I promessi sposi in tv: i Lanzichenecchi

Dallo sceneggiato Rai di Salvatore Nocita

Nel capitolo XXVIII de I promessi sposiAlessandro Manzoni introduce il tema dell’avvicendamento degli eserciti francese, tedesco e spagnolo sul territorio dell’Italia settentrionale nell’anno 1629. Nel filmato un estratto dalla riduzione televisiva del romanzo diretta da Salvatore Nocita e prodotta dalla Rai nel 1989. 

Mentre quell’esercito se n`andava da una parte, quello di Ferdinando s`avvicinava dall`altra; aveva invaso il paese de’ Grigioni e la Valtellina; si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danni che si potevan temere da un tal passaggio, eran venuti espressi avvisi al tribunale della sanità, che in quell`esercito covasse la peste, della quale allora nelle truppe alemanne c`era sempre qualche sprazzo.


L’impero germanico, alleato con gli spagnoli che non riuscivano a predominare sui Gonzaga di Mantova, spedì in Italia un esercito composto in gran parte da mercenari, detti Lanzichenecchi, i quali, in tutti i luoghi che attraversarono, perpetrarono violenti saccheggi e si fecero portatori della peste.

Alessandro Manzoni (Milano, 1785-1873), romanziere, scrittore e drammaturgo, deve buona parte alla sua fama a I promessi sposi, considerato vero e proprio caposaldo della nostra letteratura. L'importanza dell'opera (così come della sua prima stesura, Fermo e Lucia, del 1827, considerata ormai un lavoro a sé stante) fa sì che la figura di Manzoni sia familiare persino ai giovanissimi: impossibile trovare chi, fra i banchi di scuola, non abbia sfogliato le pagine manzoniane dedicate all'amore travagliato di Renzo e Lucia, ma anche al contesto storico e sociale del tempo. Proprio questo aspetto rende il romanzo così tanto importante anche sotto il profilo storico e sociale. Manzoni voleva scrivere le sue opere in una lingua comprensibile a tutti, ma agli inizi del XIX secolo, la lingua degli scrittori e la lingua della gente comune erano molto lontane: gli scrittori scrivevano nell’italiano letterario, la gente comune parlava in dialetto, e in Italia anche all’epoca esistevano centinaia di dialetti. Nel 1823 Manzoni ha scritto una prima volta il suo romanzo più celebre, ma lo ha scritto nel fiorentino antico di Dante, Petrarca e Boccaccio: una lingua bella, ma morta, che nessuno usava per parlare. Manzoni aveva a disposizione anche una lingua viva: il suo dialetto milanese, ma fuori di Milano e della Lombardia nessuno capiva il milanese. Ecco allora la sua idea: riscrivere il suo romanzo in fiorentino sì, ma nel fiorentino parlato ai suoi tempi, dunque in una lingua viva, non morta. Per fare questo, Manzoni è andato a Firenze, ha studiato il fiorentino parlato e ha riscritto il suo romanzo nella lingua parlata a Firenze dalle persone colte, una lingua molto simile all’italiano di oggi. Tra le altre opere di Alessandro Manzoni ricordiamo gli Inni sacri (1815), Il Conte di Carmagnola (1820), l'Adelchi (1822) e Storia della colonna infame (1840).