Roma nel cinema

Roma nel cinema

La grande bellezza

Roma nel cinema
Roma sembra nata per il cinema. E al cinema ha dato tanto. Meravigliosa, unica, borghese, straripante, bellissima, aristocratica, popolare, cialtrona, ammaliante, segreta, papale, madre e matrigna. Antichissima, stratificata nella storia, nei quartieri, nelle classi sociali, nell’alto e nel basso. Nel borghese e nel coatto. Nei colori magnifici e nelle periferie putride. Roma romana, rinascimentale, barocca. Roma che il cinema ha rappresentato con immagini indelebili, di bellezza assoluta o di povertà disperante. Da dove cominciare? Certamente dalla cartolina. Dall’istantanea pulita e sfolgorante di film entrati nella storia e nell’immaginario per la sua bellezza. La dolce vita di Federico Fellini, Vacanze romane di William Wyler, La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Perché a Roma tutto può succedere e Roma tutto assorbe e tutto incassa. Come raccontava Ennio Flaiano nel suo racconto del marziano a Roma. Quando il marziano sbarca è solo stupore, meraviglia, interesse. Poi Roma mastica, digerisce e sputa e il marziano, che era diventato una celebrità, torna ad essere come tutti gli altri. “Ah marziano!”
Vacanze romane fu girato nel 1952 in bianco e nero. Audrey Hepburn- principessa Anna, fugge dal “castello” e comincia a vagare indisturbata per la città. Una Roma che non esiste più. Un gelato, un nuovo taglio di capelli, l’incontro col reporter leale, Gregory Peck. Sullo sfondo lei, protagonista assoluta, Roma. Semivuota, umana, popolaresca e bellissima. Scorrono i gioielli di famiglia: il Colosseo, Trinità dei Monti, la Bocca della verità, il Tevere, Via Margutta. Roma materna accoglie la principessa in fuga e poi con delicatezza la riporta al punto di partenza: i suoi doveri, il ruolo. Una commedia deliziosa ed elegante, all’estero fu uno spot pubblicitario di rara efficacia. Ne beneficiarono la città e la Vespa, con la quale Anna e il reporter, bighellonano tra vicoli e monumenti.
La dolce vita, film del 1960 in bianco e nero, è tuttora considerato uno dei capolavori di Federico Fellini. Un titolo magnifico per raccontare la storia di una società in disfacimento. Nobili, intellettuali, giornalisti, scrittori e borghesi ambiziosi, tutti insieme come succedeva e succede ancora a Roma, come su una barca che sta per affondare. Roma è sempre bellissima, memorabile. Il famoso bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi e la bellezza smagliante di Marcello Mastroianni sono storia del cinema. Il titolo del film diede il nome ad uno stile di vita che da allora è sempre stato rincorso invano. Un momento irripetibile. Con un finale aperto, sulla spiaggia, un primo piano sul viso innocente e rivolto al futuro dell’adolescente. Fellini dice che c’è ancora speranza.
Un coro celestiale e un turista giapponese che muore d’infarto sulla terrazza del Fontanone, sopraffatto da La grande bellezza. Così comincia il film di Paolo Sorrentino del 2013. Il ritratto della società romana oltre la decadenza, tra nobili, intellettuali, borgatari, tossicomani, arricchiti, è tutto nella scena della festa in terrazza, davanti al Colosseo. Poi piazza Navona, il parco degli Acquedotti, gli interni dei palazzi patrizi, la prospettiva del Borromini di Palazzo Spada, la luce dorata, i muri romani, sampietrini, cieli tersi, ponti, il fiume, tutto il magnificente repertorio, visto con amore dal regista non romano, con lunghi, eleganti piani sequenza. Il Cicerone che porta gli spettatori per mano, Jep Gambardella, è un uomo disilluso, al tramonto della sua vita.

Ma se tutto passa, Roma sfolgorante come poche volte sul grande schermo, resta.

