"American Landscapes" - Rai Orchestra POPS: le note di sala di Daniele Spini

"American Landscapes" - Rai Orchestra POPS: le note di sala di Daniele Spini

Venerdì 7 giugno ore 20.30 anche in streaming - Auditorium Rai di Torino, David Greilsammer

"American Landscapes" - Rai Orchestra POPS: le note di sala di Daniele Spini
Rai Orchestra POPS - il 7 giugno alle 20.30 all'Auditorium Rai "Arturo Toscanini" di Torino

American Landscapes


La cultura degli Stati Uniti ha saputo e voluto raccontare sé stessa forse meglio e con maggior impegno di quella di qualsiasi altro paese. Non c’è espressione artistica che non si offra spesso e volentieri come autobiografia non meno lirica che storica, come evocazione di atmosfere non meno che come illustrazione geografica: letteratura, cinema, arti visive: e la musica, da quando il Nuovo continente oltre a importare e sviluppare poderosamente le abitudini del Vecchio ha cominciato a costruirne di sue, tanto in un campo in qualche modo definibile come classico quanto in quelli - il jazz o la civiltà del musical, tanto per citarne due - del tutto inesplorati e nei quali anzi la lezione ha traversato l’Atlantico in senso inverso, dando e insegnando tanto all’Europa.
Paesaggi, e spesso paesaggi dell’emozione quanto dell’occhio; ma anche viaggi, cammini dell’esperienza vissuti “on the road”, come recita il titolo di uno dei testi sacri del Novecento americano, in un itinerario che può svilupparsi sulla strada di Jack Kerouac ma anche sui battelli a ruote del Mississippi
Di paesaggi parla il trittico creato da Charles Edward Ives fra il 1903 e il 1914, e ispirato a tre luoghi del suo nativo New England, e attraverso due di questi a momenti salienti della storia degli Stati Uniti, destinato a rimanere ben presente in lui anche dopo il trasferimento a New York nel 1908. Rimasto a lungo ineseguito, fu revisionato profondamente da Ives nel 1929, per essere fatto ascoltare privatamente il 16 febbraio 1930 a New York dalla Boston Chamber Orchestra diretta da Nicolas Slonimsky davanti al direttivo americano della Società Internazionale di Musica contemporanea, ed essere finalmente presentato al pubblico dagli stessi esecutori il 10 gennaio 1931 alla Town Hall, sempre a New York. Ives si era appena ritirato definitivamente dagli affari, e contemporaneamente aveva rinunciato anche alla composizione, svolta fin allora parallelamente a una fortunata attività di assicuratore, e circondata da un sostanziale silenzio. Le avventure linguistiche e stilistiche di Ives erano sembrate destare più indifferenza che non ostilità. Forse senza turbare più di tanto una vocazione creativa che sembrava voler soddisfare un’esigenza interiore, anziché cercare consensi di pubblico e critica.
Privo di complessi di inferiorità nei confronti della grande tradizione europea o di condizionamenti storici in fatto di estetica e linguaggi, Ives aveva potuto violare le leggi più consolidate dell’armonia o della forma fino a inventare un mondo sonoro che non era di avanguardia essenzialmente poiché non teneva a definirsi tale, ma che oggi può apparirci precorritore di vicende e idee molto più tarde. Il tessuto dolcemente irregolare delle tre istantanee lo illustra a meraviglia
Il titolo della prima tessera, composta nel 1911-1912, fa riferimento al monumento, opera dello scultore Augustus Saint-Gaudens, che nel Common Park di Boston onora il colonnello Robert Gould Shaw, che durante la guerra di Secessione aveva comandato il famoso 54º Reggimento Volontario di Fanteria del Massachusetts, composto da afroamericani.
Una pagina sospesa come in una nebbia da timbri diversi e dissonanze morbide, nelle quali spezzoni di melodie si affacciano come immagini misteriose, per addensarsi solo temporaneamente in sonorità più corpose
Il secondo pezzo arrivò a forma definitiva subito dopo attraverso un processo laborioso di riciclaggi e trasformazioni di pagine risalenti al 1903, e celebra un eroe della rivoluzione americana, il generale Israel Putnam e i 3.000 soldati accampati a Redding, nel Connecticut - lo stato nel quale era nato Ives - che nell’inverno 1778-1779 resisterono eroicamente a freddo e privazioni indicibili. Mescola, e il riferimento a Gustav Mahler è inevitabile per questi echi di vissuto, danze di campagne a marce come quelle che Ives bambino aveva sentito suonare dalla banda del padre, e fra queste quella celeberrima dei Granatieri inglesi.
Il terzo paesaggio ha una storia più intima e delicata: siamo sempre nel Connecticut, a Stockbridge, e Ives e sua moglie, Harmony Twitchell, si concedono una passeggiata lungo il fiume Housatonic.
Un idillio insieme delicato e intenso, che le irregolarità volute dell’armonia e della politonalità, così come le impennate sonore di momenti più drammatici, subito prima di una chiusa enigmatica e concisa, sottraggono a qualsiasi rischio di bozzettismo
Con la prima di Three places si aprì un periodo nel quale finalmente Ives cominciò a essere considerato ed eseguito, in un crescendo di apprezzamento che vide nel 1947 l’assegnazione del Premio Pulitzer e nel 1951 la presentazione al pubblico della Seconda Sinfonia diretta da Leonard Bernstein con la New York Philharmonic: che Ives e Harmony ascoltarono dalla radio della cuoca, stupendosi per l’ottimo esito. 

