Dei non "serenissimi" rapporti dei Piranesi con il Veneto

Un racconto di Pierluigi Panza

Giambattista era figlio del tagliapietre Anzolo (1693-1755), nipote del barcaiolo Giacomo: sua madre, Laura Lucchesi, era sorella del noto architetto Matteo che indirizzò l'educazione di Giambattista. Anzolo e Laura si erano sposati il 12 luglio 1711 a Venezia. Oltre a Giambattista, ebbero altri 11 figli. Il primo documento su di lui è l'atto di battesimo dell'8 novembre 1720 (nato il 4 ottobre 1720) nella parrocchia di San Moisè a Venezia 
Pierluigi Panza

In occasione della mostra allestita ai Musei Civici di Bassano per i 300 anni di nascita di Piranesi (Giambattista Piranesi Architetto senza tempo,2020), il curatore Pierluigi Panza mette fine al dubbio sul luogo di nascita dell'artista e chiarisce i rapporti della famiglia con la città lagunare (I Piranesi e il Veneto: dei non "serenissimi" rapporti, Pierluigi Panza, catalogo mostra Gianbattista Piranesi architetto senza tempo, Milano 2020). Piranesi è nato a Venezia e non a Mogliano Veneto, come tradizionalmente scritto su fonti ottocentesche poco attendibili e non provate (Jacques-Guillaume Legrande, Notice historique sur la vie et les ouvrages de J. B. Piranesi). Il rapporto con la Serenissima fu faticoso e sofferto, sia per Giambattista, sia soprattutto per i figli Francesco e Pietro che ne ereditarono l'impresa. 

Tutta la famiglia di Piranesi era veneziana, anche se, come dice il nome, erano originari di Pirano nell’Istria. Degli undici figli di Anzolo e Laura, quasi tutti morirono in fasce o da giovani. Oltre a Giambattista, le sorelle Valentina e Regina furono le uniche a raggiungere un’età adulta e a sposarsi, mentre Valentino Domenico, divenne certosino con il nome di don Luigi 

I Piranesi erano una famiglia abbastanza povera (lo si apprende dal lascito di Anzolo), che viveva a Ca’ Barozzi, di fianco al Campo, nella parrocchia di San Moisé. Il primo documento sulla vita di Piranesi è l’atto di battesimo (scoperto da Luigi Moretti), dove oltre alle date, sono riportati anche i nomi del padrino e della madrina: il nobiluomo veneziano Giovanni Vidman e la levatrice Maddalena. 

Veduta del Ponte e Castel Sant'Angelo, Giambattista Piranesi, 1756

Anche Venezia, la sua Serenissima terra natia, è poco presente e a volte citata con amarezza nella vita di Piranesi. Dopo la formazione presso lo zio architetto Matteo Lucchesi, arriva il primo soggiorno romano del 1740; l'artista vi tornò solo due volte a Venezia, nel 1744 e nel '46. Nell'ultima occasione, incontrava Tiepolo, incipit importante per le opere di Piranesi che inizia ad introdurre nelle sue stampe la teatralità, tutta veneziana e tipica dei Capricci, dove le figurine in piedi, accanto ai monumenti, fanno bella mostra come se stessero in scena. 

Dopo il ritorno a Venezia del 1746, l'artista non tornò più in Laguna, neanche nel 1755 per la morte del padre

