Alberto Savinio (o polipragmon), seconda parte

Un docudrama di Anna Zanoli del 1978

Alberto Savinio (o polipragmon), prima parte

Per raccontare Savinio bisognava adoperare uno “stile Savinio”, surreale, spezzato, veloce, a contrasto 
Anna Zanoli, 1994

Con la fine degli anni Settanta, inizia la rivalutazione critica dell'opera di Alberto Savinio (1891-1952) grazie a una serie di mostre, rappresentazioni teatrali e soprattutto pubblicazioni di scritti dell’artista. 
La divulgazione dell’opera di Savinio a un pubblico più ampio e non specializzato passò anche per la tivù pubblica italiana che, a seguito di questa riscoperta e per la lungimiranza del capostruttura di Rai Uno Paolo Valmarana, offrì ai suoi spettatori una serie di documentari firmati da uno degli autori più rigorosi, la storica dell’arte e regista Anna Zanoli (1934-2020). 
Mentre Zanoli preparava il “numero pilota” di “Grandi mostre” (1978-1993), proprio sulla mostra dedicata a Savinio in corso a Roma a Palazzo delle Esposizioni (Alberto Savinio. "Grandi mostre" 1978), l’autrice ricevette il via dalla produzione Rai per iniziare a girare un film sull’artista, qui proposto in due parti: “Alberto Savinio (o polipragmon)” (1978), cioè dell'uomo versatile, come amava lui stesso definirsi. 
Già affermata in programmi televisivi sull’arte, era circa un anno che Zanoli lavorava alla sceneggiatura, un racconto che per la prima volta, avrebbe diretto personalmente.

L’autrice voleva ricreare lo “stile Savinio” utilizzando una nuova formula di narrazione filmica, qualcosa che univa il linguaggio del documentario a quello della fiction creativa, un così detto “docudrama” genere già collaudato nella cinematografia americana  

“Alberto Savinio (o polipragmon)” è il primo docudrama televisivo Rai, un significativo esempio di riflessione più ampia sulle possibilità di “tradurre” il corpus di opere e la biografia di un artista per il piccolo schermo attraverso la contaminazione di diversi linguaggi comunicativi. 

Con il nuovo linguaggio filmico, Zanoli evidenziava meccanismi di finzione ironici consoni all’interpretazione della poetica di Savinio

L’autrice aveva scritto una sceneggiatura accurata attraverso un iter laborioso di studio e ricerca: brani di testi letterari e musiche originali dell’artista montate con happening teatrali costruiti ad hoc vennero tratte dall’opera sterminata di Savinio stesso. 

Nel documentario, o opera filmata sull’arte in cui si usa la forma di racconto, non c’è spazio per le note. Una scoperta inedita, una novità critica o una fonte d’archivio ritrovata non può essere segnalata all’attenzione
Anna Zanoli, 1994

Per questo, spiegava in seguito l’autrice, nei primi minuti di film aveva messo in evidenza il suo ritrovamento di uno scritto di Savinio che si credeva appartenere al periodo maturo e invece, risaliva al 1910, anno dell’arrivo a Parigi dell’artista ed epoca in cui iniziava ad adottare il nuovo nome. Per contestualizzare l’inedita datazione del documento, Zanoli fa leggere da una voce fuoricampo le parole di Savinio - “una città nettuniana che va riemergendo dal mare” - su immagini di archivio Pathé, bianco e nero che mostrano la storica alluvione di Parigi con gente che si muove in barca. 
Per tutto il film l’autrice sceglie un'insolita prospettiva temporale pensata per delineare un racconto “riflesso”, sdoppiato tra passato e presente al fine di sottolineare la nuova vita dell'opera di Savinio, ossia la sua contemporanea “riscoperta”, tema centrale del film. 
Infatti, "Savinio (o polipragmon)" inizia con un giovane negli anni Settanta che scende dal treno alla stazione parigina della Gare de L'Est e davanti a un’edicola, prende in mano le recenti edizioni dell’opera letteraria saviniana, mentre una voce fuori campo legge un brano di “Maupassant e “l'altro” (1944; ripubblicato nel 1975) sul “destino ferroviario” dei libri, un’idea ripresa dallo scrittore francese:

Chi ha visto per lungo tempo i suoi libri costretti all'inerzia e alla ridicola modestia di ambienti eccezionali, sa che grande soddisfazione è vedere un giorno i suoi libri girare su ruote veloci e redditizie della grande editoria e di salire sugli scaffali dei carrelli delle biblioteche delle stazioni
Alberto Savinio

