Ernesto Biondi: I Saturnali

Ottocento alla GNAMC di Roma

Chiara Stefani, storica dell’arte (Ministero della Cultura) e responsabile della collezione dell’Ottocento presso per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, in questo breve filmato presenta il gruppo scultoreo “I Saturnali” (1888–1899), dell’artista Ernesto Biondi (1854–1917). 
Opera della maturità, l’enorme scultura acquistata dalla Galleria Nazionale già nel 1899 e oggi collocata nel “Cortile dei Saturnali”, è stata oggetto di un importante restauro.  

Biondi è uno scultore poco conosciuto al grande pubblico, solo negli ultimi anni la sua opera è emersa da studi e ricerche che hanno restituito l’originalità e lo spessore di un artista vulcanico, appassionato ed eclettico

Nato a Moròlo (Frosinone), Biondi fu fortemente legato alla propria terra d’origine ma, allo stesso tempo, entrò in contatto con gli ambienti più avanzati della ricerca artistica europea muovendo i primi passi dalla Ciociaria e divenendo rapidamente noto a livello locale.
Biondi inizia giovanissimo a disegnare accanto il padre, Angelo Pistolesi, un modesto intagliatore in legno e sicuramente, da lui apprende l’amore per la scultura. Tra i mille lavori giovanili, oltre all’intaglio di legno per vignette di giornali, Biondi esercita il suo talento in oggettistica decorativa e funzionale: realizza modelli di cera per metallari, intagli di avorio e pietra, incisioni di rame, modelli di stucco e ceramiche, fino alla falsificazione di terrecotte. 

Artista dalla personalità ricca e complessa, Biondi aveva un carattere polemico: era un appassionato di politica e s’impegnò nella lotta senza compromessi, pronto a mettersi in gioco, sia per rinnovare l’ambiente artistico, sia per difendere i contadini della sua terra

Nel 1870, a sedici anni, si trasferì a Roma dove andò a vivere da bohémienne in una soffitta di Palazzo Altieri e in seguito a Palazzo Doria Pamphili, ospite dello zio Pietro, cappellano di “Sant’Agnese” a Piazza Navona. I suoi primi anni romani furono difficili ed ebbe difficoltà ad accedere all’Accademia, dato che era quasi analfabeta. Ma ci riuscì e si distinse vincendo il Primo premio nella seconda classe di scultura. Dopo il 1874, Biondi seguì i corsi del toscano Girolamo Masini, per poi continuare da autodidatta, insoddisfatto dei metodi stantii della didattica ufficiale.

Nel 1883, esordì ufficialmente all’Esposizione Nazionale di Roma con soggetti di genere orientalista, molto verosimili nel carattere, ma realizzati di fantasia, oggetti che incontravano agevolmente il gusto di una borghesia emergente grazie al loro indiscutibile charme

Negli anni Ottanta dell’Ottocento, Biondi realizza opere molto distanti tra loro, anche di destinazione cimiteriale. In questo decennio, una nuova giovane generazione di scultori approda ad un “Realismo” positivista sulle orme di Giulio Monteverde (La scultura del Verano). Ma Biondi va oltre: contro ogni regola di naturalismo accademico e contro il mercato internazionale di una scultura “facile” e di soggetto aneddotico che affolla le grandi Esposizioni, l’artista cerca di provocare e sollecitare il pubblico con proposte anticonvenzionali che anticipano “I Saturnali”.
L’indole anticonformista di Biondi trovava un alleato sicuro e determinante per la sua futura carriera all’Esposizione Universale di Anversa del 1885, dove lo scultore presentava opere di gusto orientale e pompeiano. Qui, incontra il pittore e critico d’arte milanese Vittore Grubicy de Dragon (1851–1920) che rimane folgorato dall’irruenza di Biondi, dal suo parlare e gesticolare concitato in maniera “selvaggia ed esotica”, qualcosa di estremamente anomalo rispetto al pubblico cosmopolita dell’Esposizione. Allo stesso tempo, lo scultore trovò un interlocutore capace di comprendere il suo carattere istintivo, quel “sentire” che si manifestava nelle sue opere di “qualità, esuberanti ed eccessive”. Grubicy seppe indirizzare l’artista verso obiettivi più definiti e a un anno dal loro incontro, Biondi poteva scrivere dell’amico:

Io ti ricorderei sempre con riconoscenza perché l’80 per 100 dell’arte che possiedo è opera tua e del tuo apostolato!
Ernesto Biondi

Inizia così un intenso sentimento di amicizia, la cui corrispondenza né restituisce il carattere duraturo nel tempo. 
Figura di punta della cultura mitteleuropea più aggiornata, Grubicy fu capace di scuotere il panorama artistico milanese, oramai incagliato negli epigoni della Scapigliatura, per proiettarlo in un confronto di dimensione europea. Il critico, inoltre, diverrà il padre del Divisionismo lombardo, di derivazione francese e teorizzerà l’Ideismo una corrente di stampo Simbolista. Con i suoi scritti, sosterrà le proposte audaci di Gaetano Previati (1852–1920) e Giovanni Segantini (1858–1899) alla Triennale di Brera del 1891. 