Successivamente, nel 1758, Piranesi incontrò Venezia a Roma con la nomina al soglio pontificio di Carlo della Torre Rezzonico (Clemente XIII). Iniziano allora i suoi successi: la chiesa del Priorato, gli scavi di antichità per il mercato antiquario, il catalogo dei Camini (1769) e poi ancora vasi, candelabri e restauri assemblati in fantasiosi pastiches, oggetti di culto per le case di campagna dei viaggiatori inglesi a Roma. Dato lo stretto rapporto con la famiglia papale Rezzonico, Piranesi realizza anche oggetti e decorazioni per i loro appartamenti. 
Dal 1753, vive e lavora a Palazzo Tomati, con la moglie Angelica Pasquini, dalla quale ha cinque figli: solo Francesco (1758-1810) e Pietro (1768- ?), seguiranno le orme del padre. Francesco, secondogenito, dopo la morte di Giambattista nel 1778, sarà alla guida della calcografia Piranesi. Per controversie ereditarie, fece subito cassa con la ristampa di rami paterni e il completamento di raccolte rimaste incompiute. Oltre ad essere abile incisore e stampatore, Francesco ereditò pure la passione per il restauro e l'antiquariato, allestendo il Museo Piranesi, la collezione di cimeli archeologici allestita da Giambattista a Palazzo Tomati. 

Ma le finanze non andavano ancora bene e così Francesco iniziò la svendita del museo paterno finita con una cospicua cessione a Gustavo III di Svezia nel 1785 

Dal 1782, fino al 1794, Francesco era stato nominato antiquario presso la corte di Svezia e Stoccolma con il compito di aggiornare le nuove scoperte archeologiche e rintracciare pezzi sul mercato antiquario per la collezione svedese. La vendita del 1785, costituirà il primo nucleo del Museo di antichità di Gustavo III.
Con la morte del fratello Angelo, del quale fu erede diretto, Francesco dovette assicurare alle sorelle, Angelica e Laura un fisso mensile. Fu allora che tornò a stringere rapporti con il Venezia e l'entroterra di Bassano dove abitavano gli stampatori Remondini. Attraverso l'amicizia con il letterato e politico illuminista veneziano Andrea Memmo, ambasciatore presso la Santa Sede a Roma (1783-86), Francesco riesce a donare alcuni libri del padre al Senato della Serenissima, andando a colmare le lacune dopo il lascito di Clemente XIII. Memmo inoltre, commissionò a Francesco la Veduta di Prato della Valle a Padova (1786). 


Francesco Piranesi, Fuochi d'artificio dell'Impero, Parigi, Museo Carnavalet

Dopo il servizio alla Svezia, Francesco e Pietro divennero ferventi giacobini ed entrarono come funzionari nella Prima Repubblica Romana. Ma alla caduta di Roma dovettero andare in esilio: s'imbarcarono con i rami su un piroscafo che da Civitavecchia li portò in Francia dove, a Parigi, aprirono la Calcografia F.lli Piranesi
Pierluigi Panza

Francesco s'integrò perfettamente nella vita artistica parigina, Luciano e Giuseppe Bonaparte gli commissionarono le prime stampe a colori dei Piranesi a Parigi. Francesco inaugurò anche un'Accademia per architetti, fondò una manifattura di oggetti in terracotta a imitazione dell’antico e nel 1806, divenne editore della rivista Athenaeum. Ma gli affari non decollavano, pertanto Francesco e Pietro decisero di tornare in Italia servendosi di "un'arma a sorpresa: la loro venezianità" (Pierluigi Panza). Nel 1807, scrissero una supplica al Senato Veneto per conto del consigliere di Stato e ministro degli esteri Carlo Testi, mettendo in evidenza i loro rapporti di "sudditanza" rafforzati anche e soprattutto, dalla donazione dell'opera del padre Giambattista, avvenuta attraverso il Memmo nel 1785. 

La richiesta fu respinta dal Senato Veneto e un anno dopo fallì anche il tentativo di rientrare da Milano. Francesco morì improvvisamente a Parigi nel 1810, mentre erano in corso le trattative per la liquidazione da fallimento dell'attività 

I rami della calcografia furono comprati dalla casa Firmin-Didot, che li stampò fino al 1839, anno in cui il cardinale Antonio Tosti, su incarico di papa Gregorio XVI, li riacquistò per conto della Calcografia Camerale.

Foto di Copertina 
Francesco Piranesi, Festa del generale Berthier, 1801, Parigi, Museo Carnavalet.


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Musei Civici di Bassano del Grappa
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