I 57 giorni

Il coraggio di un magistrato

Il pomeriggio del 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone muore in un attentato a Capaci insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della sua scorta. Iniziano allora i 57 giorni più difficili del magistrato che più di altri ha condiviso con lui i successi e le difficoltà della stagione di lotta contro la mafia: l’amico Paolo Borsellino. Il giudice si lancia nel lavoro d’indagine. Vuole fare luce sulla morte dell’amico, scoprendone le cause e trovandone i responsabili. Ma l’uomo che ha visto morire Falcone tra le braccia, non è più quello di prima: è indurito, chiuso e si isola persino da amici e familiari. Ai colleghi, Borsellino annuncia: ”Sappiate che questo è anche il nostro destino”. Sa che lui sarà il prossimo obiettivo di Cosa Nostra e un attentato sembra ogni giorno più inevitabile. I carabinieri ricevono informative sull’arrivo di tritolo destinato al giudice mentre alcuni pentiti svelano oscuri legami tra Cosa Nostra e uomini delle istituzioni che non fanno un gioco pulito. Borsellino viene anche informato che uomini dello Stato hanno iniziato un dialogo con i boss mafiosi per arrestare le stragi e avverte attorno a sé un clima di crescente isolamento. Vive otto settimane di rabbia e inquietudine durante le quali ricorda con amarezza gli anni delle prime indagini di mafia, il sacrificio degli amici come il capitano dei Carabinieri Emaunuele Basile e il magistrato Rocco Chinnici, ripercorre i successi del Maxiprocesso istruito insieme a Falcone ma a anche le delusioni per le successive critiche e delegittimazioni che miravano a smantellare il Pool Antimafia e mortificare Falcone.

”Sappiate che questo è anche il nostro destino”. 

Diventato Procuratore Capo di Marsala Borsellino subisce l’attacco del famoso articolo di Leonardo Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” ma reagisce alle delegittimazioni con una durissima intervista pubblica che gli procura un procedimento disciplinare davanti al Csm. Nel suo ultimo discorso tenuto alla Biblioteca Comunale di Palermo nel giugno del 1992, Borsellino afferma che la morte di Falcone era iniziata in quella stagione di veleni e parla di “giuda” che lo hanno ingannato.  Dimostra di sapere dunque che esistono persone pronte ad abbandonare anche lui e in un drammatico episodio ricordato da una sua collega, per la prima volta parla di aver saputo di “amici che tradiscono”. Dimostra però un senso inflessibile della lealtà e decide di non venire meno a ciò che considera un dovere ineludibile, un obiettivo da perseguire anche in solitudine e fino in fondo, a costo di rinunciare a tutto.
Proponiamo qui una puntata del programma Diario civile, dedicata agli ultimi 57 giorni di vita di Paolo Borsellino.