Giovanni Segantini. Da Arco alle vette più alte
La mostra antologica di Bassano del Grappa
In questo filmato Barbara Guidi, direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa, presenta la grande mostra su Giovanni Segantini (Arco 1858 - Monte Schafberg 1899) allestita nel museo della città in un percorso espositivo che, per la prima volta, restituisce la densità storica e culturale di un artista protagonista nel panorama internazionale del suo tempo (Segantini. Una biografia per immagini).Segantini appare inequivocabilmente come un anticipatore, un artista che sullo scorcio dell’Ottocento seppe già intuire i fermenti del nuovo secolo, con le sue inquietudini e le sue aperture al trascendente”
Barbara Guidi
Avvolto in un’aura romantica, Segantini è stato a lungo considerato un pittore anarchico, un visionario volontariamente isolato tra le vette alpine della Svizzera in un’immagine potente e leggendaria che ha segnato la sua fortuna critica nel Novecento, nonché una certa notorietà anche popolare.Questa mostra monografica mette assieme oltre cento opere scelte, tra dipinti e disegni, grazie alla preziosa collaborazione di importanti musei e collezioni pubbliche e private, italiane e straniere che hanno reso possibile un’esposizione destinata ad essere ricordata, in primis, per l’alto valore scientifico della proposta
Curata da uno stimato studioso dell’arte italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, Niccolò D’Agati (anche curatore scientifico della Galleria G. Segantini di Arco), la mostra offre un’inedita rilettura di Segantini, oltre l’immagine stereotipata del “genio isolato”. Attraverso confronti con l’arte coeva emerge la modernità della sua opera tutta racchiusa in soli vent’anni di carriera; dagli esordi “Scapigliati” milanesi, quando il giovane partecipa al superamento del Realismo pittorico ottocentesco, agli ultimi slanci nella cultura Simbolista maturati tra le vette svizzere, dove l’artista dimostra la sua originalità e autonomia con uno stile e un linguaggio pittorico personalissimo, insieme concreto e visionario, capace di influenzare anche i maggiori movimenti artistici dell'epoca.
La mostra, raffinatamente allestista dall’artista e fotografo Mustafa Sabbagh, si snoda in quattro sezioni tematiche e biografiche, accompagnate da brevi didascalie che scandiscono il percorso artistico del pittore.
A Milano (1878-1881), Segantini si formava in un vivace ambiente artistico teso tra tradizione e desiderio di rinnovamento. Qui, affianca un gruppo di giovani artisti, da lui definito “gruppo della rinascenza” che, nel solco del Naturalismo Realista, cercava di tradurre emozioni e stati d’animo attraverso l’uso del colore e della luce. Accanto ad artisti emergenti (Leonardo Bazzaro; 1853–1937), o più affermati (Mosè Bianchi; 1840–1904), presenti in mostra, Segantini sperimentava una tecnica fatta di pennellate rapide per cogliere, in uno slancio spontaneo, l’essenza del visibile.La prima sezione, dedicata alla fase milanese degli inizi di Segantini, focalizza i proficui contatti che l’artista intrattenne con giovani pittori, come lui studenti all’Accademia di Brera, in soli tre anni di frequentazione alquanto saltuaria
Nel “Coro della Chiesa di Sant’Antonio” (1879), prima opera esposta a Brera, così come nella serie dedicata ai “Navigli” e nelle numerose “nature morte”, Segantini guarda con grande attenzione all’intensità della luce e ai toni dei colori, cercando di rappresentare in modo essenziale gli effetti osservati dal vero.
Nel capolavoro, “Ritratto di Luisa Torelli Tagliabue” (1880), sperimenta una pittura macchiata e una materia crepitante; stesa a pennello e a spatolata, l’artista raggiunge un grande effetto di sintesi riuscendo a costruire un controluce meritevole di confronti con gli esiti di Édouard Manet (1832–1883), sottolinea Barbara Guidi.
Accanto a queste prove tecniche, Segantini approfondiva l’uso del colore per esprimere emozioni e psicologie seguendo l’esempio dei maestri della Scapigliatura lombarda, tra cui Tranquillo Cremona (1837–1878) e Daniele Ranzoni (1843–1889), anch’essi presenti in mostra. Questo approccio è palese in opere come “La falconiera” (1880), chiaramente ispirata al modello cremoniano del “Falconiere” del 1863 (Segantini e Tranquillo Cremona), o anche in un’opera dal carattere visionario, un autoritratto immaginario sul letto di morte, titolato “L’eroe morto” (1880), dove cita Mantegna in un'atmosfera rembrandtiana.
Negli anni milanesi, fondamentale fu anche l’incontro con il gallerista e suo futuro importante sostenitore, Vittore Grubicy De Dragon (1851–1920) che ebbe un ruolo centrale nel percorso umano e artistico dell’artista di Arco. Fu Vittore, nel 1879, a riconoscere il talento ancora acerbo del giovane e a investire sulla sua formazione, tramite la propria galleria d’arte, sostenendolo per tutta la vita nonostante i diversi contrasti. Le opere presenti in mostra raccontano dei rapporti familiari che legavano Segantini ai Grubicy, dai fratelli Vittore e Alberto, alla stessa mamma Antonietta.
