Feci e urina per sconfiggere il cancro
Carlo Lucarelli racconta il "siero di Bonifacio"
La nostra storia, ma non solo quella italiana, è piena di casi in cui “cure alternative e miracolose” senza nessuna evidenza scientifica, si sono trasformate per “volontà popolare” in cure meritevoli di interesse scientifico, e i loro ideatori in paladini della povera gente (i malati). Mentre la comunità scientifica, cauta e dubbiosa, è stata bollata come “ottusa” nel migliore dei casi, o come bieca baronia universitaria al soldo delle multinazionali, nei peggiori.
Riguardo alle cure contro i tumori la vicenda più nota è quella legata a Luigi Di Bella, si tratta dell’ultima terapia anti-cancro controversa con cui il nostro Paese e l’oncologia ufficiale hanno dovuto fare i conti negli ultimi 50 anni.
Ma il miraggio della cura definitiva del cancro ha radici antiche e popolari. In Italia uno dei casi più rilevanti è stato quello del “siero Bonifacio”, un composto a base di feci e urina di capra che, secondo quanto affermato dal suo ideatore, il veterinario Liborio Bonifacio (Montallegro, 1908 - Agropoli, 1983), avrebbe avuto effetti terapeutici per la cura dei tumori.
La presunta cura ottenne grande risalto nei giornali nel 1969: il settimanale “Epoca”, nella sua rubrica “storie impossibili”, comincia a trattare la vicenda pubblicando una lunga serie di articoli a firma del giornalista Giuseppe Grazzini. Il risalto mediatico dato dai giornali alla vicenda spinge l’allora Ministro della Sanità, Camillo Ripamonti, ad autorizzarne la sperimentazione: si tratta di 16 pazienti, seguiti per un periodo che va dai 23 ai 75 giorni. Ma i risultati vengono giudicati deludenti, quattro pazienti infatti morirono durante la sperimentazione, e nessuno mostrò miglioramenti.
Riguardo alle cure contro i tumori la vicenda più nota è quella legata a Luigi Di Bella, si tratta dell’ultima terapia anti-cancro controversa con cui il nostro Paese e l’oncologia ufficiale hanno dovuto fare i conti negli ultimi 50 anni.
Ma il miraggio della cura definitiva del cancro ha radici antiche e popolari. In Italia uno dei casi più rilevanti è stato quello del “siero Bonifacio”, un composto a base di feci e urina di capra che, secondo quanto affermato dal suo ideatore, il veterinario Liborio Bonifacio (Montallegro, 1908 - Agropoli, 1983), avrebbe avuto effetti terapeutici per la cura dei tumori.
Nel suo libro “Liborio Bonifacio - la mia lotta contro il cancro”, il veterinario racconta così l’intuizione che lo portò a creare il suo siero negli anni ’60. Spiega di aver avuto un’intuizione in seguito ad un esperimento eseguito nel suo allevamento: dopo aver esposto per 20 giorni delle capre a una sostanza cancerogena (il benzopirene) e aver visto che queste non avevano sviluppato il tumore che ci si aspettava, concluse che le capre fossero immuni dal cancro e che somministrare un “estratto biologico di capra” potesse proteggere anche gli uomini dalla malattia (non sperimentò comunque in alcun modo la veridicità della sua ipotesi).Il preparato era così composto: feci e urina di un animale macellato, con aggiunta di un terzo di acqua distillata. Dopo 48 ore, il siero veniva filtrato, sterilizzato e poteva essere “finalmente” iniettato al malato ogni 48 ore.
La presunta cura ottenne grande risalto nei giornali nel 1969: il settimanale “Epoca”, nella sua rubrica “storie impossibili”, comincia a trattare la vicenda pubblicando una lunga serie di articoli a firma del giornalista Giuseppe Grazzini. Il risalto mediatico dato dai giornali alla vicenda spinge l’allora Ministro della Sanità, Camillo Ripamonti, ad autorizzarne la sperimentazione: si tratta di 16 pazienti, seguiti per un periodo che va dai 23 ai 75 giorni. Ma i risultati vengono giudicati deludenti, quattro pazienti infatti morirono durante la sperimentazione, e nessuno mostrò miglioramenti.