Igor Stravinskij, John Adams e Leonard Bernstein per Robert Treviño e Yulianna Avdeeva: le note di sala di Daniele Spini

Igor Stravinskij, John Adams e Leonard Bernstein per Robert Treviño e Yulianna Avdeeva: le note di sala di Daniele Spini

Giovedì 2 e venerdì 3 maggio - Auditorium Rai di Torino

Igor Stravinskij, John Adams e Leonard Bernstein per Robert Treviño e Yulianna Avdeeva: le note di sala di Daniele Spini
Igor Stravinskij
Symphony in three movements

“Non è una sinfonia a programma. I compositori combinano note. Tutto qui. Come e in quale forma le cose di questo mondo possano riflettersi nella loro musica non sta a loro dirlo”. Così Igor Stravinskij nel 1963 bilanciava e chiariva l’esposizione delle impressioni che lo avevano guidato nella composizione della Sinfonia in tre movimenti, da lui stesso descritta come una “sinfonia di guerra”, in una conversazione raccolta da Robert Craft in Dialogues and a Diary. La Sinfonia, scritta in California fra il 1942 e il 1945, testimonia una reazione agli eventi della Seconda guerra mondiale abbastanza chiaramente, ma certo in maniera meno diretta e descrittiva di quanto non succeda per esempio nella Sinfonia di Leningrado di Dmitrij Šostakóvič: la poetica di Stravinskij non poteva ammettere una musica “a programma” vera e propria. Nata “sotto il segno” dei fatti della guerra, “al tempo stesso ‘esprime le mie sensazioni’ a quel proposito e non le esprime”. Che si sia trattato soltanto di un suggerimento lo conferma anche la gestazione frammentaria della partitura, che secondo Stravinskij sarebbe stato più corretto intitolare Tre movimenti sinfonici, e che rappresenta al meglio i caratteri del suo periodo neoclassico:
politonalità e asciuttezza ritmica, senso del paradosso e ironia, contrasto di estremi stilistici opposti, anche nel trattamento di un’orchestra che alterna episodi cameristici ad altri nei quali le grandi masse sembrano riproporre in forma più misurata e compressa le catastrofi sonore della Sagra della primavera ormai lontana
Il primo tempo, pensato dapprima per un concerto per pianoforte e orchestra, “fu ispirato da un film di guerra, [...] un documentario sulle tattiche di ‘terra bruciata’ in Cina. La parte centrale del movimento - la musica per clarinetto. pianoforte e archi, che cresce in intensità e volume fino all’esplosione dei tre accordi [...] - è stata concepita come una serie di dialoghi strumentali per accompagnare una sequenza cinematografica nella quale i cinesi zappano e scavano nei campi”. In un tessuto sinfonico spesso aspro e ritmicamente incalzante il pianoforte agisce quasi come un solista. Il secondo era nato nel 1943, in circostanze del tutto diverse, e anche un po’ bizzarre. Il celebre scrittore Franz Werfel - terzo marito di Alma Schindler, la vedova di Gustav Mahler - per adempiere a un voto pronunciato a Lourdes aveva scritto Il canto di Bernadette, storia romanzata della pastorella balzata nel 1858 all’attenzione del mondo dichiarando di aver visto diciotto volte la Madonna, e aveva chiesto a Stravinskij di scrivere le musiche per il film che il regista Henry King ne stava ricavando. Naufragato per incompatibilità fra Stravinskij e la produzione, il progetto sopravvisse nella cantabilità pastorale dell’Andante della Sinfonia, nel quale il ruolo di strumento “obbligato” tocca all’arpa. Il terzo tempo, con i suoi meccanismi distorti e sarcastici, ha nuovamente un tema bellico; che però Stravinskij disse di aver “riconosciuto come tale solo dopo averne completato la composizione”: “l’inizio [...] è in parte e secondo un qualche, per me del tutto inesplicabile, percorso, una reazione ai cinegiornali e ai documentari che avevo visto su soldati che marciavano al passo dell’oca”. Stravinskij stesso ne diresse la prima esecuzione il 24 gennaio 1946 alla testa della Filarmonica di New York alla quale aveva dedicato la partitura.


