L'Antologia di Spoon River a Milano

L'Antologia di Spoon River a Milano

Prima esecuzione dell'oratorio profano di Gino Negri (1945)

14 Giu 2024 > 23 Giu 2024
L'Antologia di Spoon River a Milano

 E' uno spettacolo sul passato che ritorna, sulla memoria storica ma anche sulla memoria involontaria, sul futuro represso che non poté realizzarsi, sui fantasmi che agitano il presente, sull’arte “minore”, fuori dal canone, sul suo futuro ancora possibile, anzi necessario.

In esso viene riproposto, per la prima volta dopo il 1945, un “oratorio profano” totalmente dimenticato di Gino Negri (1919-1991), composto subito dopo il 25 aprile in una Milano distrutta dalla guerra, ridotta a un cimitero. Il testo è tratto dall’Antologia di Spoon River (1915) del poeta americano Edgar Lee Masters nella famosa traduzione italiana di Fernanda Pivano pubblicata da Einaudi nel 1943. Tutti conosciamo il successo straordinario di questo libro in Italia. Come mai un'opera così intrisa del “mito della vecchia America” è penetrata tanto profondamente forma mentis del Belpaese?

Si immagina  che Gino Negri, non ancora trentenne, sia stato ispirato – nella composizione della sua opera – dall’osservazione di una collina artificiale che si stava formando in quei mesi a partire dalle macerie della città bombardata, dalla demolizione degli stabili pericolanti i cui detriti venivano appunto trasportati appena fuori Milano e che diventarono il Monte Stella ovvero, per dirla con Lee Masters, “The Hill”.

Vale la pena citare ciò che Mila scrisse, a proposito dell’Antologia di Spoon River, nel 1946: Negri “sa impiantare non sopra la musica, ma nella musica stessa uno spettacolo. C’è in lui una specie di immaginoso regista che si accompagna al musicista”. La partitura negriana non solo ammette, ma per certi versi pure pretende di essere pensata scenicamente, visivamente. Prendiamone la costruzione o, meglio, l’architettura sonora. Essa è realizzata dalla sovrapposizione di due dimensioni totalmente indipendenti l’una dall’altra. La prima è costituita da una fascia comprendente gli archi divisi in undici parti (cinque violini, tre viole, due violoncelli e un contrabbasso) sulla quale un coro, che sussurra perlopiù con la “voce soffocata”, scandisce il testo del primo brano “collettivo” del libro di Lee Masters: “La collina” (The Hill). Sovrapposti a questo continuum corale intervengono nove episodi ognuno dei quali coincide con la voce-fantasma dei singoli personaggi che intonano le corrispondenti poesie scelte da Negri all’interno della raccolta di Lee Masters.

Lucinda Matlock è un mezzosoprano e canta accompagnata da un pianoforte; William ed Emily cantano rispettivamente da baritono e contralto accompagnati da un organo (o armonium); Francis Turner, tenore con flauto; Mabel Osborne, soprano con saxofono contralto; Minerva Jones, contralto con arpa; Andy, basso con corno; Petit, soprano leggero con clavicembalo; Jonathan Houghton, baritono con oboe e clarinetto; Lois Spears, soprano con celesta.

Riscoprire l’opera di Gino Negri e il futuro interrotto che porta con sé significa affacciarsi su uno spazio utopico e per certi versi ucronico: il nostro tentativo è stato quello di dare una forma teatrale e sonora a una partitura “rimossa” eppure così attuale. Tale percorso di recupero e di reenactment ha coinvolto tre istituzioni milanesi – l’Accademia di Belle arti di Brera, l’Università Statale e il Conservatorio “Giuseppe Verdi” – che si sono unite per realizzare un progetto laboratoriale in cui riattivazione/rielaborazione dei materiali d’archivio, didattica sperimentale, rigore della ricerca, creatività artistica e impegno civile convergono verso un’unica meta: rimettere in azione non come pratica conservativa bensì trasformativa, rileggere il passato non solo come forma di memoria ma anche come creazione di nuove temporalità. Affrontare un simile cimento nell’anno del centenario sia della Scuola di Scenografia sia dell’Università Statale ci è sembrato il miglior modo per festeggiare una così felice e promettente congiuntura.