Paolo Portoghesi e I promessi sposi

Riscoprire da adulti del classico manzoniano

In Una sera, un libro, programma Rai del 1988, l'architetto Paolo Portoghesi racconta di aver letto I promessi sposi di Alessandro Manzoni come tutti, a scuola, e d'aver odiato il romanzo all'epoca, perché imposto. L'ha riscoperto da adulto, aggiunge, e ne è rimasto conquistato per diversi motivi.

Non è, certo, un romanzo trascinante, ma è un libro prezioso in cui la parola è usata per scavare l'animo umano. [In particolare ha apprezzato] la grande tecnica del romanzo storico, giocato su più piani, del libro che marcia a velocità diverse, sottoposto a rallentamenti, con un montaggio quasi cinematografico. [...] Il realismo descrittivo e l'uso della luce alla Caravaggio.


Alessandro Manzoni (Milano, 1785-1873), romanziere, scrittore e drammaturgo, deve buona parte alla sua fama a I promessi sposi, considerato vero e proprio caposaldo della nostra letteratura. L'importanza dell'opera (così come della sua prima stesura, Fermo e Lucia, del 1827, considerata ormai un lavoro a sé stante) fa sì che la figura di Manzoni sia familiare persino ai giovanissimi: impossibile trovare chi, fra i banchi di scuola, non abbia sfogliato le pagine manzoniane dedicate all'amore travagliato di Renzo e Lucia, ma anche al contesto storico e sociale del tempo. Proprio questo aspetto rende il romanzo così tanto importante anche sotto il profilo storico e sociale. Manzoni voleva scrivere le sue opere in una lingua comprensibile a tutti, ma agli inizi del XIX secolo, la lingua degli scrittori e la lingua della gente comune erano molto lontane: gli scrittori scrivevano nell’italiano letterario, la gente comune parlava in dialetto, e in Italia anche all’epoca esistevano centinaia di dialetti. Nel 1823 Manzoni ha scritto una prima volta il suo romanzo più celebre, ma lo ha scritto nel fiorentino antico di Dante, Petrarca e Boccaccio: una lingua bella, ma morta, che nessuno usava per parlare. Manzoni aveva a disposizione anche una lingua viva: il suo dialetto milanese, ma fuori di Milano e della Lombardia nessuno capiva il milanese. Ecco allora la sua idea: riscrivere il suo romanzo in fiorentino sì, ma nel fiorentino parlato ai suoi tempi, dunque in una lingua viva, non morta. Per fare questo, Manzoni è andato a Firenze, ha studiato il fiorentino parlato e ha riscritto il suo romanzo nella lingua parlata a Firenze dalle persone colte, una lingua molto simile all’italiano di oggi. Tra le altre opere di Alessandro Manzoni ricordiamo gli Inni sacri (1815), Il Conte di Carmagnola (1820), l'Adelchi (1822) e Storia della colonna infame (1840).