John Adams
Doctor Atomic Symphony

Come già dichiara il titolo, ripetendo un percorso abituale di John Adams anche Doctor Atomic Symphony si riferisce a un’attualità non meno tragica di quella all’origine della Sinfonia in tre movimenti di Igor Stravinskij. Eseguita per la prima volta da Adams stesso e dalla BBC Symphony Orchestra nella sterminata Royal Albert Hall di Londra nell’ambito della popolarissima stagione dei Proms, era stata realizzata rielaborando con il suono senza parole della grande orchestra, e condensandola nella dimensione di un unico lungo movimento sinfonico, la sostanza musicale e le idee di Doctor Atomic, l’opera andata in scena il 1° ottobre 2005 al San Francisco con la regia di Peter Sellars, collaboratore storico di Adams, e autore del libretto.
La vicenda della creazione della bomba atomica, dal lungo periodo di preparazione nei laboratori di Los Alamos al primo test nel deserto di Alamogordo il 16 luglio 1945, è letta attraverso il dramma personale - ripreso recentemente da Christopher Nolan in un film assai fortunato - di Julius Robert Oppenheimer, il grande fisico che fu tra i padri della bomba
Il titolo accademico di Oppenheimer - chiamato nell’opera con il vezzeggiativo “Oppie” usato dai suoi compagni di lavoro - è impiegato anche per assonanza con il Doktor Faustus di Thomas Mann, a sua volta parafrasi moderna del mito faustiano evocato da Johann Wolfgang von Goethe. Come l’opera dalla quale deriva la Symphony rispecchia la libertà stilistica consueta a John Adams: specialmente in una maturità ormai non più riducibile all’etichetta un po’ semplicistica di “minimalista”, e se mai consapevole di una modernità primigenia tutta statunitense, che dagli esempi lontani di Edward Charles Ives sembra arrivare a lui attraverso le esperienze senza radici e di suono puro di Egar Varése. In seguito Adams rielaborò la partitura condensandola ulteriormente con tagli drastici. 

La prima delle tre sezioni, connesse l’una all’altra senza interruzioni, è breve e collocata dal titolo nel laboratorio di Los Alamos: comincia con l’ouverture dell’opera, nella quale si scatenano masse sonore indistinte e caotiche seguite dalla staticità desolata di un paesaggio devastato dalla prima esplosione, per poi farci “udire” gli scienziati declamare il senso delle loro stesse scoperte. La seconda descrive dapprima con una scrittura agitatissima il panico provocato nel secondo atto dell’opera dalla tempesta elettrica che sconvolge le installazioni di Los Alamos poche ora prima del test; si placa poi per dare spazio al trombone solo, che sostituendo la voce impersona sarcasticamente il generale Leslie Groves, responsabile militare del Progetto Manhattan, mentre arringa il personale del laboratorio, e più avanti alla lenta e rituale danza del grano dei nativi Tewa del New Mexico. Seguono altri momenti di dialogo, animazione e perplessità, nei quali si affacciano soli “parlanti” di diversi strumenti, in attesa della realizzazione del test. Il tessuto orchestrale si rarefà e sfuma sempre più, trapassando direttamente nell’ultima sezione, intitolata Trinity, dal nome in codice del test del 15 luglio. Una cornice meditativa - l’indicazione di tempo ed espressiva è “Solennemente” - introduce il solo della tromba che mima l’aria di Oppie che lacerato dai rimorsi intona il sonetto di John Donne (1572-1631) Batter my heart, three-person’d God (Sfascia il mio cuore, Dio trino), su una melodia struggente interrotta da interiezioni dell’orchestra, e da ultimo travolta da un fortissimo catastrofico.

Leonard Bernstein
The Age of Anxiety

Terza tappa di questo viaggio nelle musiche scritte negli Stati Uniti nel secolo scorso e ispirate al tema della guerra, The Age of Anxiety vide Leonard Bernstein ricevere il primo spunto per la sua composizione da un amico, Richard Adams Romney, che nel 1947 gli aveva fatto avere una copia di The Age of Anxiety: A Baroque Eclogue, il poema in sei parti appena pubblicato da Wystan Hugh Auden (1907-1973), suggerendogli di ricavarne un poema sinfonico. Bernstein invece lì per lì disse che avrebbe potuto ricavarne un balletto, ma Romney lo sconsigliò, ripetendo la sua opinione ma senza più insistere sull’idea di una musica a programma. Sta di fatto che Bernstein si indirizzò verso un pezzo sinfonico con un pianoforte solista, con lo stesso titolo dell’”egloga”di Auden, del quale era rimasto entusiasta, ma indicandolo come Sinfonia n. 2. 

