Sandro Pertini

Il lungo cammino verso la presidenza

Dicono che sia stato il presidente più amato dagli italiani. Ma prima di ricoprire la più alta carica dello stato, Sandro Pertini, nella sua lunga vita, è stato molte altre cose. Schierato sempre a sinistra, nel partito socialista di Turati, è stato giovane antifascista, esule, incarcerato e condannato a morte, capo partigiano, segretario del partito socialista, costituente, deputato, senatore, direttore dell’”Avanti!” e Presidente della Camera.
Nato a Stella, in provincia di Savona il 25 settembre del 1896, è registrato all’anagrafe col nome Alessandro Giuseppe Antonio Pertini
Si laurea prima in giurisprudenza a Genova e successivamente in scienze politiche e sociali a Firenze. Al termine della prima Guerra Mondiale, alla quale partecipa col grado di sottotenente di complemento, intraprende la professione forense. La sua militanza politica inizia nel 1918 con l'iscrizione al Partito Socialista al quale rimarrà legato per tutta la vita. Nel 1925, dopo essere rimasto profondamento turbato dalla barbara uccisione di Giacomo Matteotti, viene arrestato perché sorpreso a distribuire un foglio contrario al regime, dal titolo: “Sotto il barbaro dominio fascista”. La successiva condanna è di otto mesi di carcere.
L’anno dopo è nuovamente condannato a cinque anni di confino ai quali si sottrare riuscendo a rifugiarsi in Francia. Inizia così la sua vita da esule.

"Io lasciai l’Italia nel 1926. La mia vita si è svolta prima all’Università di Genova, poi a quella di Firenze, quindi come professionista a Savona. Il mio studio fu devastato due o tre volte. Vidi un Paese di violenti, gli anni Venti furono il periodo della sopraffazione fascista. Molti erano intimiditi da quelle violenze e sostenevano che non si dovevano provocare i fascisti, per non indurli a infierire. Questo non è mai stato il mio atteggiamento. Sono stato bastonato perché il Primo Maggio andavo in giro con una cravatta rossa. Sono stato mandato all’Ospedale perché, nella ricorrenza della sua morte, ho appeso alle mura di Savona una corona di alloro in memoria di Giacomo Matteotti. Sono stato arrestato per aver diffuso un giornale significativo: "Sotto il barbaro dominio fascista". Ho vissuto i miei vent’anni così e non me ne pento."

Ma non riesce a stare lontano dal paese. Torna in Italia nel ’29, con l’intenzione di riorganizzare le fila del disciolto Partito Socialista. Progetta anche un attentato a Mussolini, ma viene scoperto e condannato a undici di reclusione. Ne sconta sette e poi viene assegnato per otto anni al confino. Rifiuta rifiutato di chiedere la grazia, anche quando la domanda viene firmata dalla madre. 
In seguito alla caduta del fascismo, torna libero nell’agosto del 1943, ed entra nell’esecutivo del Partito Socialista.
Ma prima di dedicarsi completamente alla politica,  per Pertini e gli antifascisti italiani, è il momento di combattere l’invasore.  Dopo l’armistizio, Il 10 settembre del 1943, Pertini guida i gruppi di resistenza a porta a Porta San Paolo a Roma per impedire l’ingresso delle truppe tedesche nella capitale. Si guadagna la medaglia d’oro al valor militare . 
Nuovamente catturato dalle SS, viene condannato a morte e incarcerato in attesa dell’esecuzione. Il 24 gennaio 1944 insieme a Giuseppe Saragat (anche lui futuro presidente della Repubblica) e ad altri sette compagni, riesce rocambolescamente a fuggire dal carcere di Regina Coeli.
Raggiunge Milano dove assume la carica di segretario del Partito Socialista nei territori occupati dai tedeschi.  
Conclusa la guerra di Liberazione viene eletto alla Costituente e poi in Senato.
Nella sua lunga carriera politica, ha talvolta assunto posizioni discutibili, ma sempre frutto di un percorso chiaro e senza compromessi. “Non è necessario essere socialisti – scrisse di lui Indro Montanelli nel 1963 – per amare e stimare Sandro Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odore di pulizia, di lealtà e di sincerità”.
Anche quando in Senato prende la parola per dichiararsi decisamente contrario all’entrata dell’Italia nella Nato. E’ il 27 marzo del 1949 quando, prendendo la parola in aula dichiara:
“Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto perché questo Patto è uno strumento di guerra. (…) Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica, verrà a dividere maggiormente l'Europa, (…). Vi sono da una parte le forze imperialistiche e plutocratiche, dall'altra le forze del lavoro. (…) E noi socialisti sentiamo che, se domani, per dannata ipotesi, solo per dannata ipotesi, dovesse crollare l’Unione Sovietica sotto la prepotenza della nuova Santa Alleanza, con l’Unione Sovietica crollerebbe il movimento operaio europeo e crolleremmo noi socialisti.”
Nel 1953, alla morte di Stalin, dichiara in Senato:
“Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto per noi e per le sorti del mondo (…) Si resta stupiti per la grandezza di questa figura che la morte pone nella sua giusta luce. Uomini di ogni credo, amici, avversari, debbono oggi riconoscere l’immensa statura di Giuseppe Stalin. Egli è un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto”.
E ancora nel 1956,
quando in Ungheria si accende l’unico barlume di democrazia oltre la cortina di ferro, Pertini scrive:
“Ma al di sopra di queste responsabilità della nostra critica, ecco avanzare in Ungheria lo spettro della reazione. Forze politiche si vanno ricostituendo sotto l'egida del clericalismo conservatore con l'intento di tornare al passato, annullando ogni riforma. Non si vuole, dunque, avviare il socialismo sulla strada della democrazia e delle libertà (… ) ma si vuole farlo crollare nell'abisso della reazione spietata.”
L’intervento dei carri armati sovietici, sarà la logica conseguenza di queste premesse.
Per non rompere l’unità delle forze a sinistra, si dichiara contrario all’ ipotesi di centro sinistra. Rimane in posizione defilata fino al termine degli anni ’60 quando, nel 1968, è eletto presidente della Camera. Primo esponente non democristiano a ricoprire questo ruolo. Viene confermato nel medesimo incarico nel 1972
L’8 luglio del 1978 Pertini viene letto con una amplissima maggioranza, 832 voti su 995. Dopo il problematico mandato di Leone, il suo settennato riconcilierà gli italiani, con la più alta carica dello Stato.
Marzio Breda, sulle pagine de Il Corriere della Sera del 20/02/2000, sostiene che la gente lo adorava, mentre la politica lo criticava, "anche perché si pagava il biglietto d’aereo, andava a sciare con il Papa, festeggiava come un qualsiasi tifoso la nazionale di calcio, vegliava l’agonia di un bimbo e di Berlinguer".