Emidio Clementi tra ritmo e poesia

Emidio Clementi tra ritmo e poesia

Intervista di Claudia Bonadonna

Emidio Clementi tra ritmo e poesia
Una carriera come musicista e una parallela come narratore. Emidio Clementi ricorda storie di rock e parole, sfide e fatica, letture e ambizione. Alla ricerca del verso perfetto.

Nel corso degli anni Novanta è stato mente e voce dei Massimo Volume, ha scritto tre romanzi e partecipato ad arditi esperimenti di crossover letterario (i reading musicali con il volto degli Afterhours Manuel Agnelli). Emidio Clementi racconta l’amore per il rock (quello vero, lontano dalle classifiche e dai facili richiami) e la tensione verso i più placidi e impegnativi territori della letteratura.

Emidio Clementi musicista. I Massimo Volume erano un progetto del tutto particolare: musica rumorosa e recitativi ad alta densità narrativa. Come nasceva quell'idea?
Musica rumorosa fino a un certo punto. Forse all'inizio più aggressiva, più tesa. Ma la nostra è sempre stata una musica che cercava di dialogare col testo, con una sua funzionalità. Il lavoro d'intreccio è sempre stato piuttosto elaborato...

All’inizio, quando abbiamo cominciato, l'unica cosa di cui eravamo consapevoli era questa urgenza di mostrarci senza trucco. Crudi.

Per questo i nostri dischi possono apparire invadenti. È come se qualcuno parlasse di se stesso e delle sue ossessioni a voce alta durante un pranzo di nozze. Forse la gente è abituata a un'atmosfera più intima per un certo genere di cose.

Il primo disco, Lungo i bordi, subiva il fascino delle poesie di Emanuel Carnevali. Puoi raccontarmi quella fascinazione?
Prima di Lungo i bordi c'è stato Stanze, forse non così conosciuto come disco ma molto importante, soprattutto visto in prospettiva… Comunque quello che posso dire di Carnevali è che è stato lo scrittore che più di ogni altro mi ha fatto capire che quello che c'era da dire era tutto intorno a me, che se andavo ad analizzarla, anche la mia quotidianità conteneva le sue zone d'ombra, il suo mistero, le sue inquietudini e un'epica che valeva la pena di essere raccontata. Carnevali è servito a darmi la consapevolezza di quanto sia importante osservare la realtà e questo è un tema su cui torno anche nel libro che sto scrivendo ora. L'ho sempre sentito vicino, Carnevali. Mi ha indicato una strada…

Possiamo parlare di ispirazioni letterarie oltre che musicali? e se sì, quali erano le vostre letture, le vostre fonti?
Sono state molte. La letteratura americana, i racconti brevi di Shepard, Choukri, i testi di Jim Carroll... tutta quella narrativa che usava come materia prima la realtà. La nostra attitudine estetica è sempre stata legata a questo.

Volevamo che le nostre storie avessero la forza di quelle vere e facevamo di tutto perché lo sembrassero.

Come si è consumato il passaggio verso la pagina scritta e la prosa? cosa ti ha fatto decidere al grande passo?
Non lo so, forse lo spazio che avrei avuto a disposizione senza i tempi angusti di un brano musicale, l'ambizione di confrontarmi con qualcosa di così difficile e prestigioso come la letteratura, il caso. Ma sicuramente c'era un'esigenza di descrivere in maniera più completa, possibilità che una canzone non ti concede.

Piano piano ho cominciato a prendere dimestichezza con le parole, non mi facevano più paura. All'inizio pareva che mi bruciassero tra le dita.

Ma è stato tutto abbastanza naturale. Come ho detto a un certo punto mi sono ritrovato con delle storie in mano che non potevano più essere contenute in una canzone, che avevano bisogno di più spazio. È come se avessi sentito la necessità di allargarmi.

Mentre i testi dei Massimo Volume erano pieni di effetti speciali, lo stile dei tuoi romanzi è molto più calmo e riflessivo, quasi carveriano... Perché?
Non so cosa intendi per effetti speciali. Sicuramente il peso specifico delle parole è diverso tra una canzone e un racconto, ancora di più se paragoni la stessa a un romanzo.

Le parole di una canzone devono essere forti, si devono reggere in piedi da sole, devono evocare un mondo che non hai tempo di descrivere.

In un romanzo puoi prendere delle pause, puoi lasciare aperto un discorso che hai appena cominciato e permetterti di spendere due parole su una splendida donna che è appena passata.

Gara di resistenza aveva un sapore fortemente autobiografico. Il tempo di prima mostrava una maggior consapevolezza della costruzione narrativa. La notte del Pratello è a suo modo un romanzo "storico". Tu come giudichi la tua evoluzione di scrittore?
Andando avanti mi sembra di avere più consapevolezza di quello che faccio. Solo dopo che è uscito, rileggendolo, mi sono reso conto che Gara di resistenza è un libro piuttosto amaro, in alcuni racconti anche crudele. Non ci avevo fatto caso mentre lo scrivevo. Credevo solo che stessi illustrando delle situazioni e non mi rendevo conto di usare solo delle tinte cupe. Ne Il Tempo di prima l'ambientazione mi sembra riuscita, il libro ha un sapore quasi crepuscolare. L'hotel sul lago, i personaggi che lo popolano. Mi piace.

Mi sono sempre piaciute le storie in cui i personaggi si ritrovano in un posto da cui non possono andarsene, quella strana intimità che si instaura tra persone sconosciute.

Meno riuscita mi sembra la messa in scena. I personaggi soffrono più o meno tutti di logorrea, si raccontano in continuazione. A volte verrebbe voglia di chiudersi la porta alle spalle e lasciarli andare avanti da soli. La Notte del Pratello è il più equilibrato, uso una gamma di tinte e di stati d'animo più ampia che in passato. Ho lavorato molto sulla semplicità. Volevo che il lettore si godesse la storia e ho cercato di usare lo stile in questa direzione. È stato un bell'esercizio. Quello in uscita è un romanzo più riflessivo, con una struttura particolare, che si sposta su diversi piani temporali. È una ricerca su me stesso, sulle ragioni che mi hanno avvicinato alla scrittura, viste anche attraverso la figura di Carnevali. È stato un libro difficile, che mi ha messo di fronte a molti dubbi sulla scelta del materiale narrativo. È un romanzo che, più degli altri, ho costruito pagina dopo pagina.

Una domanda maliziosa per concludere: sceglierai infine che cosa fare "da grande", il musicista o lo scrittore?
Con la scrittura posso essere autonomo. Nei progetti musicali, invece, ho bisogno di gente con cui confrontarmi, forse perché sono un musicista abbastanza mediocre che ha solo buon gusto. Ma le due cose convivono senza troppi turbamenti e con una loro autonomia, quanto basta da farmi rimandare il problema.

Di Claudia Bonadonna