Il racconto si snoda tra un’invenzione e un’altra: dipinti di donne dalla testa di uccello prendono vita nelle maschere di attrici; descrizioni letterarie della sua infanzia in Grecia diventano fiction di immagini in movimento. 
Con stacchi bruschi, “spezzati” direbbe l’autrice, la narrazione corre tra passato e presente: alcuni scatti di La Ruche, ci portano alla residenza dell’artista nel quartiere di Montparnasse.
Queste immagini introducono il clima parigino dell'epoca, gli artisti e i scrittori che Savinio conobbe, primo fra tutti, il poeta Guillaume Apollinaire che pubblicò ne “Les soirées de Paris” un'opera emblematica: “Les Chants de la mi-mort”, poema messo in scena, nel 1914, negli spazi della rivista che ospitò una serata d’avanguardia senza eguali (Savinio. Incanto e mito. Una mostra di Ester Coen). 
Ancora una volta, Zanoli traduce l’episodio in modo molto originale: per la scenografia si ispira alla redazione descritta da Savinio, una sorta di casa degli specchi le cui porte, muovendosi, fanno vibrare la luce sui frequentatori del concerto rappresentati in sagome di fotografie bianco e nero poggiate su cavalletti, anche questa, un’idea letteraria saviniana.
Sulla memorabile serata parigina, Zanoli intervista la moglie di Francis Picabia, Gabrielle Buffet (1881-1985), critica d'arte e musicologa che all’epoca aveva novantasei anni e che ricorda con divertita ironia il celebre concerto. 

Sì, ho dei bei ricordi di Savinio il musicista. Fu un grande amico di Apollinaire. Apollinaire lo ammirava molto e voleva assolutamente che lo conoscessi. Disse: ‘Devi ascoltarlo! Lui è straordinario. Suona e ogni volta che suona rompe una corda di pianoforte’
Gabrielle Buffet, 1978

Degna di nota, anche la messa in scena de "Les Chants de la mi-mort": qui appare il manichino metafisico, prima intuizione di Savinio sul possibile incontro tra musica, pittura e scrittura. La parte finale dei “Canti”, scritti in francese e tradotti per la prima volta in italiano da Zanoli, fu messa in scena da artisti della “Fabbrica dell'Attore” di Giancarlo Nanni, tra cui Manuela Kusterman, figura chiave della scena teatrale sperimentale fiorente a Roma nella metà degli anni Sessanta. 

Per la difficolta del testo, importantissimo nel corpus saviniano, Zanoli sceglie un solo e breve frammento recitato, come per una prova teatrale di riaggiornamento del teatro di Savinio 

Oltre all’eccezionale testimonianza di Gabrielle Buffet, Zanoli intervistò anche esperti di teatro, come lo scrittore, editore e drammaturgo Valentino Bompiani (1898-1992). Savinio dallo sguardo multiplo e polimorfo ebbe un’attenzione particolare anche verso il cinema: ce ne parla il critico e scrittore cinematografico italiano, naturalizzato francese, Nino Franck (1904-1988), testimone acuto della vita artistica parigina tra le due guerre. 
Zanoli, infine, ha permesso alle immagini di raggiungere il massimo potere evocativo attraverso scelte registiche fantasiose e pensate: dalle ambientazioni, ai costumi disegnati da Vera Marzot (1931-2012), nota collaboratrice di Luchino Visconti e Vittorio De Sica. 
Con “Alberto Savinio (o polipragmon)” la riflessione dell’autrice è rivolta anche al mezzo televisivo, all’epoca, molto limitato nel presentare opere d'arte; nella scena finale Zanoli mostra i dipinti di Savinio non tanto fissati alle pareti del museo, ma “in movimento”, tra le mani degli operai che smontavano la mostra romana di Palazzo delle Esposizioni.

“Alberto Savinio (o Polipragmon)” fu trasmesso su Rai Uno il 6 giugno del 1979, in seconda serata. Nel 1978, partecipava al prestigioso concorso internazionale Prix Italia.

I brani di intervista ad Anna Zanoli sono presi da
Le avventure dell'Arte in TV, di Luisella Bolla e Flaminia Cardini, ed RAI Nuova ERI, Torino 1994

Anna Zanoli
Pioniera dell’arte in tivù, Anna Zanoli (1934-2020) si laurea in storia dell’arte a Bologna sugli insegnamenti di Roberto Longhi e nel 1960, vince un concorso Rai, per l’apertura del secondo canale. Da L’Approdo a Capolavori Nascosti, alla collaborazione con Luciano Emmer nella serie Io e, fino a In difesa di, con le denuncie di Federico Zeri (Federico Zeri e l'Appia Antica), Zanoli si afferma nella cura di rubriche importanti e originali. La appassiona il genere anglosassone, nuovo per la televisione italiana, del docudrama, con la cui formula realizza Alberto Savinio (o polipragmon), (1978) e Raffaello (1984). Molti i documentari ritratto (Piero della Francesca, Lorenzo Lotto, Christian Schad, Luigi Veronesi, Alberto Burri) e quelli sui restauri (Cappella Sistina, Cenacolo di Leonardo, Venere di Botticelli ...).