Figlio di un cantante e di una pianista, educato musicalmente in Germania, Ferde Grofé sterzò presto dalla sua identità di musicista classico verso il jazz, facendosi un nome e una posizione di primo piano come arrangiatore, lavorando a lungo con la celeberrima orchestra di Paul Whiteman, per la quale realizzò la partitura della Rhapsody in blue di George Gershwin sia per la prima assoluta del 1924 sia per la versione definitiva dal 1942, senza per questo rinunciare a scrivere composizioni originali.  Sempre per l’orchestra di Whiteman Grofé compose nel 1926 Mississippi Suite. Eseguito e quasi subito registrato in dischi da Whiteman, il “viaggio sonoro” sul Mississippi, dalla sorgente nel Minnesota fino a New Orleans, è rimasto uno dei lavori più noti e Grofé, anche se con fortuna minore rispetto alla Grand Canyon Suite alla quale si affida oggi gran parte della sua fama e che fu addirittura diretta da Arturo Toscanini.
Le quattro immagini sono dipinte con gran generosità melodica e orchestrazioni brillantissime, puntando ogni volta su un preciso tema narrativo
Il Padre delle acque descritto nella prima tappa del viaggio è appunto il momento della nascita del grande fiume nelle terre dei Chippewa. Nel secondo pezzo esplode la figura di Huckleberry Finn, l’adolescente ribelle e geniale protagonista del più bello fra i romanzi di Mark Twain, che ha come sfondo appunto il Mississippi nei tratti che attraversano gli stati del Missouri e dell’Illinois. Nel terzo, I vecchi tempi creoli, appaiono gli schiavi neri delle piantagioni della Georgia e gli spirituals da loro cantati. Conclusione vivacissima in una New Orleans in pieno carnevale.

Ballet for Martha: Aaron Copland in origine aveva pensato di intitolare semplicemente così la partitura scritta fra il 1943 e il 1944 per Martha Graham e la sua Dance Company. A sua volta Martha Graham aveva ricevuto dalla mecenate Elizabeth Sprague Coolidge la commissione di creare un balletto che rappresentasse uno spirito autenticamente americano e aveva dato a Copland alcune indicazioni di massima:
Un apologo di vita americana, qualcosa come uno scheletro, la struttura interiore che dà l’unità di un popolo
Copland aveva capito al volo
Dopo che Martha mi ebbe dato questa nuda traccia, capii alcune cose fondamentali - che avrebbe dovuto trattare lo spirito dei pionieri americani, la giovinezza e la primavera, l’ottimismo e la speranza
L’azione descrive l’insediamento di due sposi in una fattoria appena costruita, sulle colline della Pennsylvania nella prima metà dell’Ottocento: interagiscono con loro i vicini e un predicatore attorniato dai suoi fedeli, nel clima generale del risveglio religioso e dei valori primari di un’America rurale e protesa verso il futuro. Fu poi Martha Graham a suggerire il titolo, ricavandolo da un verso della poesia The Dance, di Hart Crane, per condensare il senso della vicenda nel riferimento alla primavera negli Appalachi. La Fondazione Coolidge si occupava soprattutto di musica da camera, e lo spettacolo era pensato per uno spazio relativamente ristretto: Copland scrisse quindi la versione originale di Appalachian Spring per tredici strumenti. In questa versione il balletto andò in scena il 30 ottobre 1944 all’Elizabeth Sprague Coolidge Auditorium della Library of Congress, a Washington, con Martha Graham stessa nel ruolo della Sposa, Erick Hawkins in quello dello Sposo, e un altro futuro grande della Modern Dance, l’allora venticinquenne Merce Cunningham, in quello del Predicatore. Nel 1945 Copland, che per questo lavoro ricevette il Premio Pulitzer, su richiesta di Artur Rodzinski ricavò dal balletto una suite sinfonica, utilizzando circa due terzi della partitura ed estendendo la strumentazione a un normale organico orchestrale.
Eseguita per la prima volta dallo stesso Rodzinski con la New York Philharmonic il 4 ottobre 1945, la suite da Appalachian Spring da allora è familiare al pubblico di tutto il mondo, come immagine fra le più tipiche e felici della musica americana del Novecento, forte di una comunicativa melodica immediata - di cui è simbolo la citazione ed elaborazione di Simple gifts, un popolarissimo inno religioso dell’Ottocento - e di una poesia di atmosfere delicata e aurorale
Composto nel 1998 su commissione dell’Orchestra Sinfonica di Kalamazoo, che lo ha eseguito per la prima volta diretta da Yoshimi Takeda il 25 aprile di quello stesso anno East Lansing, nel Michigan, Route 66 ebbe la sua prima italiana il 20 gennaio 2005 nell’ambito della seconda edizione di Rai NuovaMusica. Michael Dougherty, compositore fra i più in vista degli Stati Uniti anche per la sua capacità di rivivere modernamente e criticamente i linguaggi della tradizione, descrive così il suo brillantissimo lavoro:
Una gazzarra musicale nostalgica ad alto numero di ottani, che si sposta dall’Illinois alla California lungo la prima autostrada americana estesa attraverso tutto il continente, come può essere vista dal mio specchietto retrovisore. La musica parte con quattro trombe in canone e un metallico tambureggiare di freni, pulsando come la linea gialla che divide le due corsi di asfalto. Mentre fiati percussioni e bongo continuano le loro sincopi, una melodia degli archi fluttua stendendo un panorama sonoro sulla 'Strada madre'. Un intervento solitario della tuba, che segnala l’unico semaforo del viaggio, prosegue con un’espansione mozzafiato della melodia iniziale, punteggiata da scale cromatiche a velocità della luce. All’arrivo di un groove latino sincopato su campanacci, cambiando marcia all’improvviso entriamo in una sezione di sviluppo di eccitanti contorsioni in qua e in là. Gli ottoni dell’ultimo accordo segnalano la fine del nostro viaggio sinfonico lungo la 'Main Street America'

Daniele Spini