Roma città apertà, del 1945, considerato il manifesto del cinema neorealista, sposta l’epicentro del racconto in periferia. Al Pigneto, al Tiburtino, al Casilino, al Prenestino. Teresa Gullace-Pina-Anna Magnani, viene uccisa a colpi di mitra in Via Raimondo Montecuccoli al Prenestino, mentre insegue la camionetta che porta via suo marito. Quella scena, tra le più famose della storia del cinema, decisiva nella carriera della grande attrice romana, è una fotografia incancellabile, una scena di rara potenza visiva. Nel film non mancano scene della Barcaccia di Piazza di Spagna, del Collegio di Propaganda Fide, del Colosseo quadrato. Ma Roma città aperta si ricorda per la scena della morte di Anna Magnani. E Anna Magnani è un pezzo di Roma.
Ieri oggi e domani del 1963 resta nella memoria per due immagini: piazza Navona e lo spogliarello di Sofia Loren. Il regista, Vittorio De Sica, sposta l’occhio della telecamera su una delle piazze più belle del mondo mostrandola dall’alto. Piazza Navona è sotto lo sguardo dello spettatore, vista dall’attichetto della prostituta Mara - Sofia Loren. Segue il memorabile spogliarello che la donna regala al novizio - Marcello Mastroianni. La scena della Loren che balla in lingerie sulle note di Abat-jour e Marcello Mastroianni che ulula, è incancellabile.
I soliti ignoti del 1958 è considerato l'archetipo della commedia all’italiana. La città sullo sfondo non viene sfiorata dall'avanguardia del prossimo boom economico. E’ una Roma povera, arrangiata, stracciona, fatta di quartieri popolari, di periferie, di un ceto sociale così malmesso da sognare il carcere, per avere due pasti caldi al giorno. Una Roma borgatara dove i nomi sono soprannomi: er Pantera, Ferribbotte, Capannelle. I protagonisti si spostano da Via Alesia a Via di Val Melania, da Piazza dei Sanniti a Casal Bertone. Si vedono anche Porta Portese e Via delle Tre cannelle ma la Roma del film è fatta di quartieri che allora erano campagna e oggi semplicemente periferia.
1976, Ettore Scola porta sugli schermi la Roma miserabile delle baracche e dei baraccati. Tutto vero. Brutti sporchi e cattivi racconta l’insediamento di Monte Ciocci, abitato da operai impegnati nei cantieri di Via Aurelia e Via Boccea. Ciò che sembra incredibile, incredibile non è, soprattutto quando la camera si sposta e lascia vedere, non lontano, la Cupola di San Pietro. La zona era vicina a Valle Aurelia, anticamente occupata da fornaci. Nino Manfredi è a capo di una famiglia di circa 25 persone, tutte avide, amorali, perfide. Una gara al peggiore anche se è chiaro fin da subito che il peggiore è lui.
Ladri di biciclette è uno dei capolavori del cinema neorealista, interamente girato a Roma. La città che Vittorio De Sica nel 1948 decise di mostrare è una città stravolta dalle nuove periferie. Quella protagonista è Val Melania. Qui, in uno dei casermoni tutti uguali di una delle 12 borgate ufficiali nate durante il ventennio fascista, vive il protagonista con la sua famiglia. Un simbolo, piccolo ma efficace, del tentativo di rinascita economica dell’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Per questo il furto della bicicletta è una disgrazia. La casa è lontana da tutto, praticamente in campagna, la bici è il mezzo che permette al protagonista di andare a lavorare. Il quartiere dove vive è impersonale, isolato. Le case modeste. Perdere la bicicletta significa perdere il lavoro.
Nella ricerca del mezzo perduto il regista mostra i quartieri centrali, dove c’è ancora un tessuto sociale e una rete di protezione tra vicini. Il ritorno a casa, senza bicicletta, è un viaggio all’inferno su un autobus pieno da scoppiare, quando passerà, se passerà.
lo chiamavano Jeeg Robot  è un film  di Gabriele Mainetti del 2016. A Roma vive il protagonista, un piccolo delinquente interpretato da Claudio Santamaria. E' la città periferica e disperata di Tor bella Monaca, ma si vedono anche il Ponte della Musica, lo stadio Olimpico e Castel Sant’Angelo. Sarà il Tevere a cambiare le sorti del protagonista: caduto in acqua durante una fuga, finirà in un fusto radioattivo che gli darà una forza sovrumana. Malgrado il protagonista diventi un super-eroe, il film ha risvolti di grande sensibilità e delicatezza. Le case, i luoghi, il contesto sociale, sono grigi e squallidi, il cattivo è perfido e senza pietà. Tutto perfetto, tutto per far risaltare le doti umane del piccolo eroe di periferia.
Romanzo criminale racconta in modo spettacolare le gesta della banda della Magliana. Un film di Michele Placido del 2005, girato quasi interamente a Roma. Il meglio ed il peggio della città. Piazza Santa Maria in Trastevere e l’Olgiata, il Gianicolo, la Garbatella e l’Ostiense.

Roma degradata, Roma deturpata dalle gesta della banda più feroce e collusa della capitale. Le periferie d’origine e il centro storico. E poi bische, baretti, droga a fiumi, casini, “macchinoni”, donne complici, prostitute. I banditi non hanno nomi ma soprannomi, le case sono quelle sfarzose e volgari dei soldi facili


o quelle modeste di chi non si è venduto. Roma è il luogo dove avvengono i fatti, dove la banda molto romana nel linguaggio e nei vezzi, emerge.
Roma vista da Fellini è l’apoteosi del bello e del laido, del sacro e del profano, dell’antico e del felliniano. Nel film che il maestro riminese ha firmato nel 1972, Roma, convivono mille anime diverse. Passano senza soluzione di continuità immagini verosimili e immagini sognate. La sfilata degli abiti talari e la scoperta sognante di nuovi affreschi romani che si dissolvono a contatto con l’aria. L’ultima apparizione di Anna Magnani sul portone di casa e il rimpianto per le case chiuse. Roma splendida vista con gli occhi di un provinciale. Roma sparita. Roma godereccia, coi pranzi all’osteria. Roma impossibile con gli ingorghi sul Raccordo Anulare. A tratti una città che non esiste se non nell'immaginazione del regista. E se esiste è inafferrabile. E’ quella sognata da Fellini prima del suo arrivo e quella vera, che si sbriciola sotto i suoi occhi, come gli affreschi romani del film.