"Nebraska"

Padre e figlio on the road

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        Un vecchio alto, esitante, un grande cerotto sulla fronte. Cammina incerto e allo stesso tempo imperioso. “Questo è Woody Grant”. Comincia così Nebraska, il film di Alexander Payne, girato in bianco e nero, uscito nelle sale italiane nel 2013. La storia agrodolce di un padre e un figlio, che si avvicinano l’uno all’altro, durante un viaggio nel Nebraska. Il padre è Bruce Dern, visto di recente nel film di Quentin Tarantino The Hateful Eight. Con Nebraska ha vinto a Cannes il premio per il miglior attore e ha perso per un soffio l'Oscar. Un attore molto apprezzato, con una notevole carriera alle spalle. Da Marnie di Alfreed Hithcock del 1964 a Ardenne '44, un inferno, di Sidney Pollack del 1969, a Tornando a casa, di Hal Ashby, del 1978, grazie al quale ebbe la sua prima nomination all'Oscar come miglior attore protagonista e tanti altri. Il figlio è Will Forte, attore e sceneggiatore della scena indie americana. Il vecchio padre è convinto di aver vinto un milione di dollari. Il figlio, pur di non mandarlo in giro da solo, decide di accompagnarlo dal Montana dove vivono, a Lincoln nel Nebraska, a ritirare il premio. Prima della partenza la vecchia moglie petulante minaccia di mandarlo in una casa di riposo. Sulla strada, amici e parenti reclamano la loro parte di denaro.

        Non ha l'Alzheimer, crede solo a quello che la gente gli dice
        Il figlio

        Woody Grant è vecchio, malconcio, ruvido come la carta moschicida. Il figlio David è tenero e gentile. Un film che per contrasti suggerisce una profonda sensibilità. Ricco di splendide immagini. Di panorami sterminati, di orizzonti lontanissimi. Il vecchio, scorbutico, intraprende assieme al figlio un viaggio che ripercorre a tappe tutta la sua vita. Fuori dai finestrini, in questo lento, anacronistico viaggio nel tempo, le inquadrature incorniciano paesaggi desolati, miserabili, è l'America profonda, la Frontiera. Ma nella storia di Nebraska non c’è niente di eroico. E’ la storia piccola, personale, delle persone qualunque, che il regista ha sempre amato raccontare. Lo ha già fatto nei precedenti lavori. Soprattutto in Storia di Ruth donna americana, del 1996, nel quale narra senza sconti, di aborto e tossicodipendenza. O in Sideways, altro film on the road, colto e raffinato, dove racconta un originale addio al celibato tra i vigneti della California. Alla fine del viaggio il denaro forse non ci sarà ma i due uomini, padre e figlio, si sono avvicinati come mai prima. Il padre ha parlato. Il figlio ha ascoltato. Ha scoperto tante cose di suo padre che non aveva mai saputo. Nella terra degli eroi, dei padri che chiamano i figli “campione” e dei figli che chiamano il padre “vecchio”, c’è questa storia semplice. Chissà quante altre altrove. Il film suggerisce: non perdere niente delle persone amate. Stare vicini. Costruire i ricordi. E comunicarli al momento giusto.

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