Il capolavoro “Ritratto di Vittore Grubicy De Dragon” (1887), nonché quelli di parenti e amici, come l’amata “Luisa Violini Tacchi” (1880) o quello del fratello “Cesare Grubicy” (1883-84), esposti al pubblico per la prima volta dal 1946, raccontando molto della formazione del pittore. Vittore, che prima era stato tra i principali sostenitori di Cremona e Ranzoni, indirizzò Segantini verso le più moderne ricerche della Scapigliatura, ma soprattutto, gli fece scoprire la grande pittura naturalista europea allora in voga di Jean-François Millet (1814–1875) e la Scuola dell’Aia (Matthijs Maris, 1839–1917; David Adolf Constant Artz, 1837–1890) e non ultimo, lo introdusse agli studi sulla scomposizione del colore aprendo gli occhi dell’amico sul Divisionismo.
È questa una delle novità più importanti della mostra, l’inedito confronto con artisti stranieri, dai pittori olandesi, a figure del calibro di Millet (Segantini e François Millet), ma anche Vincent van Gogh (1853–1890), con i quali Segantini condivise alcune suggestioni compositive, formali e tematiche (Segantini e il “Seminatore”. Tra Millet e Van Gogh).
Gli anni briantei (1881-1886) segnarono un cambiamento profondo nella poetica dell’artista; infatti, convinto che il colore potesse essere sapientemente adoperato in maniera espressiva, Segantini sperimentò quella sua cifra stilistica che definiva “poetico-pittorico sentimentale”, una formula che rappresentava il suo “spirito” attraverso colori scuri e atmosfere crepuscolari profondamente malinconiche. Questi elementi, utilizzati per dipingere scene tratte dalla vita pastorale briantea, daranno vita a una narrazione epica del rapporto uomo-natura, dove ogni aspetto concorre ad enfatizzare il medesimo sentimento.La seconda parte della mostra è dedicata al periodo della Brianza quando, alla fine del 1880, Segantini lascia il caos cittadino milanese per tornare a vivere nella sua Natura, espressione di comunione tra uomo, paesaggio e animali
Segantini in Brianza divenne il “pittore delle ombre”, più che allo studio del vero, si dedicò ad indagare la capacità dei toni cupi di suscitare emozioni per rendere la vita dei pastori nel paesaggio rurale ancora più eroica e monumentale.
“La culla vuota” (1882), opera qui accostata a “Cullato fino al sonno” (1871) del pittore dell’Aia, Constant, rappresenta uno degli esempi più significativi delle scene d’interno dedicate al tema degli affetti familiari e basate su una calibrata struttura compositiva ridotta all’essenza. Attraverso il profondo contrasto tra l’ombra dell’ambiente interno e la luce che penetra dalla finestra, Segantini riesce a tradurre il motivo patetico in una scena dal forte impatto emotivo dove il colore, dal tono ribassato, ha il compito di esprimere il dramma umano della madre che ha perso il figlio.
Al volgere di questa fase, tra il 1884 e il 1886, avvenne un altro netto cambio di linguaggio: Segantini tornò allo studio del vero, alla luce e al colore. Lo schiarimento della tavolozza inizia con il capolavoro “Dopo il temporale” (1883-1884), anticipatore della ricerca luministica del periodo svizzero e che, in mostra, viene esposto a fianco ad un’opera iconica di Millet, “Pastorella con il suo gregge” (1863).
Definito in ambiente francese “il Millet delle Alpi”, Segantini venne molto influenzato dal modello del grande pittore naturalista francese; da lui apprese la monumentalità elegiaca dei protagonisti che conferisce alle sue tele un senso di eroico e sublime.
Con queste parole l’artista di Arco ricordava il suo trasferimento a Savognin (1886–1890), nel 1886: il contatto con una realtà più luminosa tipica del paesaggio alpino del Cantone svizzero dei Grigioni, segnò un’ennesima svolta decisiva nella sua poetica, da ora influenzata dalle nuove teorie europee sulla luce e sul colore diffuse negli anni Ottanta dell’Ottocento.Qui il mio spirito si riempiva d’una grande gioia, gli occhi si estasiavano nell’azzurro del cielo, nel verde tenero dei pascoli e guardavo le superbe catene dei monti colla speranza di conquistarle”
Giovanni Segantini
Grazie alla vicinanza dell'amico Grubicy, Segantini inizia la sperimentazione del colore guardando agli esiti dei “Puntinisti” francesi, Georges Seurat (1859–1891) e Paul Signac (1863–1935); ma ancora una volta, la sua “naturale ricerca della luce” è tutta personale nell'elaborazione del suo esclusivo e “misterioso divisionismo dei colori” realizzato attraverso piccoli tratti longilinei di colore puro, accostati ai loro complementari e ravvivati dall’utilizzo di metalli come l’oro e l’argento, capaci di far risplendere al massimo i pigmenti sulla tela (Segantini e Pascoli di primavera).
