Una società in guerra

Marco Mondini

In questa breve intervista e nel suo intervento “Una società in guerra. Partire, combattere e morire nell’Italia del Primo conflitto mondiale”, Marco Mondini, storico all’Università di Padova e specialista della Grande Guerra, si sofferma sugli impatti sociali di quel conflitto, relativamente al gran numero di caduti tra gli uomini in uniforme. Circa il 13% dei soldati italiani che vi presero parte vi trovò la morte e molti di essi erano particolarmente giovani (almeno 260.000 su 600.000 morti totali stimati avevano meno di 25 anni). Ciò spiega il ricorso al Milite ignoto come politica della memoria, un modo dello Stato per provare a pagare il suo debito e onorare collettivamente i tanti caduti, rendendo accettabile alla società la carneficina da poco conclusasi. Anche molte altre nazioni coinvolte nella guerra adottarono commemorazioni analoghe per i propri caduti senza nome. 

L’intervista è stata realizzata a Roma, nell’ambito del convegno sulla figura del Milite Ignoto, tenutosi il 13 e 14 ottobre 2021 e organizzato dall’Ufficio Storico dello Stato maggiore della Difesa. L’iniziativa cadeva nel centenario della solenne cerimonia che, il 4 novembre 1921, portò al Vittoriano il corpo del soldato senza nome - uno, ma rappresentativo dei circa 200.000 italiani caduti nel Primo conflitto mondiale senza che si potesse riconoscerne l’identità.

La Grande Guerra infatti è stata caratterizzata, sui vari fronti, non tanto da un eroismo di singoli individui, quanto da un enorme sacrificio di massa. Di qui il sottotitolo del convegno: “Il milite ignoto. Sacrificio del cittadino in armi per il bene superiore della nazione”. Il consesso, tenutosi presso la Scuola Ufficiale dei Carabinieri, ha visto la partecipazione di importanti studiosi, sia militari che civili.

Rai Storia ha coperto il convegno realizzando brevi interviste ad alcuni dei relatori, raccolte in questo Speciale web.