Segantini e Pascoli di primavera

Un focus di Niccolò D'Agati

In questo filmato Niccolò D’Agati, curatore della mostra su Giovanni Segantini (Arco 1858 - Monte Schafberg 1899), allestita al Museo Civico di Bassano del Grappa (Segantini. Una biografia per immagini), parla dell’innovativa tecnica pittorica dell’artista attraverso un suo capolavoro della maturità: “Pascoli di primavera” (1895).

Se l’arte moderna avrà un carattere, sarà quello della ricerca della luce nel colore … Tutto dipende dalla facoltà del pittore nel vedere nella natura più o meno ricchezza sinfonica di materie di luci coloranti”
Giovanni Segantini, 1887

Stimato studioso dell’arte italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, D’Agati (anche curatore scientifico della Galleria G. Segantini di Arco) ricorda che “Pascoli di primavera”, esposto a Brera appena ultimato nel 1895, rinvigorì nella critica il solito disappunto, ossia quello di apparire come un “ricamo di perline”, data la matericità della superficie pittorica resa con la moderna tecnica divisionista.
Grazie al sodale e proficuo rapporto di amicizia e lavoro con il pittore e critico d’arte Vittore Grubicy de Dragon (1851–1920), già negli anni Ottanta dell’Ottocento, Segantini era venuto a conoscenza delle nuove teorie scientifiche sulla luce che stavano alla base di questa tecnica; diffusissimi in tutta Europa, questi studi dimostravano come l’accostamento di colori puri e tra loro complementari, se usati direttamente sulla tela produceva un effetto di luce più intenso.
Già verso la fine degli anni Ottanta, con capolavori come “Ave Maria a trasbordo” (Giovanni Segantini. Da Arco alle vette più alte) o “Ritorno dal bosco” (Segantini e Ritorno dal bosco), Segantini elaborava una sua tecnica divisionista molto personale, frutto di una lunga sperimentazione. Il risultato, evocava quel “ricamo” per cui la critica gli imputava una certa lentezza esecutiva e dunque, il blocco dello “slancio vitale”, ossia,  dell’ispirazione momentanea. A queste critiche, il pittore rispondeva con un suo articolo, pubblicato nel 1896 su una rivista tedesca, dove spiegava la sua tecnica e ribadiva la sua completa spontaneità. 

In effetti, la pennellata segantiniana non è affatto meticolosa anzi, è molto istintiva

La sua tecnica, spiegava l’artista, consisteva in una preparazione della tela a gesso e olio e successivamente nella stesura di un colore tra il rosso il bruno, a copertura del bianco del supporto, per evitare l’abbacinante riflesso di luce quando lavorava all’aperto. Dopo aver abbozzato il disegno, Segantini interveniva con dei pennelli lunghi e sottili con i quali stendeva il colore a filamenti, lasciando tra questi degli interstizi, spazi destinati ad essere riempiti con i colori complementari, o anche con l’oro e l’argento. 
“Pascoli di primavera” esemplifica la tecnica segantiniana in quanto mostra la singola pennellata, emblema ed essenza primaria del discorso teorico e pratico dell’artista che qui riesce a costruire un’armonia compositiva eccelsa rinvigorita dalla cromia scintillante dei metalli  

Osservando la superficie di “Pascoli di primavera” notiamo infatti come tutta la superficie vibri. Il senso della rinascita primaverile è ancora una volta affidato a questo linguaggio pittorico che si fa veicolo dell’idea"
Niccolò D’Agati

Infatti, nessuna Natura è più formalizzata di quella segantiniana: nella sua riflessione di questi ultimi anni, la pittura e suo valore evocativo attraverso il colore, la linea e il segno, è motivo centrale.
In “Pascoli di primavera”, l’artista esibisce tutti quegli effetti di smalti cromatici che si incastrano sulla superficie confermando quel “misterioso divisionismo” che, contrariamente a quello di altri artisti del suo tempo, è palesato in tutta la sua strutturazione. Segantini, infatti, non cercò mai di dissimulare o di rendere meno visibile la pennellata, anzi, l’artista conferiva volutamente al segno un valore decorativo, ritmico ed espressivo, cifre che ora diventano fondamentali con l'adesione al Simbolismo e dunque, alla stilizzazione ideale del dato naturalistico di partenza (Segantini e "La Vanità"). 
Anche nella ricca cromia di “Alpe di maggio” (1890), un’altra rappresentazione della maternità animale, la pregnanza dell’idea non risiede tanto nell’iconografia del gruppo della capretta col suo agnellino, ma il senso della vitalità, della genesi e della rinascita è intrinseco nel segno pittorico ritmico, quasi musicale, di linee ascendenti e discendenti incastonate in masse cromatiche tese a rendere la sfavillante luce primaverile.
 
INFO MOSTRA 
Giovanni Segantini  
Museo Civico di Bassano del Grappa, Piazza Garibaldi 34 (VI)
25 ottobre 2025 – 22 febbraio 2026
Aperta tutti i giorni 10:00-19:00. Chiusa i martedì 


FOTO DI COPERTINA
Giovanni Segantini, Pascoli di primavera, 1895, olio su tela, 97,5x155,5cm., Pinacoteca di Brera, Milano