D’Annunzio e altri testimoni, sposa la giovane Annunziata Cermignani nel “conventino”, al riparo dai benpensanti, visto che la sposa aveva già dato alla luce il primogenito Giorgio. Nello stesso anno, arriva la prestigiosa commissione ufficiale da parte del re Umberto I di Savoia e della consorte regina Margherita, per un ritratto.
Da questo momento in poi, si susseguono le partecipazioni di Michetti ad Esposizioni nazionali ed estere, tra cui Vienna (1888), Berlino (1891) Monaco (1891 e 1894), Anversa (1894), Düsseldorf e Londra (1904). 

Francesco Paolo Michetti, La figlia di Iorio, 1895, tempera su tela, 550x280cm., Palazzo della Provincia, Pescara

Alla prima “Biennale di Venezia” del 1895, Michetti presenta una grande tela dipinta in breve tempo, ma di lunga e laboriosa gestazione: “La figlia di Jorio”. L’idea del soggetto, ripreso nove anni dopo da D’Annunzio (1904) per una tragedia, secondo la testimonianza del poeta era nata a seguito di un episodio al quale avevano assistito lui e Michetti nella piazza di Tocco a Casauria.

Una bella e giovane donna “perduta” era stata fatta oggetto di lazzi, provocazioni e inseguimenti da alcuni uomini, perlopiù mietitori ubriachi al ritorno dai campi 

La scena colpì profondamente Michetti che, da subito, iniziò ad elaborare una quantità di schizzi e disegni preparatori realizzati nell’arco di alcuni anni. In un secondo momento, il pittore eseguì una prima stesura dell’opera ad olio, versione che abbandonò a favore di una seconda rifatta a tempera, con una miscela a base di glicerina di sua invenzione. Molto probabilmente, la modifica fu dettata dal bisogno di ottenere un certo effetto di sobrietà: anzitutto, una minore pastosità a favore di un aspetto più chiaro, luminoso e nitido, con contrasti chiaroscurali marcati. Oggi, l’aspetto originale del dipinto è compromesso dalla corruzione della tempera, ma la scena resta inalterata. Interessanti le parole di D’Annunzio:

Non vi è ombra di esteticismo. Ma il genio Michettiano si è rivelato nei suoi caratteri essenziali con più rigore, con più disdegno, con più asprezza, con più violenza … L’anima della nostra vecchia terra d’Abruzzo v’è manifestata con una concentrazione mirabile”

Ma la lunga serie di consensi fin'ora ottenuti sembra arrestarsi. Nel 1900, l'artista presenta due grandi tempere all’Esposizione Universale di Parigi, “Le serpi” e “Gli storpi”.
Di nuovo, l’artista trae ispirazione dal mondo religioso contadino richiamando, nel primo dipinto la tradizionale festa di San Domenico a Cocullo, in occasione della quale la statua del Santo viene portata in processione ricoperta di serpenti e, nel secondo, il triste pellegrinaggio degli infermi nella speranza di una grazia verso il “Santuario di Casalbordino”. 
Nonostante le aspettative di Michetti, all’Esposizione parigina le due tele passano inosservate e restano invendute. E così, l’artista le terrà arrotolate nel proprio studio fino al 1927, quando saranno esposte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e quindi acquistate dal ministero della Pubblica Istruzione. Oggi, i due dipinti sono custoditi nel “Museo Michetti” di Francavilla.
Probabilmente, questo insuccesso parigino di Michetti fu causa del suo allontanamento dalla pittura a favore della fotografia e negli ultimi anni di vita, anche del cinema. Michetti non dipingerà più opere di grande formato, ma continuerà costantemente a produrre piccoli dipinti, schizzi e disegni, soprattutto pastelli e tempere, oltre ad impegnarsi in attività di illustrazione di francobolli e libri. Nel 1895, era stato coinvolto, grazie a Morelli e ad altri ventisei pittori europei, nel grandioso progetto editoriale, tutto Art Nouveau, della “Bibbia di Amsterdam”.

La lunga carriera artistica di Michetti fu punteggiata da numerosi incarichi e onorificenze pubbliche tra cui, la più prestigiosa, la nomina a Senatore del Regno nel 1909

Risale al 1910 l’ultima apparizione di Michetti alla IX Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia con quindici paesaggi abruzzesi realizzati a tempera ed esposti in una sala a lui riservata.

Adesso egli pensa che la sua tempera sia trasparente, maneggevole, definitiva e solo per questo ha dipinto in poco tempo quindici paesaggi e ha accettato l’invito di Venezia e li ha esposti. Ha perduto molto tempo per far presto” 
Ugo Ojetti, 1910

Negli ultimi anni, infatti, la pittura di Michetti esibisce una deliberata rapidità di esecuzione che, nelle intenzioni dell’artista, riduce l’immagine alla sua essenza primaria e ad un più autentico realismo di rappresentazione.
Di nuovo, emerge il confronto ormai costante con gli studi fotografici: l’interesse di Michetti si concentra non solo sulle nuove possibilità tecniche, ma si sforza di emancipare le ancora inedite capacità espressive e testimoniali del mezzo. Attraverso la documentazione diretta e immediata garantita dalla fotografia e grazie alla sua possibilità di esaltare gli effetti di movimento, Michetti approda, nel secondo decennio del Novecento, ad esperienze cinematografiche di cui, purtroppo, rimangono poche tracce. 
Nel 1929, Michetti si ammala di broncopolmonite durante un soggiorno a Casoli, dove si era recato per far visita alla figlia. Trasportato immediatamente nella sua casa di Francavilla, muore il 5 marzo del 1929.

FOTO DI COPERTINA 
Francesco Paolo Michetti: Il Voto, 1883, olio su tela, 245x695cm., Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAMC), Roma