Dagli scritti di Grubicy emerge, anche una particolare attenzione per l’obiettivo sociale dell’arte, intesa come “portatrice di un messaggio morale nella collettività”

Il critico sosteneva la libertà dell’artista, libertà di “sentire” e percepire le sensazioni provenienti dal reale per tradurle in un’emozione estetica capace di “commuovere” il pubblico. 
Affascinato delle idee di Grubicy, negli anni in cui sta iniziando a concepire “I Saturnali”, Biondi realizza soggetti di persone umili, gruppi come “Povera gente”, o “Povero Cola” (1888) inviati, rispettivamente, alle mostre di Roma del 1893 e del 1895. Questa incursione nel “Verismo sociale” si deve all’amico Grubicy, sostenitore anche dell’opera di Francesco Paolo Michetti (Francesco Paolo Michetti: Il Voto).

Tornato a Moròlo verso la fine degli anni Ottanta, Biondi, inizia a dar forma a quel carattere “originalissimo” e “selvaggio” che ritrova nella sua Ciociaria 

Il lavoro sui “Saturnali”, gruppo scultoreo concepito tra gli anni Ottanta e Novanta, affianca un’intensa attività commerciale su soggetti di genere per incrementare le finanze e guadagnare quel tanto necessario a finire l’opera che percepiva come il suo “capolavoro”, la più impegnativa di sempre: impiegherà un iter di dieci anni circa, favorito anche da una certa notorietà emergente, nonché dalla vicinanza dell’amico Grubicy. 

Con “I Saturnali”, Biondi voleva “sbalordire” i suoi contemporanei e infatti, l’opera lo consacrerà, in maniera inattesa quanto improvvisa, sullo scenario internazionale

Il tema scelto rimanda alle feste romane di Saturno celebrate tra il 20 e il 23 dicembre, un evento di grande coinvolgimento popolare tradotto dallo scultore in un gruppo di figure grandi “al vero” che sembra muoversi nello spazio con una naturalezza e veridicità impressionante. La scena evoca una tranche de vie, la decadenza dell’antico Impero Romano, subito paragonabile alla contemporanea crisi sociale di fine socolo che aveva rovesciato ogni ordine di classe. 

Nei Saturnali, schiavi e padroni confondono e invertono i propri ruoli in un gruppo di dieci personaggi discinti, barcollanti e storditi, visibilmente in preda all’ebbrezza

Due sacerdoti, un patrizio e una patrizia, un bambino, un gladiatore, una prostituta, uno schiavo, un soldato pretoriano e un suonatore di flauto, appaiono acconciati e vestiti in “veri” costumi romani, desunti sia da fonti iconografiche antiche, sia da illustrazioni ottocentesche. 

I volti, piuttosto caratterizzati ai limiti del caricaturale, sono tipizzazioni antropologiche, individui con caratteristiche psicologiche frutto di una rivisitazione dell’antico attraverso un linguaggio plastico moderno d’impronta realistica

La potente scena trova precedenti anche da un confronto con gli ambiti pittorici e letterari del tempo: i primi, nutriti dalla diffusione, attraverso Esposizioni Universali e Salon francesi, da quadri di storia in stile pompeiano e antichizzante, i secondi, da fonti letterarie, ma soprattutto teatrali, come il “Nerone” (1871) di Pietro Cossa che ispirò una scultura di Emilio Gallori (Nerone vestito da donna), tacciata di oscenità e mancanza di pudore all’Esposizione del 1877.
La scelta del fosco dramma mette in luce l’interesse di Biondi per momenti della storia di Roma per nulla esemplari: né trionfi, né episodi eroici, bensì l’azione scellerata e la corruzione del costume morale in linea con temi che gli artisti romani avevano già saldato sui principi moderni del Realismo, lo stile inteso come spirito di verità scientifica e metodo di indagine empirica, contro le false ideologizzazioni del mondo antico.
Le iscrizioni poste sul retro dei “Saturnali” ne integrano la lettura offrendo una più complessa chiave interpretativa: lo stridente contrasto tra l’eterogenea e gaudente compagnia e il senso di un mondo pagano giunto al termine dei suoi giorni grazie al diffondersi della nuova spiritualità cristiana, viene enunciato attraverso i versi di Giovenale, Lucano e un’epistola di San Girolamo.

