"Disco Ruin" di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto

"Disco Ruin" di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto

Al cinema dal 5 luglio

"Disco Ruin" di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto

Disco Ruin nasce dalla fascinazione evocata dalle rovine di centinaia di discoteche abbandonate in tutta Italia. Le 'cattedrali del divertimento' sono state i più potenti luoghi di aggregazione per diverse generazioni. Hanno spostato migliaia di persone di tutte le classi sociali su e giù per l’Italia. Da qui l’esigenza di narrare questo spaccato di società italiana. I protagonisti ci hanno aperto le porte del loro “Altromondo”

Presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2020, dal prossimo 5 luglio esce nelle sale cinematografiche il documentario Disco Ruin di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto. Un viaggio negli ultimi 40 anni di storia del divertimento italiano: dalle balere alle discoteche ai club privé, fino al "nomadismo notturno" degli anni Novanta con la proliferazione di “afterhour” e “tea-dance”.  Le autrici indagano gli aspetti culturali e sociali dell'industria dello svago e dello sballo di cui oggi rimangono molti ruderi abbandonati come astronavi su tutto il territorio italiano.

Agli albori della storia del divertimento, nell'Italia del dopoguerra, si ballava nelle aie delle fattorie o nelle piazzette dei borghi. Poi, negli anni '60, gli architetti intercettarono il bisogno collettivo di riunirsi in grandi spazi pensati proprio per divertirsi e socializzare. Nasce allora la discoteca come luogo libero di espressione della creatività. Da subito la discoteca accoglie performance e allestimenti destinati nel tempo a diventare sempre più sofisticati. Ma la sua vera consacrazione arriva negli anni ‘70, insieme alla Disco Music made in USA. In Italia, ben due anni prima dello Studio 54 e del Paradise Garage di New York, apre la Baia degli Angeli che troverà poi la sua consacrazione nella decade seguente, facendo dimenticare tutto ciò che succede fuori di quella pista da ballo illuminata. Con lo stesso scopo, si diffonde rapidamente nel nostro Paese, totalmente impreparato, il consumo di eroina. Gli anni '80, insieme al successo dei canali televisivi che trasmettono musica 24 ore su 24, prende il sopravvento sui giovani il culto dell'immagine.

La notte diventa un luogo dove mascherarsi, dove esibire il corpo che durante la settimana lavorativa viene nascosto. Luogo dove mostrare ambiguità e fluiditàsessuali, eccentricità, personalità, istinti non convenzionali: è una sorta di liberazione, un riscatto dal conformismo quotidiano

Cominciano così ad aprire i club nell'accezione moderna del termine. Luoghi dove entra solo una clientela selezionata (spesso direttamente dai "buttafuori" sulla porta): il Plastic e il Kinki richiedono un riconoscersi “diversi” per appartenere ad una nuova famiglia. È un’estetica debitrice dell’universo gay, queer, transgender, che qui, prima che in altri luoghi, trovano spazio per esprimersi. E poi ragazze sul cubo dal look barbie, trionfo dei colori, pvc trasparente. Pura performance. La colonna sonora di queste notti si fa martellante di suoni elettronici, questa volta dall’America arrivano la musica House e la Techno e l’ecstasy, inizialmente legale. Ma la festa subisce un arresto improvviso: con l’AIDS la libertà sessuale duramente conquistata diventa improvvisamente un veicolo di morte.