Le narrazioni visive di Calogero Cascio

Quando il reportage giornalistico diventa azione politica

Al Museo di Roma in Trastevere è in corso la mostra Calogero Cascio. Picture Stories, 1956 – 1971 fino al 9 gennaio 2022.  Attraverso oltre 100 stampe fotografiche il fotoreporter siciliano ripercorre situazioni e momenti tra i più significativi dalla metà degli anni Cinquanta ai primi anni Settanta. La mostra presenta per la prima volta il lavoro antologico e storico-critico del fotoreporter siciliano.  

Calogero Cascio  si stabilì a Roma nel 1949 dove dopo gli studi universitari e una breve carriera di medico sceglie la professione di fotoreporter. Entra in contatto con il mondo dell’editoria che nel dopoguerra aveva visto la nascita di importanti periodici illustrati come Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio dal 1949 al 1966, e L’Espresso, fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari. Proprio con Il Mondo stabilisce un rapporto privilegiato, un continuo e vivace scambio di opinioni con il suo direttore che, a suo parere, tende a pubblicare «foto belle, ma poco “vigorose”», nelle quali è assente lo spirito del vero fotogiornalismo, il racconto della storia e dei suoi conflitti, di cui allora la guerra nel Vietnam era il simbolo. 

Molte sono le immagini di Cascio pubblicate su Il Mondo tra il 1957 e il 1966, alcune delle quali esposte in questa mostra, oggi conservate nel fondo fotografico del settimanale presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che costituisce uno dei principali “corpus” fotografici dell’autore siciliano, insieme al suo stesso archivio. 

Con i fotografi Caio Garrubba, Antonio e Nicola Sansone, Cascio condivide l’ideale del reportage giornalistico come azione “politica” e insieme fondano nel 1963 l’agenzia RealPhoto, contribuendo con Ermanno Rea, Plinio De Martiis e Franco Pinna alla “scuola romana” del fotogiornalismo.  

Nel 1963 il più attento critico della fotografia italiana di quegli anni, Piero Racanicchi, recensiva sulla rivista Popular Photography il servizio fotografico realizzato da Cascio nella città indiana di Chandigarh, progettata ex novo un decennio prima da Le Corbusier.

Calogero Cascio, annota Racanicchi, ha il pregio di scrivere nella stessa maniera in cui fotografa: la sua intelligenza visiva lo porta verso uno stile narrativo sciolto e scorrevole, fatto di impressioni e di riflessioni, che punta al nocciolo delle cose, scarta le situazioni marginali, affronta gli argomenti con immediatezza, di fronte, senza concedere nulla alla fantasia e al descrittivismo.



Un ritratto del fotoreporter Calogero Cascio

La sua indagine “sociale” e la tensione di testimone degli eventi non lo portano a esplorare solo le strade e le campagne della Sicilia e le aree periferiche di Roma e di molte altre realtà italiane, ma lo conducono a indagare anche i territori oltre confine, a visitare a lungo molti Paesi del medio e dell’estremo Oriente – Israele, Egitto, Vietnam, India, Nepal, Laos, Thailandia – e del Sudamerica – Brasile, Perù, Colombia, Venezuela –, riportandone delle narrazioni visive, delle “storie per immagini” di impronta antropologica, sociologica e politica, caratterizzate però da uno sguardo empatico, capace di cogliere in ogni contesto il valore universale dell’uomo.

È quello stesso sguardo che fin dalle sue prime fotografie, realizzate in Sicilia, sua terra natale, e scattate nei paesi dell’agrigentino piuttosto che a Palermo, lo guida nel testimoniare le condizioni di lavoro e i sottintesi politici che interagiscono nello sviluppo economico e sociale della regione, alimentando la cultura della mafia e la paura del cambiamento.

Sono immagini di grande efficacia evocativa, nel segno della fotografia documentaria ma anche “umanista”, che negli anni Cinquanta indaga il Meridione italiano, con una “passione civile” che trova nella fotografia lo strumento per rivelare con lucidità intellettuale la realtà che si presenta allo sguardo. 


Spesso accompagnati da suoi testi, i servizi fotografici di Cascio trovano spazio nei più importanti quotidiani e periodici americani ed europei degli anni Sessanta e Settanta (New York Times, Life, Look, Stern, Paris Match, e in Italia oltre a quelli già citati, L’Europeo, La Stampa, Paese Sera) che si distinguono per la loro volontà di denuncia delle diseguaglianze sociali, della condizione degli “sconfitti” in una società priva di umanità verso gli ultimi. 

L’ideale di “un cambiamento radicale delle strutture della società” lo porta a collaborare con Vie Nuove, periodico legato al Partito Comunista Italiano, così come con Famiglia Cristiana, ma soprattutto nutre il racconto dei suoi quattro fotolibri: Lazzaro alla tua porta, pubblicato nel 1967 con l’amico Garrubba, Quando io grido a te, del 1973 con i testi di Ettore Masina, con il quale l’anno successivo pubblica Quando dico Speranza, e infine nel 1975 Vangelo a caso. Qui la fotografia diventa lo strumento per una narrazione visiva che riconosce nelle diverse condizioni di vita dell’uomo, nei divari sociali e nella sofferenza, il grido inascoltato dell’insegnamento cristiano. 
 
L’esposizione è curata dalla storica della fotografia Monica Maffioli, con la collaborazione di Natalia e Diego Cascio, figli dell’artista e promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.