Nel gennaio 1897, il modello originale fu ultimato, pronto per essere realizzato in bronzo dalla Fonderia Nelli che provvide anche all’utilizzo di diversi acidi per diversificare la resa delle superfici e la fusione a parte di alcuni dettagli

Nel 1899, come auspicava l’artista, il gruppo entrò nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, appena istituita e nel 1900, trionfò all‘Esposizione Universale di Parigi vincendo il Gran Prix
In un articolo pubblicato sul “Giorno” del 1899, il critico Ugo Ojetti lodava “I Saturnali” per l’estrema espressività del gruppo, per la composizione sinuosa e ondeggiante ricadente ai lati. 

Infatti, i dieci personaggi avanzano, arretrano e balzano in avanti sbilanciati

L’effetto espressionistico del gruppo viene accentuato dal piano di appoggio che simula il selciato di una strada, volutamente inclinato: Biondi, infatti, intendeva presentare l’opera su un basamento bassissimo per produrre l’effetto illusionistico di personaggi vivi tra il pubblico.

Tra pareri favorevoli e discordi, a Parigi l’opera monumentale di Biondi era seconda solo ai “Borghesi di Calais” di Auguste Rodin, scolpita undici anni prima

Un anno dopo, il clamore e il successo parigino avevano una valenza molteplice per Biondi: anzitutto, il prevalere su quella Parigi mercantile che lui disdegnava e anche, l’aver finalmente eguagliato, o superato, il collega Francesco Paolo Michetti che, durante la mostra parigina, pur avendo ottenuto con gli “Storpi” e “Le Serpi” la Legione d’oro, venne duramente criticato per il brutale realismo delle sue composizioni.
Nel 1901, al rientro a Roma da Parigi, “I Saturnali” vennero collocati a Palazzo delle Esposizioni, sede della Galleria d’Arte Moderna, nella sala degli artisti romani, accanto ad un altro soggetto “antichizzante” di Giulio Aristide Sartorio: “Diana di Efeso e gli schiavi” e “La Gorgone e gli eroi” (Giulio Aristide Sartorio: un dittico, Diana e la Gorgone). 
Una seconda redazione dell’opera fu destinata all’Esposizione panamericana di Buffalo del 1902, ma anche qui incontrò pareri discordanti. Il direttore del Metropolitan Museum di New York aveva proposto a Biondi di esporre il gruppo nella sala centrale del museo per un anno, alla fine del quale sarebbe stato definitivamente acquistato. Ciò non avvenne perché la scultura fu tacciata dalla stampa di volgarità e dunque, non appropriata ad un museo pubblico. 
Come sottolineava Biondi, al culmine delle sue possibilità espressive e semantiche, i suoi “Saturnali” rappresentavano anche la rivincita della schiera dei maestri romani, dopo oltre due decenni di ostracismo da parte dell’ambiente accademico ufficiale. Biondi lanciava un chiaro ammonimento alla società moderna: 

La sua “scultura viva”, come la definiva, era figlia della mentalità positivista, dell’epoca che aveva portato finalmente in primo piano “i tipi scientificamente veri” e la fedeltà filologica della ricostruzione storica 

Biondi proponeva qualcosa di mai visto e le testimonianze dei contemporanei documentano proprio questo effetto spiazzante, audace e fuori dalle regole dell’ordinario, sia nello stile, sia nella tecnica esecutiva. 

Ho avuto anch’io la mia piccola parola nuova o vecchia che sia e l’ho detta. Ho parlato due volte nella mia vita attraverso l’arte: la prima volta con i Saturnali, la seconda volta adesso con le Misere Recluse”
Ernesto Biondi, 1911

La carriera di Biondi proseguì non priva di ostacoli data l’indipendenza dell’artista e di conseguenza, il controverso rapporto con la committenza. Ne è esempio, la vicenda di un’opera della maturità, il “San Francesco” (1895) per la chiesa del “Beato Angelo” ad Acri: il rifiuto del committente, padre Giacinto, lo costrinse a una seconda versione più conforme all’iconografia classica. Biondi tentava di esporre la prima versione alla mostra degli “Amatori e Cultori” di Roma, ma venne ancora una volta rifiutata; approdò, infine, alla “Mostra di Torino” del 1898, dove un critico scrisse del soggetto, “troppo brutto e troppo squallido”. Il carattere quasi pre-espressionista della figura “lunga e gracile di un cavaliere disfatto dalle veglie e dalle visioni”, denotano la meditazione tutta personale di Biondi su esempi della grande tradizione italiana, in primis la “Maddalena” di Donatello che lo scultore moderno reinterpretava imprimendo nella materia quel “carattere psichico”, spirituale e veritiero del Santo di cui parlava l’amico Grubicy. Biondi attirò le simpatie di Domenico Morelli che nel “San Francesco” aveva riconosciuto un processo intellettuale non dissimile dalle sue “Tentazioni di Sant’Antonio” (Domenico Morelli: Le Tentazioni di Sant’Antonio).

FOTO DI COPERTINA 
Ernesto Biondi, I Saturnali, 1888–1899, bronzo, 320x200x607cm., Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAMC), Roma