Nel suo poema Auden racconta l’incontro casuale di quattro personaggi in un bar di New York, nel novembre 1944, in pieno tempo di guerra: Quant, sessant’anni, vedovo, pensionato, appassionato di mitologia classica; Malin (il “maligno”: proiezione di Auden stesso), quarant’anni, ufficiale medico; Emble, vent’anni, studente arruolato in marina; unica donna Rosetta, trent’anni, profuga ebrea. Epoca dell’ansia, età dell’ansia: ascoltano insieme alla radio le notizie della guerra, le commentano, fan conoscenza fra di loro. La conversazione si amplia; discutono filosofando delle “sette età” dell’uomo, che William Shakespeare fa esporre a Jacques nella Dodicesima notte come altrettanti atti di una recita in un mondo che è tutto un grande palcoscenico: il bambino che frigna e vomita in braccio alla balia, lo scolaro piagnucoloso e svogliato, l’innamorato che sospira, il soldato orgoglioso e prepotente, il giudice panciuto e ampolloso, il vecchio in decadenza, finalmente il puro oblio, senza denti, senza occhi, senza gusto, senza niente. Fra i tre più giovani si intreccia una dinamica di desideri: Emble da un lato corteggia Rosetta, che spera di trovare l’uomo giusto anziché gli incontri occasionali dei quali finora si è dovuta accontentare, dall’altro non evita gli sguardi insistenti di Malin, sedotto dalla sua bellezza; Quant osserva tutto fumando il suo sigaro. È tardi, il bar chiude: Rosetta invita gli altri a seguirla in casa sua, sperando di rimaner sola con Emble; convinto da Quant Malin accetta di andarsene, ma quando Rosetta raggiunge Emble in camera da letto lo trova che dorme della grossa. Rabbia e umiliazione la spingono a intonare Shemà Israel, la preghera ebraica antichissima. In strada Quant e Malin si salutano ripromettendosi di tornare a incontrarsi.

La composizione impegnò Bernstein fino al 20 marzo 1949: la prima esecuzione assoluta ebbe luogo l’8 aprile di quell’anno con la Boston Symphony Orchestra diretta da Serge Koussevitsky, committente e dedicatario dell’opera, solista lo stesso autore. Non soddisfatto della parte conclusiva, scritta troppo in fretta nell’imminenza della prima, Bernstein nel 1965 la revisionò insieme con altri luoghi della partitura; la versione definitiva fu eseguita il 15 luglio 1964 con la New York Philharmonic, stavolta con lui stesso direttore e il pianista Philippe Entremont. Aveva seguito molto da vicino lo schema del poema di Auden: disse addirittura di essersi reso conto soltanto a cose fatte di non essersi solo ispirato genericamente al testo, ma di aver scritto vera e propria musica a programma. Nonostante ciò Auden, che nel 1948 aveva ricevuto proprio per The Age of Anxiety il premio Pulitzer, non rimase per niente convinto, e disse tranquillamente che l’opera di Bernstein non aveva molto a che fare con la sua; men che meno prestò attenzione alla coreografia che nel 1950 Jerome Robbins realizzò per il New York City Ballet su quella musica. La sua presenza consapevole sul fronte musicale rimase quindi affidata al libretti scritti a quattro mani con il suo compagno di vita Chester Kallman per La carriera di un libertino di Igor Stravinskij (1953) e Elegia per giovani amanti di Hans Werner Henze (1961).
Un impegno compositivo intenso, anche sul piano puramente tecnico, e con coerenza estrema nonostante l’eclettismo delle scelte stilistiche e linguistiche, che come in tutto Bernstein spaziano attraverso culture musicali diversissime, dà vita a una partitura solida e multiforme al tempo stesso, affidata a un’orchestra ricca di colori e impiegata via via in dimensioni pure diverse, e a un pianoforte sempre eloquente e spesso protagonista
Si articola in due parti, ciascuna divisa in tre sezioni. La prima si apre con un Prologo orchestrale per poi scorrere lungo due serie di sette variazioni, ciascuna delle quali ì elaborazione della precedente, corrispondenti la prima alle Sette età di Shakespeare, la seconda alle Sette scene recitate nell’immaginazione dai quattro protagonisti. Anche il secondo movimento è diviso in tre sezioni: il Lamento funebre per i rispettivi padri defunti intonato dai quattro mentre in taxi si dirigono verso la casa di Rosetta; il Masque, che nel titolo evoca il genere di teatro musicale di corte in uso nel Rinascimento e nel primo Barocco inglese - giusto al Barocco allude il sottotitolo del poema - corrisponde alla danza “recitata” da Rosetta e Emble nel loro corteggiamento senza futuro;  e l’Epilogo, che chiude il racconto su una prospettiva di speranza, specialmente esplicita nella versione definitiva, conseguenza della ricerca della fede che percorre tutto il poema, e che trova in Malin, l’omosessuale che è anche l’unico cristiano fra i quattro personaggi, l’interprete principale.