La mostra offre un’opera emblematica di questa nuova tappa stilistica, “Ave Maria a trasbordo” (1886-1888), una grande tela quadrangolare realizzata in una prima versione nel 1882, esposta ad Amsterdam dove vinse la Medaglia d’Oro e successivamente ripresa e modificata in modo quasi radicale. La prima versione, infatti, a causa dell’abitudine del pittore di mischiare i pigmenti con vernici e sostanze bituminose per raggiungere una maggiore profondità di tono, si deteriorò velocemente tanto che, nel 1886, appena trasferitosi a Savognin, decise di dipingere una seconda versione su una nuova tela. Proprio in quel frangente, Grubicy aveva iniziato ad approfondire gli studi sui trattati di ottica e sull’uso dei colori complementari.Inoltre, a Savognin torna definitivamente allo studio dal vero
In occasione della mostra, “Ave Maria a trasbordo” è stata sottoposta a delle approfondite indagini spettroscopiche che hanno rivelato le tracce di una precedente versione dell’opera, intermedia e sottostante a quella attuale, testimoniata anche da una foto storica riprodotta dal figlio del pittore, Gottardo Segantini (1882-1974).
A raccontare queste indagini, nel filmato interviene Anna Galli (Fisica applicata, Università Milano Bicocca) che spiega come attraverso macchinari non invasivi, sono riusciti a rilevare le tracce del momento in cui l’artista interviene sulla tela per compiere il cruciale passaggio verso la svolta divisionista della cromia.
Eccezionalmente concessa per la mostra bassanese dal “Segantini Museum” di St. Moritz, “Ave Maria a trasbordo” è oggi nota nella sua seconda versione a cui Segantini lavorò almeno fino al 1888, cercando di infondere nel colore “la vibrazione sentita dal vero”.
“Ritorno dal bosco” (1889-1890) è un altro capolavoro degli anni di Savognin sottoposto ad indagini spettroscopiche; l’opera è esemplificativa della straordinaria capacità di Segantini di creare, con pochissimi elementi, un’atmosfera immateriale (Segantini e Ritorno dal bosco).
A Maloja (1891-1899), Segantini definisce e la sua ricerca Divisionista e sarà proprio la nuova tecnica che lo porterà a concepire l’opera come espressione dell’idea. Il pittore, infatti, accoglieva le nuove suggestioni culturali europee del Simbolismo che caratterizzava la ricerca artistica fin de siècle, ma ancora una volta lo farà in maniera molto personale. Per l’artista di Arco, la realtà diventa un mezzo per trasmettere significati profondi nell’unione di Natura e Simbolo, due poli di questa nuova visione ideale.In un’ultima tappa, Segantini si sposta da Savognin a Maloja dove risiederà fino alla prematura morte avvenuta sulle vette dello Schafberg, in Engadina, a soli quarantuno anni: era il 28 settembre del 1899.
La morte drammatica coglie l’artista al culmine della sua carriera, quando il suo nome era già leggenda
Già figura centrale del Decadentismo fin de siècle, Segantini metteva a punto il suo “Simbolismo naturalistico” per indicare l’equilibrio tra le intuizioni più visionarie e la fedeltà al dato naturale, che trova una sintesi altissima in uno dei suoi massimi capolavori: “La Vanità” (Segantini e "La Vanità").Ora l’artista doveva mostrare “l’armonia, assolutamente, francamente di tutta la Natura, in tutte le gradazioni, dall’alba al tramonto, dal tramonto all’alba, colla relativa struttura e forma di tutte le cose; onde creare poi energicamente, divinamente l’opera che sarà tutta ideale”
Giovanni Segantini
La natura viene ora dipinta da Segantini in modo solo apparentemente realistico; la tecnica divisionista gli serve a costruire un paesaggio eterno e sacrale in senso panteista, nel quale la bellezza si svela allo spirito umano attraverso “armonie di forme, di linee, di colori e di suoni” che rivelano a chi “li osserva e li ascolta … l’anima che li governa”.
La mostra “Giovanni Segantini” è collegata al prestigioso riconoscimento del titolo conferito a Bassano quale “Città Veneta della Cultura 2025” e allo straordinario appuntamento dei “Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano Cortina 2026” (Manifesti storici dalla "Collezione Salce").
INFO MOSTRA
Giovanni Segantini
Museo Civico di Bassano del Grappa, Piazza Garibaldi 34 (VI)
25 ottobre 2025 – 22 febbraio 2026
Aperta tutti i giorni 10:00-19:00. Chiusa i martedì
FOTO DI COPERTINA
Giovanni Segantini, dettaglio di Ave Maria a trasbordo, 1886-1888, olio su tela, 121,2x92,2cm., Segantini Museum, St. Moritz